Il nuovo regime impugnatorio delle decisioni di primo grado nel giudizio di opposizione a sanzioni amministrative

AutoreAldo Carrato
Pagine397-400

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L'ultimo comma dell'art. 23 della L. n. 689 del 1981 - prima della sua abrogazione per effetto dell'art. 26, comma 1, lett. b) del D.L.vo 2 febbraio 2006, n. 401 ed applicabile alle ordinanze pronunciate ed alle sentenze pubblicate a decorrere dal 2 marzo 2006 - sanciva l'inappellabilità delle sentenze di primo grado emanate nei giudizi di opposizione ad ordinanza-ingiunzione (cui venivano equiparati i giudizi similari, come quelli avverso i verbali di accertamento in materia di violazioni stradali e quelli relativi alle cartelle esattoriali presupponenti un illegittimo esercizio della pretesa sanzionatoria a monte). Al riguardo, si osservava che il carattere di specialità che contraddistingueva in modo evidente l'intero procedimento, giustificava - nell'impostazione originaria della stessa legge depenalizzatrice - che tali sentenze non potevano essere appellate, ma solo impugnate direttamente dinanzi alla Corte di cassazione, in quanto si considerava che, rispetto al procedimento in questione, il codice di rito si poneva come lex generalis2, ad eccezione dell'ipotesi in cui l'oggetto della sanzione amministrativa impugnata fosse riconducibile a prestazioni previdenziali od assistenziali, nel qual caso, prima dell'esperimento del ricorso per Cassazione, era ritenuto esercitabile il rimedio ordinario dell'appello.

A seguito della richiamata soppressione dell'ultimo comma del citato art. 23 della L. n. 689/1981 (e, perciò, della previsione del regime speciale d'impugnabilità delle sentenze emesse nella materia delle sanzioni amministrative, ad ecczione di quelle ricadenti nell'ambito di applicabilità del disposto di cui all'art. 35 della stessa legge), il Legislatore, dunque, ha inteso estendere alle sentenze3 - senza individuare alcun'altra specifica disciplina - il regime impugnatorio ordinariamente applicabile, ai sensi della norma generale di cui all'art. 339, comma 1, c.p.c., alle sentenze di primo grado e, perciò, stabilire che le stesse - sia se emesse dal giudice di pace che dal tribunale in composizione monocratica (in dipendenza delle rispettive competenze fissate nell'art. 22 bis della stessa L. n. 689/1981) - rimangono assoggettabili ordinariamente all'appello, il quale dovrà essere proposto dinanzi al tribunale in composizione monocratica (non ricadendosi in una delle ipotesi di attribuzione alla decisione collegiale previste dall'art. 50 bis c.p.c.) nel caso in cui venga impugnata una sentenza del giudice di pace e davanti alla corte di appello per l'eventualità in cui ad essere impugnata sia una sentenza di primo grado emanata dal tribunale.

Nel rinnovato quadro normativo4, quindi, la regolamentazione delle impugnazioni delle sentenze in materia di sanzioni amministrative5 è stata sottratta al precedente regime speciale ed incanalata lungo la linea della disciplina impugnatoria comune, con la corrispondente possibilità di sottoporre dette sentenze ad un doppio gravame di controllo, il primo di merito (con l'appello) e il secondo di legittimità (mediante il ricorso per Cassazione).

Il conseguente problema principale da risolvere in proposito riguarda - nel silenzio del Legislatore (che si è limitato - come detto - soltanto ad un intervento soppressivo della pregressa previsione della sottoposizione delle menzionate sentenze al solo ricorso per Cassazione)6 - l'individuazione del rito da osservare in questa materia e, quindi, degli aspetti della disciplina ordinaria che si possano ritenere compatibili con siffatto rito, qualora si ritenga che esso debba rimanere improntato ad un principio di specialità, ricalcando - per quanto possibile - la sequenza processuale prevista per il giudizio di primo grado.

Il punto di partenza per l'esame di siffatta questione non può che essere costituito dalla norma (concepita, peraltro, come norma «di chiusura» nella disciplina complessiva dell'appello) desumibile dall'art. 359 c.p.c., la quale - individuata come disposizione generale in tema di appello - stabilisce che nel procedimento di appello «si osservano, in quanto applicabili, le norme dettate per il procedimento di primo grado davanti al tribunale», salva l'incompatibilità con le norme specifiche contemplate dal Legislatore per il giudizio di appello.

Orbene, alla stregua di questa previsione - pur essendo concepita come riferibile al giudizio ordinario di cognizione disciplinato, in via principale, dal codice di rito - appare sostenibile che, facendo salva la contemplata «clausola di compatibilità» e lasciando impregiudicati gli specifici regimi processuali, previsti per particolari riti7, in difetto di un'esplicita volontà contraria evincibile dalla legge, debba intendersi perseguita, anche in relazione alle sentenze di prima istanza previste dall'art. 23 della L. n. 689/1981, una tendenza a sal-Page 398vaguardare - per quanto possibile - l'omogeneità tra gli aspetti procedimentali del giudizio di primo grado e quelli del processo di appello.

Questa si prospetta come l'opzione preferibile8, e pertanto, l'indagine da condurre ulteriormente concerne l'accertamento degli aspetti processuali di primo grado che possono essere trasferiti nel giudizio di appello e la verifica dei profili che si pongono in una condizione di incompatibilità con questo grado di giudizio, rilevandosi, in proposito, che l'analisi non può che essere sviluppata tenendo presente, come parametro di riferimento, proprio la disciplina racchiusa nello stesso art. 239.

Procedendo in tal senso, ed operando i necessari adattamenti, si può cominciare evidenziando che il...

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