Sono da rimeditare completamente I rapporti tra il processo penale ed il giudizio disciplinare?

AutoreLuca Cremonesi
Pagine107-111

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Le interferenze tra il patteggiamento ed il giudizio disciplinare. - 3. I rapporti tra il giudizio disciplinare e l'efficacia derivante dai giudicati.

@1. La sentenza emessa il 25 luglio 2002 n. 394

La L. 27 marzo 2001 n. 97 si è preoccupata di disciplinare interamente i rapporti che possono nascere tra il processo penale e le posizioni non solo di coloro che sono dipendenti pubblici in senso stretto, come quelli dello Stato, delle Regioni e degli enti locali, ma anche dei soggetti che prestano attività presso le amministrazioni «speciali» o presso enti pubblici economici o presso persone giuridiche private con prevalente partecipazione pubblica 1. Il legislatore ha così voluto impedire che l'applicazione della normativa del codice civile o la trasformazione «formale» dell'ente da pubblico a privato potesse comportare un vantaggio per gli individui che vi lavorano, dal momento che svolgono le stesse funzioni o i medesimi servizi delle altre amministrazioni. La sentenza della Consulta che ha considerato illegittimo l'art. 10, comma 1, L. 27 marzo 2001 n. 97 è successiva a quella emessa il 3 maggio 2002 n. 145 che aveva dichiarato l'incostituzionalità della disposizione normativa contenuta nell'art. 4, comma 2, L. 27 marzo 2001 n. 97, la quale ammetteva che la sospensione dal lavoro dei dipendenti pubblici, per la pendenza di un procedimento penale in cui venivano contestati i reati di peculato, corruzione, concussione e di collusione militare, potesse prolungarsi fino a che non veniva dichiarata la prescrizione del reato. La durata è stata considerata eccessiva ed è stata circoscritta per un periodo massimo di cinque anni 2. È comunque lecito aspettarsi ulteriori pronunce di illegittimità, perché il legislatore è stato estremamente impreciso e frettoloso nel regolamentare e nel promulgare la L. 27 marzo 2001 n. 97.

La sentenza contenuta nell'art. 10, L. 27 marzo 2001 n. 97, rubricata come «disposizioni transitorie», è stata dichiarata non conforme alla Costituzione il 25 luglio 2002, poiché stabiliva che il giudicato della sentenza di patteggiamento potesse avere efficacia anche per i procedimenti disciplinari che non si erano ancora conclusi alla data di entrata in vigore della legge. La motivazione che è stata addotta è pienamente da condividere ed appare scontata nella sua semplicità. Il 22 maggio 1998, un imputato che aveva domandato l'applicazione de provvedimento dell'art. 444 c.p.p., confidando nella sua ininfluenza nel giudizio instaurato dall'ordine professionale, si era poi visto attribuire i medesimi fatti che costituivano reato nel procedimento meramente amministrativo, ove si discuteva la violazione delle norme deontologiche collegate alla attività che aveva svolto. L'individuo non ha avuto la possibilità di difendersi e di operare contestazioni sia pure sotto un profilo differente da quello penale. Ora, è vero che la retroattività di una norma può essere applicata alle situazioni non ancora dfinite, dato che è un principio che non è regolamentato dalla carta costituzionale 3, in quanto l'unica eccezione è quella della legge penale contenuta nell'art. 25, comma 2, Cost., ma è altrettanto vero, che il legislatore può optare per la retroattività di una disciplina normativa solamente quando vi sia una adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri interessi costituzionalmente protetti 4. Secondo la Consulta l'illegittimità costituzionale dell'art. 10, L. 27 marzo 2001 n. 97 viene originata dalla componente negoziale dell'istituto che applica la pena richiesta dalle parti, la quale postula e presuppone la certezza e la stabilità del quadro normativo per poter dare modo alla persona interessata di valutare adeguatamente le conseguenze pregiudizievoli cui potrebbe andare incontro. Anche la Corte di cassazione che aveva sollevato la questione, ritenendola non manifestamente infondata, aveva fatto riferimento alla violazione degli artt. 3 e 24 Cost., dal momento che la disposizione legislativa non osservava il Page 108 principio di uguaglianza e non aveva nemmeno considerato meritevole di attenzione il principio che la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Bisognava preservare, quindi, la genuinità dell'accordo tra il pubblico ministero e l'imputato, contestualmente, bisognava salvaguardare il quadro giuridico entro cui era maturata la scelta di patteggiare. La disciplina non poteva essere rimossa, perché costituiva una condizione fondamentale per rispettare adeguatamente le scelte che sarebbero state compiute nel giudizio disciplinare.

Non è mai stata considerata dalla Consulta meritevole di protezione la posizione di coloro che ricoprono cariche elettive pubbliche. Infatti, con numerose decisioni, aveva stabilito l'efficacia retroattiva della decadenza da una investitura istituzionale, ogni volta che un individuo era stato condannato con una sentenza irrevocabile pronunciata prima dell'entrata in vigore della L. 19 marzo 1990 n. 55 5. Nello stesso modo era stata stabilita, come misura cautelare amministrativa, la sospensione delle cariche pubbliche, a norma dell'art. 15, comma 4 bis, L. 19 marzo 1990 n. 55, come modificato dall'art. 1, L. 18 gennaio 1992 n. 16, per tutti i soggetti che al momento della promulgazione del provvedimento legislativo avevano processi penali in corso per determinati illeciti. Questo provvedimento poteva poi essere revocato nel caso di sentenza di assoluzione o di proscioglimento con la reimmissione della persona nelle precedenti funzioni. Con l'entrata in vigore dell'art. 274, D.L.vo 18 agosto 2000, n 267 le limitazioni concernenti la sospensione e la decadenza dalla carica elettorale vengono a valere solo per i consigli regionali e per i componenti degli organi delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere. Non esistono e non possono più sorgere vincoli giurisdizionali per i consiglieri comunali o per quelli provinciali. Le posizioni di costoro, quindi, non si distinguono, attualmente, da quelle dei comuni cittadini. Non sussistono, inoltre, questioni particolari per le persone che si candidano a cariche governative o parlamentari, poiché la loro condizione istituzionale non è mai stata regolamentata dall'ordinamento giuridico.

@2. Le interferenze tra il patteggiamento ed il giudizio disciplinare

L'art. 2 L. 27 marzo 2001 n. 97, pur non modificando formalmente il regime normativo del patteggiamento ordinario, ha notevolmente contribuito a svuotare e ad annacquare il vantaggio premiale collegato alla inefficacia della sentenza nei giudizi disciplinari, qualora venga domandato non solo da individui che lavorano nella pubblica amministrazione, ma anche dai liberi professionisti, perché i loro ordini di appartenenza hanno una personalità giuridica pubblica 6. L'art. 653 c.p.p. e l'art. 445 c.p.p., con i recenti cambiamenti, hanno rilevanza generale e regolamentano gli effetti del giudicato penale sul procedimento meramente amministrativo. La decisione, quindi, viene ad assumere efficacia vincolante sull'esistenza del fatto, sulla sua illiceità e che l'imputato lo ha commesso, nonostante il giudice, a differenza della sentenza di condanna ordinaria, debba verificare solamente la qualificazione giuridica del reato e che la sussistenza delle circostanze sia corretta. L'organo giudicante deve controllare, inoltre, la congruità della pena e che non esistano le ipotesi di assoluzione dell'art. 129 c.p.p. L'espresso rinvio a questa regola normativa, anziché all'art. 529 c.p.p. ed all'art. 530 c.p.p. che disciplinano le normali sentenze di proscioglimento non può che sottolineare che il criterio per dichiarare la non colpevolezza dell'imputato risulta essere diverso rispetto a quello tradizionale. L'interprete deve escludere «sulla base degli atti» che l'indagine svolta dal pubblico ministero non sia contraddittoria e non sia carente: non bisogna documentare l'estraneità dell'imputato alla vicenda processuale 7. Non esistono, nel patteggiamento, nemmeno riferimenti alle disposizioni normative degli artt. 533 ss. c.p.p. che disciplinano le sentenze di condanna ordinarie 8. Non potrebbe, pertanto, avere valore pieno di giudicato la situazione criminosa descritta nell'imputazione, non essendosi formata la ricostruzione probatoria con il contributo dell'imputato e del pubblico ministero. Non è, quindi, corretto stabilire che la decisione dell'art. 444 c.p.p. possa avere influenza nel giudizio disciplinare, mentre non comporta alcun pregiudizio nel giudizio civile o in quello giurisdizionale amministrativo, perché l'accertamento dei fatti è sommario. È illogico che quanto non viene considerato attendibile per il processo civile o per il processo amministrativo viene, al contrario, ritenuto rilevante per il procedimento che viene instaurato dall'ente pubblico o dall'ordine professionale. Il legislatore, con la novellazione dell'art. 653 c.p.p. e dell'art. 445 c.p.p., ha contribuito, ancora di più, a creare confusione sulla natura giuridica della sentenza di patteggiamento, dal momento che in tali casi viene ad essere equiparata in modo categorico ad una sentenza di condanna, pur non avendone completamente le caratteristiche. Si è interrotta, a questo punto, l'attività nomofilattica che la Corte di cassazione a Sezioni

Unite aveva portato avanti con numerose decisioni, affermando che si è in presenza di un provvedimento che era catalogabile come tertium genus, né come condanna né come assoluzione, avendo come unico scopo quello di comporre definitivamente i contrasti che sussistevano nel panorama giurisprudenziale 9.

Il patto negoziale sulla pena intercorso tra l'imputato ed il pubblico ministero potrebbe non essere più utilizzato dal dipendente pubblico o dal libero professionista come strumento per definire la propria posizione processuale, in quanto il provvedimento che ne deriva viene ad acquistare valore nel giudizio disciplinare. È stata creata una discriminazione tra i cittadini e...

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