Quale qualifica per il difensore-investigatore?

AutoreFederico Cerqua e Matteo Pellacani
Pagine609-612

    I paragrafi 1, 2 e 5 sono stati redatti da FEDERICO CERQUA; i paragrafi 3 e 4 sono stati redatti da MATTEO PELLACANI.


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@1. La recente decisione delle Sezioni unite.

Merita certamente una particolare attenzione la recente soluzione interpretativa offerta dalle Sezioni unite in ordine alla qualifica soggettiva del difensore, che procede alla verbalizzazione delle informazioni assunte 1, anche in relazione all'ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale sviluppatosi sul tema 2.

Le Sezioni unite, nel condividere la tesi accolta nei precedenti gradi di giudizio 3, hanno affermato che integra il delitto di falso ideologico di cui all'art. 479 c.p. la condotta del difensore che utilizza processualmente le dichiarazioni acquisite dalle persone informate sui fatti verbalizzate in modo infedele.

@2. Una diversa opzione interpretativa: la qualifica privatistica del difensore verbalizzante.

Il principio enunciato dalla decisione si pone in netto contrasto con l'opzione interpretativa seguita da larga parte della dottrina, secondo cui il difensore mantiene la propria natura privatistica anche nel momento in cui verbalizza le dichiarazioni assunte nel corso delle indagini 4. L'impossibilità di qualificare il difensore che svolge indagini come pubblico ufficiale discenderebbe, in primo luogo dagli artt. 24, comma 2, e 111 Cost., i quali garantirebbero a tale soggetto «la massima libertà nello svolgimento della difesa al fine di ottenere il provvedimento giurisdizionale più favorevole al proprio assistito; mentre un difensore-pubblico ufficiale non godrebbe di questa libertà, in quanto, svolgendo una pubblica funzione giudiziaria, dovrebbe collaborare con il giudice nella ricerca della verità anche contro l'interesse dell'imputato, il quale si troverebbe a fronteggiare da solo la pretesa punitiva dello Stato» 5.

Inoltre, la natura privatistica dell'attività svolta dal difensore, si fonderebbe sul suo ruolo di esercente un servizio di pubblica necessità ex art. 359 c.p. 6. Alla luce dell'art. 359 c.p., il difensore dovrebbe infatti essere inteso come un soggetto che «esercita un'attivitàPage 610 privata in nome e per conto proprio, non collegata alla pubblica amministrazione, investito dell'incarico difensivo in giudizio mediante un atto di nomina che dà vita ad un rapporto contrattuale privatistico» 7.

Secondo questa tesi la qualifica del difensore non sarebbe mutata neppure in seguito all'entrata in vigore della L. n. 397 del 2000 per effetto della quale è stato attribuito al difensore il potere di documentare le dichiarazioni ricevute e le informazioni assunte. La natura privatistica sarebbe anzi confermata dall'art. 327- bis c.p.p. che definisce l'attività di indagine come oggetto di una facoltà, funzionale alla ricerca ed all'individuazione di elementi di prova a favore del proprio assistito, in ogni stato e grado del procedimento, nell'esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione. L'investigazione difensiva sarebbe pertanto intrapresa e svolta esclusivamente all'interno del rapporto contrattuale che lega l'avvocato al proprio assistito 8. Ulteriore riscontro della veste privatistica del difensore sarebbe fornito dall'art. 358 c.p.p. che, disciplinando l'attività di indagine del pubblico ministero, pone a carico dello stesso anche lo svolgimento di «accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini» 9: il legislatore avrebbe quindi assegnato al difensore un ruolo simmetricamente opposto a quello attribuito all'organo della pubblica accusa 10.

Del resto, l'art. 391-octies c.p.p., là dove prevede la facoltà del difensore di scegliere se e quando portare a conoscenza dell'autorità giudiziaria il materiale raccolto nel corso delle sue indagini (art. 391-octies commi 1 e 2 c.p.p.) confermerebbe la diversità di posizione rispetto al pubblico ministero, che è al contrario tenuto a depositare con la richiesta di rinvio a giudizio tutti gli atti di indagine compiuti e, pertanto, anche gli eventuali elementi a discarico della persona sottoposta alle indagini. Se quindi il difensore può «tenere nel cassetto» i risultati delle investigazioni non solo quando li ritenga sfavorevoli al proprio assistito, ma anche «qualora nutra qualche perplessità in ordine all'utilità degli elementi acquisiti» 11, il potere certificativo 12 attribuito dall'art. 391-ter c.p.p. al legale non intaccherebbe dunque la sua qualifica privatistica.

La dottrina ha svolto inoltre un duplice ordine di considerazioni per le quali, su un primo piano soggettivo, rileverebbe sia la facoltà di procedere ad un colloquio informale e prodromico rispetto ad ogni ulteriore investigazione dalla fonte dichiarativa, sia la scelta di presentare o meno i risultati acquisiti. Sarebbero le norme deontologiche a fornire conferma. Il terzo canone dell'art. 52 del codice deontologico, stabilisce infatti che compete al difensore la scelta sull'oggetto, sui modi e sulle forme delle investigazioni, nonché sulla utilizzazione dei risultati investigativi. Del resto il sesto canone dello stesso articolo, pur prescrivendo l'obbligo per il difensore di conservare «scrupolosamente e riservatamente la documentazione delle investigazioni difensive», attribuisce all'avvocato la scelta quanto ai tempi di tale conservazione. È stato dunque osservato che «sarebbe ben singolare qualificare come atto pubblico un documento che può persino essere soppresso quando il suo autore, che pure dovrebbe avere l'obbligo di difendere la sua funzione fidefacente, preferisce disfarsene nell'interesse di quello stesso privato che gli ha conferito il mandato di svolgere indagini» 13.

Sotto un profilo soggettivo, l'inquadramento del difensore tra le persone che esercitano un servizio di pubblica necessità viene ancorato all'assoluta mancanza di poteri autoritativi. L'art. 391-bis c.p.p. esclude infatti che le persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell'attività investigativa abbiano il dovere di comparire, riconoscendo loro invece la facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione ed escludendo che possano essere ammonite a fornire il loro contributo sull'accertamento dei fatti. Da ciò consegue che «l'eventuale valore probatorio della «prova privata», quando la stessa sia versata nel procedimento, non può dunque far attribuire al soggetto che provvede ad assumerla una qualifica di pubblico ufficiale che è smentita dai limiti dettati per l'acquisizione di un contributo dichiarativo volontario» 14.

I sostenitori della natura privatistica del difensore verbalizzante rilevano inoltre come l'obiettivo di ottenere la genuinità della verbalizzazione dei risultati delle indagini sarebbe raggiunto per mezzo della tutela penale prevista dall'art. 481 c.p. Il comportamento del difensore che dovesse attestare falsamente, nella redazione del verbale ex art. 391-ter comma 3 c.p.p., fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità integrerebbe, infatti, non il reato di falso ideologico in atto pubblico previsto dall'art. 479 c.p., ma quello di falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità.

@3. La tesi accolta dalle Sezioni unite.

La controversa questione in ordine alla riconducibilità all'art. 479 c.p. della condotta del difensore, che utilizzi processualmente le dichiarazioni dei testimoni raccolte ex art. 391 bis ss. c.p.p. e...

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