Il rimedio pecuniario alla lesione dell"integrità fisio-psichica. Riflessi in campo assicurativo

AutoreFrancesco Recchioni
Pagine905-917

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L'esigenza di offrire una garanzia di certezza e di giustizia agli utenti del diritto ha indotto da oltre un ventennio, con un ritmo incalzante, a rielaborare i criteri di riconoscimento dei danni alla persona, rivolgendo maggiore attenzione ai valori essenziali dell'essere umano; valori che possiamo rinvenire - ed adeguatamente considerare - non soltanto accertando nella persona le capacità di svolgere attività lavorativa e di produrre un guadagno, ma anche convincendosi che un qualsiasi soggetto - una volta inseritosi in un determinato ambiente sociale - si trova necessitato ad affermare le proprie risorse fisiche e psichiche per quella competizione universale che è finalizzata a due scopi principali: la conquista di un livello di personalità, ed il conseguimento delle gioie esistenziali che le diverse collocazioni geografiche, biologiche e storiche possono consentire ad ogni essere nella concretezza della propria vita associata.

Al cospetto del gravoso compito riguardante l'impostazione analitica della ricerca e la quantificazione dei pregiudizi arrecati dall'offesa all'integrità fisica, i numerosi richiami ripetutamente sottoposti all'attenzione degli interpreti e degli operatori del diritto (per i diversi aspetti che più da vicino possano riguardare le rispettive funzioni) si proponevano non tanto di introdurre innovazioni di sconvolgimento nei sistemi di calcolo del risarcimento del danno alla persona; quanto di inquadrare nei termini di un equilibrio più razionalmente concepito le diverse componenti del danno fisico, evitando gli accumuli di «voci» di indennizzo ed ancora più - ovviamente - le eventuali duplicazioni di esborso, e portando maggiormente in luce quel tipo di danno riscontrabile nel solo fatto della patita lesione, insopprimibile nello sviluppo dei calcoli risarcitori, e da anteporre a qualsiasi altro nocumento che possa ricondursi all'offesa personale perché di questa costituisce una costante componente di base.

Una volta che si sia osservata una tale impostazione riservando la priorità all'esame del danno lesivo dell'integrità fisica, sarà possibile in ordine di sequenza la considerazione sui contenuti economico pecuniari dell'eventuale pregiudizio patrimoniale, che si presenti sorretto da prova ai sensi dell'art. 2697 c.c.; per ultimo potrà attribuirsi il riconoscimento del danno morale, in presenza di reato nell'evento dannoso preso in esame.

In proposito, avevamo invece a lungo assistito al considerevole fenomeno di un quasi dissesto ideologico in quanto, a causa di un mal celato panico diffusosi in campo dottrinale assicurativo per evidenti ragioni anche di natura tecnico-commerciale, e di una serie di impulsi interpretativi in sede dottrinale-giurisprudenziale, alimentati anche da un esasperato (ma giustificato) perfezionismo nella manipolazione dei dati statistici, la ricerca e le convenzioni di studio sviluppatesi sulla rilevanza di spicco spettante al danno biologico suggerivano un riferimento a nuovi indici ed a nuovi parametri di quantificazione pecuniaria. Si è così richiamata l'attenzione degli operatori sull'applicazione pratica di tabelle radicalmente innovatrici, che avrebbero potuto contribuire ad assumere indirizzi maggiormente improntati a sensatezza, e perciò rispondenti ad una più giusta attribuzione di valori nel non facile compito di dare tutela giuridica agli interessi riguardanti i beni non patrimoniali: in particolare, al diritto al godimento della vita ed alla esplicazione della personalità.

A nostro modesto avviso, quello che è valso maggiormente a richiamare l'attenzione degli esperti verso obiettivi di ripristino di risorse così rilevanti è stata una più approfondita analisi del fenomeno dannoso, svolta con il supporto di remote e di recenti esperienze tecniche e giurisprudenziali; il che ha consentito di constatare - portando i risultati a livelli di progressiva certezza - che se il danno alla persona deve essere soggetto ad una attenta stima da rivolgere al pregiudizio economico che possa prodursi nel reddito dell'offeso, è pur vero che tale danno non consente di trascurare gli altri interessi concretamente colpiti dall'evento lesivo considerato.

Ma l'integrità fisica e psichica, in qualsiasi modo possa essere sottoposta ad esame, non può conoscere né prezzari, né tantomeno i prontuari di calcolo, perché essa non presenta valori ricavabili da quotazioni di mercato; e lo «sciamare» più o meno confuso di una miriade di proposte1, di suggerimenti, di decisioni e di commenti riflettenti l'alterazione dell'efficienza fisica e psichica, considerata di per sè e nei riflessi dei possibili concomitanti pregiudizi di varia natura, è valso a dimostrare che essa - appunto perché non suscettibile di un valore di scambio sul mercato - stenta a trovare un criterio di quantificazione in rispondenza con le singole realtà: essa perciò necessita assolutamente di un riferimento minimo, che richiami dei punti fissi ed irrinunciabili, ma anche di una serie di interventi di correzione o di aggiustamento ai quali fare ricorso caso per caso, vista l'impossibilità della sola applicazione di rigidi parametri per un calcolo automatico.

Occorreva, in pratica, rendere più razionale il tradizionale sistema di valutazione mediante criteri che conducessero ad un serio confronto tra le risorse dell'esistenza umana, le limitazioni patite dal soggetto nelle sue utilità personali (cioè negli impegni individuali), e la menomazione inferta alla integrità psico-somatica, cioè la deminutio in astratto considerata; ed un esame più attento ha ben presto fatto rilevare che la collocazione del «danno alla salute» esige assoluta autonomia non soltanto nei confronti del danno alla capacità di produrre reddito, ma - altresì - dell'altro danno che si presenta quando il fatto lesivo viene accertato dal giudice penale o si configura come reato (art. 185 c.p.) per la quantificazione del quale si fanno valere la gravità del reato stesso e la turbatio animi.

Di qui la (fondata) reazione secondo la quale: a) innanzitutto la portata del danno morale, consistendo esso principalmente in una condizione di sofferenza, debba andare assoggettata a consistente ridimensionamento; b) secondariamente, come meglio preciseremo, il danno alla salute vada ovviamente ad assorbire tutti quei pregiudizi di naturaPage 906 più o meno approssimativa che si definivano «danno alla vita di relazione»2.

Da un altro fronte, essendo stato il danno alla salute considerato in grado di assorbire almeno in parte anche quello connesso con le piccole invalidità permanenti e con l'incapacità lavorativa generica, si è voluto finalmente centrare l'obiettivo di bloccare le proliferazioni di risarcimento che venivano motivate con questi ultimi «titoli» di attribuzione aventi una funzione sussidiaria.

Infatti se il danno alla salute va a rappresentare attualmente quella (temuta) componente indefettibile nel calcolo dei danni personali, non è da sottacere che, in ultima analisi, un principio di generale risarcibilità è sempre stato fatto valere per tutti quelli che non si traducono in concreta diminuzione del reddito lavorativo del danneggiato (e che, come tali, non consentono l'applicazione del sistema valutativo tradizionale basato sui parametri dei proventi del lavoro); nei loro riguardi si ravvisava l'opportunità pratica di far ricorso ad una liquidazione equitativa, che assuma allo stesso tempo una base di apprezzamento uniforme e costante, più un «correttivo di adattamento» flessibile, (di cui in precedenza è stata fatta menzione), soggetto a variazione a seconda della peculiarità delle situazioni personali esaminate negli aspetti extralavorativi, cioè in quelli di natura familiare e sociale.

Tali situazioni hanno sempre incontrato la difficoltà di una perfetta traduzione numerica in rapporto all'espressione letterale usata nelle relazioni tecniche medico-legali, soprattutto quando queste facciano menzione di possibilità o di probabilità che il danno si proietti nel futuro, oppure diano rilievo ad un sicuro maggior impegno di energie per conservare la pienezza dell'attitudine lavorativa; rivelandosi le conclusioni dei pareri medici le più disparate e spesso difficilmente traducibili in termini di equivalenza monetaria, comportano che il giudice riservi una maggiore attenzione alla quantificazione dei rispettivi contenuti (non senza motivo si è ripetutamente affermato che il ricorso alle valutazioni equitative possa costituire un banco di prova per la diligenza del magistrato).

Ma comunque ogni pregiudizio del genere ora indicato è oggi fatto rientrare in termini di «danno alla salute»3 ed al tempo stesso è stato chiarito, motivato, accettato che nel calcolo del danno biologico non può trovare applicazione nemmeno il criterio che fa riferimento al pregiudizio patrimoniale nascente dalla menomazione della capacità di produrre il reddito personale (o quello richiamato dall'art. 4 del D.L. n. 857 del 23 dicembre 1976 convertito con la L. n. 39 del 26 febbraio 1977), in quanto si è concordemente disconosciuto che un danno di tale natura possa trovare connessione con i «requisiti e gli attributi biologici della persona» in grado di svolgere un ruolo sulle sue capacità di reddito; mentre è stato nettamente percepito il diretto collegamento con la «sfera di incidenza non patrimoniale» degli attributi stessi4, e che la sua quantificazione monetaria sia assoggettata alla disciplina dell'art. 1226 c.c., mediante «la personalizzazione quantitativa e qualitativa» di parametri in linea di principio uniformi per la generalità delle persone fisiche (ved. ancora nota 4); in pratica deve restare escluso ogni riferimento al mutamento peggiorativo generatosi sulle capacità di lavoro dell'uomo rivolte a produrre un reddito; (ed è sempre da conservare in rilievo la sentenza n. 184 del 14 luglio 1986 della Corte costituzionale, che delineò l'autonoma risarcibilità del danno-evento, a prescindere dalle sue conseguenze morali e patrimoniali...

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