L'autorità competente alla rinnovazione della citazione e la regola di regressione: un equanime definitivo rimedio delle sezioni unite ad uno sterile empasse ermeneutico giurisprudenziale

AutoreCarlo Dell'Agli
Pagine485-487

    Questo scritto è dedicato alla memoria dell'avv. Michele Pierro, Presidente dell'Ordine degli Avvocati di Latina.


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Con la pronuncia che si annota, la Suprema Corte, a sezioni unite - cui la terza sezione penale della Corte 1, rilevando in più di qualche occasione la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale, ha rimesso il proprio ricorso - interviene, con eccezionale versatilità ed assoluta correttezza sotto il profilo della legittimità, a dirimere (ancora una volta) specificamente delle questioni «sulle quali nella giurisprudenza della Corte esiste contrasto...» inerenti, in ordine logico, la prima, se al termine di comparizione statuito dal comma 3 dell'art. 552 c.p.p., si debba far valere la sospensione dei termini prevista per il periodo feriale, la seconda l'esatta individuazione dell'organo competente deputato alla rinnovazione della notificazione del decreto di citazione a giudizio viziata da mera nullità o verificata per inosservanza dei termini statuiti dall'articolo citato, ove «occorre stabilire se in questo caso il giudice del dibattimento sia tenuto a provvedere alla rinnovazione della notificazione o debba trasmettere gli atti al pubblico ministero», ed infine la terza - premesso che sia demandato all'organo giudicante l'incarico di rinnovo della notificazione - la questione sulla abnormità del provvedimento con cui il giudice medesimo «invece di provvedere direttamente, restituiva gli atti al pubblico ministero imponendogli di rinnovare la notificazione» 2.

Per meglio comprendere il contenuto semantico nonché l'apprezzabile portata della pronuncia in commento, affrontata ed interpretata invero con pregevole risolutezza, è necessario, in tale sede, svolgere un'analisi delle diverse posizioni - assunte nell'ambito della giurisprudenza della Corte - dalle quali emergono interessanti osservazioni sul tema dei riflessi della disciplina de qua e da cui discende il principio ermeneutico affermato dalla Suprema Consulta.

Il tema particolarmente controverso, cui era stata chiamata la Corte a risolvere il contrasto giurisprudenziale, si sviluppa in tre punti, ma sostanzialmente in due in quanto il primo - riguardante «l'applicabilità della disciplina della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale al termine stabilito dall'art. 552 comma 3 c.p.p. [...] ... con riferimento alla notificazione del decreto di citazione a giudizio» 3 - non rappresenta «oggetto dei motivi di ricorso».

La Corte, infatti, non si era pronunciata su tale questione perché «l'eventuale errore di diritto relativo all'applicazione della disciplina della sospensione dei termini processuali non sarebbe rilevabile di ufficio».

Invero - ai fini della decorrenza del termine per la comparizione dell'imputato nel giudizio di secondo grado - l'istituto della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale non può far valere la propria influenza con specifico riguardo alla notificazione del decreto di citazione a comparire in giudizio, i cui termini in tale periodo devono essere sospesi.

Quanto, invece, alla seconda questione insorta all'osservazione di quale sia l'onere del giudice, in ipotesi in cui venga rilevata l'omessa o tardiva notificazione del decreto di citazione statuito dall'art. 552, comma 3, c.p.p., la giurisprudenza di legittimità si era già occupata di tale problematica con riguardo, in particolare, alle conseguenze dell'inosservanza del termine di comparizione fra la notifica del decreto di citazione e l'udienza 4.

La corretta soluzione delineata dal giudice di legittimità è certamente confermativa dell'indirizzo che, già espresso in una precedente pronuncia delle sezioni unite 5, ribadisce l'orientamento giurisprudenziale che si è andato consolidando ove si chiosa che «la rinnovazione della citazione a giudizio, prevista nella norma in esame, sia istituto penale processuale che può operare nelle situazioni in cui - regolarmente e validamente compiuti gli atti occorrenti per la instaurazione del rapporto processuale, inerente alla fase giudiziale del processo - insorga e solo ai fini della permanenza della validità della ulteriore prosecuzione del giudizio, la necessità di ricitare l'imputato».

La questione, invero, come sopra illustrata, è stata oggetto di notevole contrasto (la problematica riguardava illo tempore la competenza del pretore deputato alla rinnovazione del decreto di citazione a giudizio pronunciato dal P.M., in ipotesi di nullità declarata dal medesimo) tanto da essere, in passato, sottoposta varie volte al giudizio delle Sezioni unite penali le quali si erano pronunciate con varie sentenze.

Qui si possono richiamare alcuni avvenimenti significativi di pronunce in tal senso: Cass. Sez. un. 18 giugno 1993, ric. P.M. in proc. Garonzi, cit., la quale - nello stimare il principio abnorme del provvedimento - ebbe a ritenere l'applicabilità dell'art. 143 disp. att. c.p.p., in tema di rinnovo della citazione a giudizio da parte del Presidente del collegio, anche nel giudizio pretorile e che, quindi, deputato a tale rinnovazione è proprio il pretorePage 486 attese le circostanze nelle quali, validamente e ritualmente eseguiti gli atti necessari per l'instaurazione del rapporto processuale sia necessario ricitare l'imputato. Tale assunto, in concreto, nello sforzo unicamente di non vanificare la valida prosecuzione del giudizio. (Nella fattispecie il giudicante aveva disposto la restituzione degli atti al P.M. perché la propria cancelleria curasse la rinnovazione della citazione dell'imputato sul presupposto che il dibattimento era stato iniziato da altro magistrato).

Al riguardo, sono sorte non poche perplessità in dottrina sulla intransigente disunione tra nullità che ridurrebbero notevolmente l'effetto sulla regolarità della stessa costituzione del rapporto processuale inerente al giudizio e quelle che, in opposta direzione, ne scongiurerebbero l'invalidità.

In questa prospettiva si era desunto che le Sezioni unite, nel richiamare il concetto costitutivo del regolare rapporto processuale, intendessero esplicitamente fare riferimento all'avverarsi di un mero errore nel corso dell'azione penale, ritenendo che, idonee a generare la regressione del procedimento penale - fra le ipotesi di nullità del decreto di citazione - fossero le uniche nelle quali siano state rilevate invalidità o carenze riflettenti sulla regolarità della...

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