Quando La Fiscalità Sulla Casa Era Giusta...

AutoreCorrado Sforza Fogliani
Pagine118-119
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var
1/2018 Arch. loc. cond. e imm.
VARIE
QUANDO LA FISCALITÀ
SULLA CASA ERA GIUSTA…
di Corrado Sforza Fogliani
Lo stato liberale ha sempre conosciuto un’imposizio-
ne reddituale. Reddituale era la legge del 1865 istitutiva
dell’imposta fabbricati. Reddituale era (e dovrebbe esse-
re anche oggi, formalmente) il Catasto, anche in reazione
ai Catasti preunitari (che – illiberali – erano invece tutti
patrimoniali, o sostanzialmente patrimoniali). La legge n.
2136 dell’anno in questione, istitutiva dell’imposta anzidet-
ta, era applicata sulla base delle dichiarazioni degli stessi
contribuenti (e così potrebbe benissimo farsi anche oggi: si
risparmierebbero spese e burocrati a non f‌inire, ma la legge
dovrebbe naturalmente comminare sanzioni anche penali
gravissime ed i giudici dovrebbero poi effettivamente ap-
plicarle, esattamente come 150 anni fa si faceva). Con la
legge in questione si colpirono con aliquota uniforme pro-
porzionale i fabbricati ed ogni altra costruzione, nonché i
mulini, i bagni natanti, i ponti volanti, le chiatte, eccetera.
Venivano esentati soltanto i fabbricati destinati al culto, i
cimiteri e le loro dipendenze, i beni demaniali dello stato,
e le costruzioni rurali destinate esclusivamente all’abita-
zione dei coltivatori, al ricovero del bestiame o alla conser-
vazione e prima manipolazione dei prodotti agrari, purché
appartenenti ai proprietari dei terreni a cui servivano. Il
reddito netto dei fabbricati soggetti all’imposta si otteneva
deducendo dalla rendita lorda (ridotta a un terzo per gli
opif‌ici e di un quarto per ogni altro fabbricato) le spese di
manutenzione ordinaria e straordinaria, mentre nessuna
detrazione si accordava per decime, canoni, livelli e f‌itti
d’acqua (A. CELOTTO, Alle origini della legge n. 2136 del
1865, in: “A 150 anni dall’istituzione dell’imposta redditua-
le sui fabbricati -1865”, Confedilizia edizioni). Così dovreb-
be essere anche oggi (uff‌icialmente), quando la tassazione
immobiliare è invece per più del 50 per cento patrimoniale,
per il 30 % sui trasferimenti e solo marginalmente reddi-
tuale. L’equivoco (e l’effetto patrimoniale delle nostre tas-
se) è nato più di 25 anni fa e dura da allora. Le vigenti ren-
dite catastali (sulla cui base – anziché sulle dichiarazioni
di cui s’è detto – si calcola oggi l’imposizione) dovrebbero
infatti rappresentare i cosiddetti “redditi correnti”, cioè i
canoni effettivamente percepibili, depurati dalle spese e
dalle tasse (per i catastisti, il 30 per cento dei canoni stes-
si). Invece, non li rappresentano per niente: la revisione
del 1990 ha censito solo i valori di mercato, trasformando-
li poi in una sorta di (f‌inte) rendite con l’applicazione di
tre coeff‌icienti elementari (1, 2 e 3, rispettivamente per
case, uff‌ici e negozi). Oggi, così, molti credono di pagare le
imposte sui redditi (che dovrebbero essere rappresentati
dalle rendite), ma in realtà – soprattutto per le case – le
pagano sul valore catastale degli immobili, come fonda-
mentalmente è. Tanto che le rendite del ‘90 furono boccia-
te dal Tar e dal Consiglio di stato nonché, di fatto, dalla
Corte Costituzionale (che rinviò soltanto gli effetti della
bocciatura: così, a tutt’oggi sono ancora bellamente ope-
ranti!), su ricorsi della Confedilizia. E non è ancora f‌inita.
Quelle rendite sono infatti state tutte aumentate: prima,
del 5 per cento dal governo Prodi, e poi dal governo Monti
(del 60 per cento, per le case). Rappresentano oggi solo il
supporto a una tassazione di tipo patrimoniale, che fra una
chiacchierata e l’altra viene (comunque) paradossalmente
mantenuta in vita, in tal modo esercitando la sua funzione
progressivamente, anche surrettiziamente, espropriatrice,
in particolare bloccando i consumi. È noto, infatti, agli stu-
diosi della materia che l’andamento dei prezzi delle case
d’abitazione è del tutto simile a quello dei consumi: se di-
minuiscono i primi, diminuiscono anche i secondi.
I discorsi di Einaudi in Parlamento (cfr. L. EINAUDI,
Le libertà economiche, vol. III°, a cura di M. BERTONCINI
e ALDO G. RICCI, Libro aperto, ed., in 4° ca, pagg. 230,
euro 15) confermano questa visione liberale della tassa-
zione (solo una volta – nella sua vita – Einaudi, dalla sua
posizione in un’alta carica istituzionale, avallò un’imposta
patrimoniale: prima di tutto perché davvero straordina-
ria – come in effetti fu – e, in secondo luogo, perché essa
doveva essere l’ultimo anello di congiunzione col passato
– così giustif‌icò la cosa il Nostro – e la situazione eccezio-
nalmente negativa che esso aveva lasciato, prima di tran-
sitare ad un sistema del tutto nuovo e su basi oneste, da
parte del Fisco e da parte dei contribuenti).
Proprio in un passo di un discorso alla Costituente nel-
la pubblicazione in questione riportato, Einaudi stronca
senza pietà alcuna – e da un non conosciuto, f‌inora, acuto
e nuovo punto di vista – l’idea in sé della tassazione patri-
moniale: “Il concetto dell’imposta patrimoniale – eviden-
zia e sottolinea il Maestro – riposa sull’idea sbagliata che
esista, salvo casi rarissimi e trascurabili, un patrimonio il
quale non abbia la sua corrispondenza in un reddito”.
Pochi anni dopo l’Unità, lo Stato liberale compì dunque
una grandiosa opera di unif‌icazione legislativa, opera im-
mane che ancor oggi desta la nostra ammirazione. Alcuni
dei principii allora f‌issati sono tuttora presenti nel nostro
ordinamento giuridico.
Per i fabbricati – a razionalizzare la disastrata e di-
versif‌icata situazione preunitaria, caratterizzata da ampi
spazi di imposizione patrimoniale, come s’è detto – venne
varata una legge strettamente reddituale (come pure s’è
già detto), che raggiungeva dunque il duplice obiettivo di
favorire la messa a reddito (e quindi la sistemazione edi-
lizia) dei beni e, altresì, di realizzare una perequazione
tributaria prima sconosciuta, e tutto questo nell’ambito
di una razionalizzazione dell’imposta che si volle basata
sui redditi, e solo sui redditi (un criterio – tassazione pro-
porzionale “agli averi”, prescriveva lo Statuto albertino –
sempre seguito, come pure già sottolineato, dalla classe
dirigente liberale, che di questo fece un suo punto fermo

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