Prefazione al Trattato di diritto civile

AutoreFrancesco Galgano
Pagine7-23

Si ringrazia il Prof. Galgano per aver consentito alla Rivista di pubblicare la Prefazione al suo Trattato di diritto civile, edito nel 2009 da Cedam.

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Questo Trattato è l'ultimo stadio di una impresa, di sistemazione organica delle materie regolate dal codice civile e dalle leggi che lo integrano, alla quale attendo da molti decenni. Avevo cominciato, al principio degli anni ottanta, con un manuale di mille pagine, il Diritto privato, destinato agli studenti, giunto ora alla quattordicesima edizione. Il manuale si era dilatato, alla fine di quel decennio, in un'opera in più volumi, di tremila pagine complessive, dal titolo Diritto civile e commerciale, progressivamente accresciuta nelle edizioni successive, fino all'ultima, la quarta edizione, del 2004. Era destinata ad un pubblico più maturo, soprattutto ai professionisti del diritto, avvocati, magistrati, notai, oltre che ai laureati che si accingono ad affrontare gli esami di ammissione alle relative carriere.

Il presente Trattato si rivolge al medesimo pubblico, ma in un quadro di riferimento che è, nel frattempo, alquanto mutato. Vuole soddisfare le esigenze di un sapere organico e sistematico in un'epoca di vaste e incessanti trasformazioni delle fonti del diritto civile, e caratterizzata, in modo sempre più invasivo, dalla proliferazione dell'editoria giuridica iperspecializzata su temi settoriali e, soprattutto, dominata dall'avvento di tecniche di informazione telematica, che parcellizzano la conoscenza del diritto, creando l'illusione- ma solo di illusione si tratta- che una rapida e puntuale informazione possa sostituire i classici strumenti della formazione giuridica. Sono ragioni in più, rispetto a quelle già avvertibili in passato, per riportare il nuovo che avanza, e che si manifesta con le odierne tecniche di informazione, entro l'unità del sistema del diritto civile.

Una prefazione sul perché di questo Trattato e sul come sia stato concepito deve prendere le mosse da più lontano.

Penso di non togliere nulla alla meritata fama che circondò il nome di Francesco Messineo se dico che la fortuna che, negli anni cinquanta, incontrarono i volumi del suo Manuale di diritto civile e commerciale fu soprattutto dovuta al fatto che egli seppe soddisfare un bisogno profondamente sentito tanto dai teorici quanto dai pratici del diritto, nella scuola come nelle aule di giustizia: quello di una trattazione Page 8 estesa all'intera materia del codice civile e delle leggi ad esso collegate e, ad un tempo, dotata di quella organicità che solo la mano di un unico autore può imprimere. Il Manuale di Messineo, avvertì negli anni ottanta Giorgio De Nova, era allora «la dottrina», non una dottrina: era il sistema completo del diritto privato, capace di dare risposta a ciascun problema, ed una risposta coordinata con la risposta data ad ogni altro problema; e De Nova si rammaricava che «nessuna opera di pari ampiezza e di un'unica mano l'ha poi sostituita». La sua fama, in lontani continenti, è ancora immutata: mi è accaduto, in un recente viaggio in Argentina, di sentirmi chiedere se avevo conosciuto di persona Francesco Messineo, ed alla mia risposta affermativa ha fatto seguito un'ulteriore domanda; mi è stato chiesto di descrivere com'era, fisicamente.

Nei decenni successivi all'opera di Messineo le trattazioni sull'intero diritto privato si sono, per un verso, contratte nei limiti dei manuali di istituzioni e, per altro verso, dilatate a dismisura in grandi trattati e grandi commentari, curati da più autori e, talvolta, da una moltitudine di autori. Non voglio essere critico nei confronti dell'uno o dell'altro genere letterario: io stesso mi sono cimentato, e mi cimento tuttora, nell'uno come nell'altro, dirigendo il Commentario del codice civile fondato da Scialoja e Branca e il Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, da me stesso fondato. Proprio per l'esperienza che ho di entrambi i generi posso però dire che entrambi svolgono funzioni essenziali, ma che né l'uno, né l'altro sono in grado di assolvere la funzione a suo tempo assolta dall'antico Messineo: i «manuali per le matricole», per usare l'espressione di Rodolfo Sacco, non possono e non debbono impartire che i primi rudimenti; le grandi opere collettive non possono soddisfare, per la molteplicità delle mani che concorrono a formarle, il bisogno di sapere sistematico e coordinato dei giovani laureati o l'esigenza di rapido e sicuro orientamento degli operatori professionali del diritto. Il grande mercato che i manuali di istituzioni di diritto privato trovano- come gli editori attestano- presso laureati e professionisti dimostra quanto siano avvertiti, pur dopo il completamento degli studi universitari, quei bisogni di sapere sistematico e coordinato, di sicuro e rapido orientamento. Li si soddisfa in modo inadeguato piuttosto che lasciarli affatto delusi. Ricordo che Walter Bigiavi, un giurista che ha dominato la scena della cultura giuridica italiana della metà del Novecento, avvertiva il bisogno di tornare sui manuali. Un giorno, da suo giovane allievo qual ero allora, lo trovai intento nella lettura delle Istituzioni di diritto civile di Trabucchi. Non le consultava, le leggeva, perché da saggista qual era sentiva, mi spiegò, l'esigenza di tornare al generale quadro di riferimento.

L'opera di Messineo è qui rievocata come la soddisfazione di un bisogno tuttora avvertito e non più soddisfatto, non come un modello al quale doversi in tutto e per Page 9 tutto adeguare. Il tempo di quel Manuale era segnato dall'avvento, allora recente, del codice unificato di diritto privato, che reclamava un'opera di sistemazione concettuale del nuovo assetto normativo della materia; ed era il tempo della ricostruzione materiale e morale della società civile italiana: Messineo vi contribuì, dal suo punto di vista, ricostituendo l'unità del sistema delle conoscenze del giusprivatista. Nel nostro tempo, a oltre sessant'anni dalla codificazione, la situazione è molto cambiata: il codice civile resta sullo sfondo, pur con le tante leggi successive che lo hanno in varie parti emendato; in primo piano emergono altre fonti di produzione giuridica con le quali il teorico e il pratico del diritto debbono quotidianamente misurarsi. Ê oggi un fatto che gli atti defensionali degli avvocati e le sentenze dei giudici citano sempre meno i codici e sempre più la giurisprudenza sui codici; è un fatto che l'elaborazione dottrinale è, sempre più largamente, analisi e sistemazione del materiale giurisprudenziale.

Ripeto qui quanto ho più volte scritto altrove: la nostra non è più l'epoca della legislatio; l'era post-industriale, nella quale ormai viviamo, è sulla scena del diritto l'era della iurisdictio.

Un tempo, quando la cultura giuridica celebrava l'illuministico primato della legislatio, circolava questo detto: «basta una nuova legge per mandare al macero intere biblioteche». Oggi dobbiamo correggere l'antico paradosso: è lecito asserire che basta, per mandare al macero intere biblioteche, un mutamento degli orientamenti della giurisprudenza. I fatti illeciti ne offrono un illuminante esempio. Nulla è mutato, dal 1942 ad oggi, nel testo normativo dei diciassette articoli che il codice civile ha dedicato loro. E tuttavia il senso di questi diciassette articoli è a tal punto cambiato, per gli incessanti mutamenti intervenuti nella giurisprudenza, da rendere più volte obsoleta la letteratura in argomento.

Oltre vent'anni or sono avevo avvertito l'opportunità di fondare una rivista che, come il sottotitolo segnala, vuole essere la sede di Dialoghi con la giurisprudenza civile e commerciale. Non a caso la rivista si era aperta con un mio scritto su Le mobili frontiere del danno ingiusto. Avevo evocato, in quello scritto, l'immagine dell'universo in espansione, destinato a dilatarsi oltre ogni limite. L'esperienza dei decenni successivi ha confermato che la metafora era calzante, rivelando di quanta forza espansiva sia dotato, al di là di ogni frontiera allora prevedibile, l'universo della responsabilità civile.

Non si pensi che al macero siano destinate, per le innovazioni giurisprudenziali, solo particolari settori della letteratura giuridica, quelli direttamente toccati dall'evoluzione della giurisprudenza. Le implicazioni che ne derivano possono sconvolgere dalle fondamenta il sistema del diritto civile, le sue categorie ordinanti, la sua grammatica elementare. Mi riferisco a quanto è accaduto in conseguenza della estensione della tutela aquiliana ai diritti di credito, che ha sconvolto la summa divisio dei diritti patrimoniali, Page 10 quale la pandettistica tedesca dell'Ottocento, da Savigny a Windscheid, sembrava avere fondato, sulla base del diritto romano, in termini che apparivano ormai definitivi: diritti reali, come diritti assoluti sulle cose (iura in re), opponibili erga omnes, e diritti di obbligazione (iura in personam), come diritti relativi, spettanti nei confronti di uno o più soggetti determinati o determinabili. Qualcosa, invero, era già cambiato in forza di legge circa la differenza tra diritto reale e diritto di obbligazione. Ê diritto di obbligazione, e non diritto reale, il diritto al godimento della cosa altrui che il contratto di locazione attribuisce al locatario; e, tuttavia, il contratto di locazione è, a partire dal code Napoléon, sottratto al principio romanistico emptio tollit locatum e reso opponibile dal locatario ai successivi proprietari della cosa.

Permaneva, pur tuttavia, il carattere antico dell'assolutezza dei diritti reali, giacché solo essi fruivano di una difesa assoluta: solo il proprietario, oltre che il titolare di diritti reali minori aveva azione in giudizio contro chiunque contesti l'esercizio del suo diritto. Si insegnava che i diritti di obbligazione, all'opposto, fruiscono di una difesa solo relativa: il loro titolare può difenderli, con azione in giudizio, solo nei confronti della persona dell'obbligato, mentre non può agire verso...

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