Ancora qualche considerazione su sistemi di ritenuta e diritti fondamentali della persona

AutoreDavide Fornaro
CaricaDottore in giurisprudenza. Funzionario Anas
Pagine362-365

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  1. - Che anche ´piccole coseª possano contenere ´grandi principiª, è una constatazione da ritenersi decisamente valida nel mondo del diritto (e non solo in esso). Così, una vicenda abbastanza recente riguardante l'art. 172 del codice della strada (´Uso delle cinture di sicurezza e sistemi di ritenutaª) può essere l'occasione per tentare, sommariamente e senza pretese, un riepilogo circa gli assetti di talune situazioni giuridiche fondamentali evocate nella vicenda stessa.

    Relativamente al citato articolo del codice stradale è stata sollevata una questione di legittimità costituzionale 1 che ha investito, il precetto in sè: ossia l'obbligo stesso di allacciare le cinture di sicurezza. Un precetto siffatto, ad avviso del giudice rimettente, si sarebbe posto in contrasto con diversi articoli della Costituzione (in particolare artt. 2, 13 e 32) tutti postulanti una libera autodeterminazione dell'individuo in ordine al proprio corpo: autodeterminazione inconciliabile con l'obbligo, giuridicamente sanzionato, di legarsi fisicamente a un mezzo meccanico.

    L'ordinanza di rimessione, fors'anche per il suo stile bizzarro (´ritenuto che l'uso o meno dei sistemi di ritenuta al veicolo debba far parte, alla luce dei principii costituzionali delle democrazie, della discrezionalità personale, non potendosi tornare al sistema dittatoriale contro cui si sono sacrificate così tante vite di idealisti...ª), è stata commentata con sarcasmo da certa stampa di settore 2.

    Del tutto deficitaria si presentava poi la motivazione quanto a rilevanza della questione, sicché i giudici della Consulta hanno avuto gioco facile nel dichiararne tout court l'inammissibilità (Corte cost., ord. 139/2005).

    Nondimeno, la tematica appare coinvolgere aspetti di diritto sostanziale talmente ´basilariª da far ritenere che inoltrarsi nel merito della questione non sia un esercizio del tutto ozioso. Conviene chiarire subito: chi scrive (per quello che può contare la sua opinione) considera senz'altro infondata l'insolita questione di costituzionalità sopra tratteggiata. Ma, appunto per l'importanza dei principi coinvolti, i percorsi argomentativi risulterebbero piuttosto articolati 3.

  2. - Il punto è che, volendo seguire l'approccio dato dal giudice rimettente, entrano davvero in gioco principi fondamentali, i quali - giova ripetere: sempre che si accetti quella impostazione - getterebbero effettivamente serie ombre sulla conformità a Costituzione dell'obbligo di allacciare le cinture di sicurezza.

    La questione viene infatti messa unicamente sul piano della ´libertઠdell'individuo, senza riconoscere alcun rilievo alla materiale situazione nella quale il legislatore cala la (pretesa) limitazione della libertà. È evidente che in termini assoluti, cioè privi di riferimento al contesto, tutte le restrizioni alla libertà dell'uomo sono egualmente vessatorie ed egualmente intollerabili. Né sfuggirebbe a tale censura la restrizione consistente nell'imposizione di utilizzare, sulla propria persona, i sistemi di ritenuta di cui all'art. 172 c.s.; e questo non per generica petizione di principio, ma per precise ragioni giuridiche, che saranno approfondite nel paragrafo successivo.

    Salvo poi tornare indietro per mostrare come, riconsiderando la prospettiva di partenza in modo più calibrato, il problema perda la sua ragion d'essere.

  3. - Le cinture di sicurezza (come pure, del resto, il casco per motociclisti e ciclomotoristi) sono protezioni finalizzate a tutelare unicamente l'incolumità di chi le usa, non anche l'incolumità altrui, che resta del tutto estranea.

    Fatta questa scontata osservazione, e rilevata l'obbligatorietà dell'uso di tali protezioni, implicanti anche un certo grado di incidenza fisica sulla persona, bisogna interrogarsi sul fondamento di detto obbligo. È ammissibile, nel nostro sistema, imporre alla persona un puro e semplice dovere di autosalvaguardia della propria incolumità fisica? Il ´dovere di non farsi maleª (espressione lasciata volutamente generica) può avere cittadinanza nell'ordinamento giuridico?

    La risposta è negativa, per ciò che l'ordinamento giuridico stesso esprime quanto a norme, principi, acquisizioni interpretative consolidate nella dottrina.

    Entrano in gioco due disposizioni di grande portata: l'art. 5 c.c. e l'art. 32 Cost. Due veri cardini del sistema, a prescindere dalla loro diversa collocazione nella gerarchia delle fonti 4. Il ´dovere di non farsi maleª appare incompatibile sia con l'uno sia con l'altro.

    A) L'art. 5 c.c. non statuisce nel senso che, oltrepassati certi limiti, il corpo umano sia intangibile da parte di tutti ivi compreso il diretto interessato. Ove così fosse, evidentemente, il nostro dibattuto ´dovere di non farsi maleª riceverebbe piena e automatica legittimazione: se nessuno può incidere sulla mia integrità fisica, e nemmeno io ne ho la facoltà, il fondamento dell'obbligo di salvaguardia della propria incolumità si trova in re ipsa. Ma l'art. 5 c.c. ha un significato ben diverso, sul quale da decenni la dottrina italiana si mostra (pur con varie sfumature) concorde. Non è una norma dettata per fissare, materialmente, ciò che è lecito e ciò che non è lecito compiere sull'oggetto ´corpo umanoª 5; si configura, piuttosto, come norma regolatrice di rapporti, dichiarando giuridicamente non vincolanti taluni atti con cui la persona impegna il proprio corpo o parti di esso (l'invalidità dell'atto scatta quando si prospetta una menomazione fisica permanente) 6.

    Per gli atti in esame - gli ´atti di disposizioneª propriamente considerati dall'art. 5 c.c. - non bisogna pensare solo ai contratti o alle promesse unilaterali nell'accezione tecnica. Ogni manifestazione di consenso mediante la quale un soggetto intenda autorizzare un altro a intervenire nella sfera della propria fisicità rientra nel campo d'applicazione dell'art. 5 c.c. Ma è, ad ogni modo, ineliminabile la nozione di un rapporto intercorrente tra (almeno) due distinte persone, e quindi l'idea del coinvolgimento di (almeno) un'altra persona oltre al ´titolareª del corpo stesso. Page 363

    Esemplificando, l'art. 5 c.c. riguarda la cessione di capelli al fabbricante di parrucche; la donazione di organi tra vivente e vivente ai fini di trapianto; concerne altresì tutte le operazioni chirurgiche, che appunto vedono un soggetto autorizzare un altro - medico - a incidere sul suo corpo. Viceversa, la disposizione non ha nulla a che vedere con atti destinati a restare confinati nella sfera di libera autodeterminazione del soggetto. E infatti non risultano vietati né il suicidio né l'automutilazione 7; o per meglio dire, suicidio e automutilazione esulano completamente dal campo di applicazione dell'art. 5 c.c. 8.

    Insomma: l'esaminato articolo del codice civile si riferisce alla ´disposizioneª del corpo umano in senso giuridico (´mettereª il proprio corpo ´a disposizioneª di altri, con una manifestazione di volontà che sarà lecita o meno secondo...

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