Riflessioni generali sul rapporto tra il procedimento di opposizione a ordinanza-ingiunzione previsto dalla L. 689/1981 e il processo ordinario di cognizione

AutoreAldo Carrato
Pagine91-96

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Il processo di opposizione alle sanzioni amministrative è regolato, in via generale, dalle disposizioni contenute negli artt. 22, 22 bis e 23 della L. 24 novembre 1981, n. 689 1.

Invero la disciplina attinente propriamente alla regolamentazione dello svolgimento del giudizio in esame è racchiusa essenzialmente nel richiamato art. 23, dal momento che l'art. 22 si occupa dell'aspetto relativo alla sola fase introduttiva, mentre il citato art. 22 bis 2 individua i criteri attinenti al riparto di competenza in materia tra il giudice di pace e il tribunale (in composizione monocratica).

Occorre subito evidenziare che il processo in oggetto è connotato da diversi elementi di specialità che lo qualificano come un modello processuale autonomo nel panorama generale del sistema processualcivilistico, per cui si deve ritenere che gli istituti del rito ordinario in tanto possono reputarsi ad esso applicabili in quanto sussista un rapporto di compatibilità con il modello individuato dalla L. n. 689/1981, influenzato sia dalla previsione di disposizioni processuali specifiche che caratterizzano lo stesso rito speciale che, sotto altro profilo, dalla natura particolare e dall'oggetto unico propri di quest'ultino procedimento.

L'opposizione in discorso - come è risaputo - non investe soltanto la legittimità dell'ordinanza-ingiunzione 4 in sè considerata, ma tende anche - e soprattutto - ad incidere sulla verifica della ritualità formale e sulla legittimità sostanziale dell'esercizio della potestà amministrativa che sfocia nell'emissione del provvedimento sanzionatorio applicato in concreto nei confronti del cittadino.

In tal senso, quindi, l'opposizione può riferirsi ad una molteplicità di oggetti specifici che vanno dalla contestazione delle concrete modalità di manifestazione della predetta potestà sanzionatoria alla deduzione della fondatezza della pretesa emergente dall'insussistenza del fatto illecito attribuito al ricorrente, dall'inattribuibilità della condotta integrante la supposta violazione all'ulteriore deduzione della sussistenza di cause esimenti, dall'irritualità dell'accertamento e degli adempimenti relativi alla fase della contestazione all'inapplicabilità in concreto di sanzioni principali ed accessorie, e via dicendo.

Il contenuto specifico dell'atto di opposizione si ripercuote poi sulle singole richieste finali (che costituiscono il c.d. petitum immediato) che vengono formulate al giudice competente e che si traducono, in generale, nell'invocare l'annullamento totale o parziale del provvedimento sanzionatorio, nella riduzione della sanzione irrogata od anche nella declaratoria della cessazione della materia del contendere per eventi sopravvenuti 5, previa, se del caso, la sollecitazione tendente alla sospensione dell'esecutività del provvedimento impugnato.

Ad ogni modo 6 - nonostante la mancata specificazione a livello normativo di un modello di domanda introduttiva riproducente lo schema della citazione (individuato dall'art. 163 per il rito ordinario) e di un procedimento successivo organicamente cadenzato e suddiviso nelle distinte fasi della comparizione delle parti, della trattazione, dell'istruzione probatoria e della decisione - è indiscutibile che l'individuazione dell'oggetto e del contenuto dell'opposizione assume una determinata e puntuale rilevanza per le parti e per il giudice, atteso che i principi generali del divieto di mutamento della domanda e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato impongono, anche in questa materia speciale, di indicare, con sufficiente certezza, i limiti dei contenuti oggettivi e dei profili soggettivi della controversia.

Su quest'ultimo punto la giurisprudenza, già con riferimento alla disciplina anteriore alla legge novellatrice 26 novembre 1990, n. 353, era consolidata nell'affermare che l'opposizione all'ordinanza-ingiunzione introduce un giudizio di accertamento negativo della pretesa sanzionatoria il cui limite è segnato dalle causae petendi fatte valere con l'atto introduttivo, con la conseguenza che il giudice - salve le ipotesi di inesistenza dell'atto impugnato - non può rilevare d'ufficio motivi di nullità dell'atto medesimo né del procedimento amministrativo che l'ha preceduto nemmeno sotto il profilo della disapplicazione del provvedimento, mentre l'opponente ha facoltà di modificare l'originaria domanda nei limiti consentiti dagli artt. 183 e 184 c.p.c. 7, ma non può introdurre domande nuove 8.

L'atto introduttivo si identifica con un ricorso debitamente sottoscritto e ritualmente depositato nella cancelleria del giudice competente 9 nel quale devono, quindi, essere individuati, a pena di invalidità (nell'ottica generale del novellato art. 164, applicabile nella parte in cui è compatibile con struttura dell'atto stesso), l'autorità giudiziaria dinanzi alla quale lo stesso è proposto e l'autorità amministrativa nei cui confronti è formulato, oltre al petitum immediato e alla causa petendi.

Allo stesso ricorso - che, una volta depositato, costituisce l'atto di impulso per l'instaurazione del contraddittorio - deve essere allegata, a pena di inammissibilità, l'ordinanza-ingiunzione 10 impugnata 11.

A seguito del deposito del ricorso 12, il giudice investito della controversia deve fissare, con decreto, l'udienza di comparizione delle parti, ordinando contemporaneamente all'Amministrazione opposta di provvedere al deposito - entro il termine di dieci giorni 13 prima della stessa udienza - della documentazione inerente il procedimento di accertamento e di contestazione dell'infrazione elevata nei confronti dell'opponente.

Il precedente testo del comma 3 dell'art. 23 della L. n. 689/1981, malgrado la novellazione della disciplina riguardante i termini a comparire del processo ordinario introdotta con la L. n. 353 del 1990, era rimasto immutato nel suo richiamo al dettato dell'art. 313, il quale, in dipendenza della stessa riforma processuale, era invece tenuto a regolamentare l'incidente della querela di falso nel procedimento dinanzi al giudice di pace ed aveva visto abrogato il precedente riferimento alla pregressa disciplina dei termini aPage 92 comparire che caratterizzavano il procedimento pretorile14.

Questa discrasia era stata superata dalla diffusa interpretazione della dottrina nel senso di ritenere che non poteva mettersi in dubbio che il precedente espresso richiamo alla normativa del codice di procedura civile in relazione ad una disposizione che era stata contenutisticamente modificata avesse inteso implicare anche la modifica della disciplina speciale, con la conseguenza che essa, sul punto, si doveva intendere uniformata alla normativa generale, una volta appunto abrogato il vecchio art. 313 c.p.c.

Il problema è stato risolto con la sopravvenuta sostituzione del citato terzo comma dell'art. 23, ad opera dell'art. 99 del D.L.vo n. 507/1999, attraverso la quale è stata prevista l'uniformazione - sotto questo profilo - del processo di opposizione ad ordinanza-ingiunzione a quello di cognizione ordinaria. Infatti la modificata disposizione sancisce che i termini minimi a comparire da osservare sono quelli stabiliti dall'art. 163 bis del codice di rito.

Pertanto l'udienza di comparizione deve essere determinata tenendosi conto che tra essa e la data di notificazione alle parti intercorrano almeno sessanta giorni liberi (con tutte le conseguenze che ne derivano, in difetto della relativa osservanza, alla stregua della norma generale di cui all'art. 164, comma 3, c.p.c.), non perdendo di vista che l'onere degli adempimenti è posto a carico della cancelleria, la quale, in caso di mancata elezione di domicilio da parte del ricorrente secondo le modalità stabilite dall'art. 22, comma 4, della L. n. 689/1981, è autorizzata ad effettuare le comunicazioni al ricorrente presso sè stessa.

Contestualmente alla domanda principale di annullamento dell'ordinanza-ingiunzione (o di altro equiparabile, cui viene aggiunta, di frequente, la richiesta subordinata di riduzione della sanzione), nel ricorso è spesso contenuta anche la formulazione di una richiesta di sospensione - che deve essere confortata dalla deduzione di «gravi motivi»15 - dell'esecutività del provvedimento amministrativo sanzionatorio impugnato, come del resto è implicitamente consentito sulla scorta dell'ultimo comma dell'art. 22 della L. n. 689/1981, il quale, peraltro, formalmente prevede che si debba incidere sulla stessa con «ordinanza inoppugnabile» 16.

Se a questo tipo di sospensione si deve conferire - come è indubitabile 17 - natura cautelare, occorre verificare in concreto, facendo leva sul disposto generale dell'art. 669 quaterdecies c.p.c. (nella parte in cui pone riferimento anche ai provvedimenti cautelari sparsi in leggi speciali), quale sia il limite di compatibilità con il c.d. procedimento cautelare uniforme 18.

In sintonia con gli indirizzi dottrinali certamente più convincenti sul punto 19 si deve certamente escludere l'ammissibilità della proposizione ante causam di una tale domanda cautelare 20, così come si deve negare che sia introducibile un giudizio di merito distinto ed autonomo rispetto ad essa ed in modo altrettanto negativo ci si deve orientare con riferimento alla proponibilità del rimedio del reclamo.

Invero la peculiarità del rito disciplinato dalla L. n. 689/1981 àncora la cognizione dell'istanza allo stesso giudizio di opposizione - prevedendone, quindi, la sua adottabilità all'interno dello stesso processo, una volta sollecitata l'instaurazione del relativo contraddittorio con la domanda principale di annullamento - e conferisce l'attribuzione dell'inerente potere in via esclusiva allo stesso giudice investito del ricorso introduttivo del giudizio di merito, senza obliterare il dato che il pertinente provvedimento di indole cautelare è qualificato testualmente, nella norma speciale, come inimpugnabile, non profilandosi, per converso, incompatibile il ricorso agli strumenti della revoca o modifica e a quello della cauzione...

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