Quando il mancato guadagno può essere provato per presunzione

AutoreVilla Alessandro
CaricaAvvocato, foro di Monza
Pagine436-436
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giur
5/2012 Arch. giur. circ. e sin. strad.
LEGITTIMITÀ
QUANDO IL MANCATO
GUADAGNO PUÒ ESSERE
PROVATO PER PRESUNZIONE
di Alessandro Villa (*)
Ancorché, ad oggi, il dibattito giurisprudenziale sia
maggiormente concentrato sui danni non patrimoniali, il
nocumento patrimoniale non può essere considerato una
problematica ormai superata e priva di interesse. Già nel
1800 la dottrina italiana si interrogava in merito alla quan-
tif‌icazione della voce di danno in commento tanto che è
ormai nota la regola del calzolaio enunciata da Melchiorre
Gioia con la pretesa di individuare, una volta per tutte,
un criterio che stabilisse le modalità di rifusione di tale
voce di nocumento “un calzolaio, per es., eseguisce due
scarpe e un quarto al giorno: voi avete indebolito la sua
mano in modo che non riesce più a fare che una scarpa: voi
gli dovete il valore della fattura di una scarpa, e un quarto
moltiplicato pel numero de’ giorni che gli restano di vita,
meno i giorni festivi. Il numero de’ giorni che restano ad
ogni individuo, allorché è nota la di lui età, risulta dalle
tavole di mortalità che ormai tutti conoscono”. Ormai
abbandonata la visione cartesiana del corpo umano, ove
detto era considerato quale semplice supporto materiale
dell’anima individuale, ovverosia “impalcatura neutra e
priva di valore proprio”, ben può affermarsi che tale, tra
l’altro, è anche un mezzo per produrre reddito. Capacità
da ricomprendersi in quelle che oggi sono denominate at-
tività realizzatrici della persona umana; ne consegue che
qualora il corpo umano venga compromesso a tal punto da
diminuire la capacità di produrre reddito detta circostan-
za ben può essere oggetto di una richiesta risarcitoria.
Il diritto vivente suole distinguere la capacità lavorativa
generica, intesa quale potenziale attitudine all’attività la-
vorativa da parte di un soggetto che non svolge e non è in
procinto di svolgere attività produttive di reddito, da quella
specif‌ica ovverosia la compromissione della possibilità di
espletare l’attività in concreto svolta dal danneggiato. Men-
tre la prima voce deve essere ricompresa nel danno biologi-
co (v. Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26973; Cass.
civ., sez. III, 25 novembre 2010, n. 23259 ove “la motivazio-
ne della Corte f‌iorentina, confonde tra capacità lavorativa
generica, gravemente compromessa, e risarcibile come
componente del danno biologico, e la perdita dalla capacità
lavorativa specif‌ica in relazione alle chances patrimoniali,
riferibili all’impossibilità di poter svolgere un lavoro che
richiede il pieno possesso delle energie f‌isiche in relazione
alle prestazioni ausiliarie proprie di una infermiera. Vedi
sul punto le Sezioni Unite, sentenza dell’11 novembre 2008
n. 26973, allorché recepiscono la def‌inizione complessa del
danno biologico, che include anche la posta del danno per
la perdita della capacità generica, come da consolidata
giurisprudenza delle sezioni semplici”), da intendersi
quale estrinsecazione di tutti gli effetti negativi del fatto
lesivo che incidono sul bene della salute in sé considerato
(v. Cass. civ., 18 aprile 2003, n. 6291, in questa Rivista 2003,
948). Per converso la perdita della capacità lavorativa
specif‌ica, secondo il costante orientamento della Corte di
Cassazione, necessita di un’autonoma liquidazione rispetto
al danno biologico (si veda ancora Cass. civ., 18 aprile 2003,
n. 6291, cit.). Ovviamente, nel pieno rispetto dell’articolo
2697 c.c. il quale statuisce che “chi vuol far valere un di-
ritto in giudizio deve (ha l’onere di n.d.r.) provare i fatti
che ne costituiscono il fondamento”, spetta al soggetto leso
dimostrare in concreto la perdita del reddito (Cass. civ.
10 ottobre 2007, n. 21140). Sul punto, tuttavia, sussistono
due differenti opinioni. Un primo indirizzo, rinvenibile
nella giurisprudenza di merito, sostiene che il mancato
guadagno non può essere provato presuntivamente (v.
Trib. Mantova 13 giugno 2006, n. 21140 ove “pur essendo
certamente probabile che i postumi residuati abbiano inci-
so sulla capacità lavorativa dell’attore, come emerso della
consulenza esperita, il mancato guadagno non può essere
riconosciuto non essendo possibile effettuare un giudizio
attendibile sulla probabile misura di detta riduzione e,
quindi, sull’entità del danno patrimoniale patito dall’at-
tore”) ma è necessario “appurare precisamente i costi e i
ricavi degli anni precedenti al fatto illecito onde determi-
nare precisamente, sulla scorta dei risultati medi, l’entità
dell’utile perso dal soggetto leso” (Trib. Mantova, 2 luglio
2010, n. 2589). Per converso la giurisprudenza di legittimi-
tà è orientata a sostenere che “il danno patrimoniale futuro
deve essere valutato su base prognostica avvalendosi anche
delle presunzioni semplici” (Cass. Civ., sez. II, 25 gennaio
2008, n. 1690). La sentenza in esame, prendendo spunto
da tale orientamento, ha argomentato che il mancato gua-
dagno può essere provato presuntivamente solo qualora
la compromissione della capacità lavorativa specif‌ica sia
rilevante e il soggetto leso svolga già un’attività lavorativa.
Si badi bene: non si tratta di un semplice automatismo,
la rifusione di tale voce di danno è soggetta comunque al
principio dell’onere della prova (ut supra) che può essere
raggiunta anche mediante l’utilizzo di presunzioni sempli-
ci. Ne consegue che la Compagnia solvente è ammessa alla
prova contraria ovverosia può dimostrare che nonostante
la compromissione delle capacità lavorativa specif‌ica di
notevole entità non vi sia stato un pregiudizio di carattere
economico. Si conf‌ida che la posizione della Corte di legit-
timità, ancorché non espressa dalle Sezioni Unite, possa
dirimere i contrasti sorti nei Tribunali di merito in quanto,
sovente, fornire la prova circostanziata del mancato guada-
gno si risolve in una “probatio diabolica” che lascia privo di
tutela il soggetto leso.
(*) Avvocato, foro di Monza.

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