Prime riflessioni sui profili applicativi della disciplina sull'acquisizione dei tabulati del traffico telefonico

AutoreGiovanni Fruganti
Pagine367-372

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  1. - Con l'introduzione e la diffusione di massa dei telefoni cellulari, e col passaggio quanto ai telefoni fissi al sistema digitale, si sono create nuove potenzialità di intrusione nella sfera relativa alle comunicazioni che avvengano appunto con tale mezzo. Rimanendo traccia dei dati esterni a ciascuna singola comunicazione nella memoria centrale degli impianti degli enti gestori è infatti possibile ricostruire il traffico telefonico di ogni singola utenza, con l'indicazione, quanto ai cellulari, del ponte radio agganciato durante ciascuna comunicazione; potendosi in tal modo accertare i contatti facenti capo all'utilizzatore del telefono e, ove si abbia a che fare con telefono cellulare, il luogo ove l'utente a quel momento si trovava, evidente ne appare l'uti lità ai fini di indagine.

    Limitandosi le disposizioni in materia a prevedere l'obbligo di cancellazione dei dati al termine della chiamata, salvo il trattamento finalizzato alla fatturazione e sino alla fine del periodo «durante il quale può essere legalmente contestata la fattura o preteso il pagamento» (art. 4 D.L.vo 13 maggio 1998, n. 171), in mancanza di qualsiasi forma di disciplina quanto all'acquisizione dei dati che, sia pure per quei limitati fini, erano pur sempre presenti nella memoria degli elaboratori degli enti gestori, la pratica si è trovata ad affrontare il problema della possibilità di acquisirli a fini penali su supporto cartaceo (e di qui il problema è stato individuato come quello dei «tabulati»), e del modo in cui ciò sarebbe dovuto avvenire. Dopo una serie di sbandamenti iniziali, peraltro comprensibili data l'assoluta novità della materia, in un ampio ventaglio di posizioni, che andava da quelle minimalistiche (peraltro iniziali) di chi ai fini dell'acquisizione riteneva sufficiente la semplice richiesta della P.G. a quella, opposta, di chi tendeva a omologarle alle intercettazioni, imponendo o auspicando il decreto del giudice, c'è stato l'intervento della S.C. a S.U. con la sentenza del 23 febbraio 2000, n. 6, che, traendo legittimazione sostanziale dalla precedente decisione della Corte cost. 281/ 98, ha affermato il principio della necessità e sufficienza del decreto dell'autorità giudiziaria, e quindi del P.M. nella fase delle indagini preliminari.

    Col decreto legislativo n. 196/03, si è di recente riordinato l'intero sistema della protezione dei dati personali «relativi al traffico riguardanti abbonati ed utenti trattati dal fornitore di una rete pubblica di comunicazione o di un servizio di comunicazione elettronica accessibile al pubblico», prevedendosi come principio generalissimo quello della cancellazione dei dati stessi quando non più necessari ai fini della trasmissione della comunicazione elettronica (art. 123, comma 1), salve eccezioni a fini commerciali previo consenso dell'interessato, e per fini funzionali ad esigenze di comprovare il traffico per l'eventualità di contestazioni da parte dell'utente, limitatamente comunque a un periodo piuttosto breve, sei mesi, salva l'ulteriore specifica conservazione funzionale ad esigenze di prova relativamente a contestazioni concretamente in atto. L'utilità di poter disporre dei dati esterni alle comunicazioni per motivi legati ad accertamenti penali aveva poi indotto a prevedere, all'art. 132, che i dati stessi fossero comunque conservati dal fornitore per il periodo di 30 mesi, secondo modalità di individuare esattamente con decreto del Ministro della giustizia.

    Sulla scia di tale disposizione, che risale quindi al luglio dello scorso anno, il legislatore è intervenuto disciplinando il fenomeno delle interferenze, nello specifico settore, tra tutela della privacy ed esigenze di accertamento dei fatti penalmente rilevanti; lo strumento all'uopo adottato è stato quello del decreto legge, pur apparendo discutibile la sussistenza dei requisiti legittimanti della straordinaria necessità ed urgenza.

    Col D.L. 24 dicembre 2003, n. 354, recante disposizioni sul funzionamento dei tribunali delle acque, nonché altri interventi per l'amministrazione della giustizia, si è regolamentato il fenomeno raddoppiandosi il periodo di vigenza dell'obbligo di conservazione di tutti quei dati, e quindi dei dati relativi ad ogni forma di comunicazione da rete pubblica o tramite servizio comunque accessibile al pubblico, espressamente finalizzato all'accertamento e repressione dei reati, che è passato da 30 a 60 (30 + 30) mesi, e prevedendosi nel primo e terzo comma che i dati per il primo periodo fossero acquisibili con decreto dell'autorità giudiziaria, d'ufficio o su istanza delle parti (e salva sempre la possibilità per il difensore di richiederli direttamente ove relativi al proprio assistito), e quanto al periodo successivo (commi 2 e 4) un'acquisizione, funzionale ai soli procedimenti relativi ai reati di cui all'art. 407, comma 2, lett. a), e per delitti in danno di sistemi informatici o telematici, così articolata:

    - il P.M. richiede l'autorizzazione all'acquisizione al giudice, che dispone in tal senso con decreto motivato;

    - analogamente, anche il difensore di qualsiasi delle parti deve rivolgersi al giudice, per poi acquisire i dati direttamente;

    - il giudice può peraltro procedere all'acquisizione anche d'ufficio, con decreto motivato.

    In sede di conversione del decreto, testimoniamo gli atti parlamentari di come il legislatore si sia prevalentemente preoccupato della costituzionalità della disposizione sotto l'aspetto della compatibilità coi principi in materia di protezione dei dati personali, sulla scia del parere, favorevole ma condizionato a talune modifiche, formulato il 22 gennaio dalla I Commissione permanente (affari costituzionali della Presidenza del Consiglio e interni). In particolare, condizionato all'esclusione dalla normativa dei dati relativi alla corrispondenza in via telematica e a un'attenta ponderazione della questione se l'estensione dell'obbligo di conservazione per il secondo periodo, seppure limitato alla finalità di perseguimento dei delitti più gravi, non comportasse una limitazione eccessiva del diritto alla protezione dei dati personali e alla libertà e segretezza delle comunicazioni. Page 368

    A tal fine, in sede di conversione si è quindi circoscritto entro ambiti più ristretti sia l'oggetto che la vigenza l'obbligo di conservazione, eliminata quanto all'oggetto l'estensione anche ai dati Internet e anzi spolpato fino a ridurlo ai soli dati del traffico telefonico, e limitato quanto alla vigenza al periodo di 48 (24 + 24) e non più 60 (30 + 30) mesi. Si è inoltre operato nel senso di delimitare entro margini ben delineati, sebbene come si vedrà piuttosto ampi, la possibilità di acquisire i dati oggetto dell'obbligo di conservazione per il secondo periodo.

    Meno interesse risulta sia stato invece riservato all'aspetto relativo alle specifiche modalità acquisitive, tant'è che gli emendamenti poi recepiti nella legge di conversione, introdotti su proposta del presidente la Commissione giustizia della Camera onorevole Pecorella, sono stati presentati dal relatore on. Falanga come funzionali a garantire una maggior conformità al principio costituzionale di parità delle parti processuali. «Si è voluto precisare - si è detto, testualmente - che spetta al giudice e non al P.M. (una delle parti processuali) autorizzare l'acquisizione dei dati su richiesta delle parti».

    Ma la tecnica adottata quanto all'introduzione nel corpo normativo dell'emendamento relativo appunto all'innovazione concernente l'autorità cui è demandata la decisione sull'acquisizione per i tabulati concernenti i primi 24 mesi (per così dire recenti), e cioè la...

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