Preclusa alla parte civile l'impugnazione della sentenza di non doversi procedere per mancanza di querela

AutoreFrancesco Nuzzo
Pagine139-142
139
dott
Arch. nuova proc. pen. 2/2013
DOTTRINA
PRECLUSA ALLA PARTE CIVILE
L’IMPUGNAZIONE DELLA
SENTENZA DI NON DOVERSI
PROCEDERE PER MANCANZA
DI QUERELA
di Francesco Nuzzo
Può la parte civile impugnare la sentenza di non do-
versi procedere per mancanza di querela? Il quesito, nella
semplicità della sua formulazione, implica il richiamo a
molteplici disposizioni normative, dalla cui interconnes-
sione l’interprete coglie i dati concettuali e giuridici per
la corretta soluzione.
In via preliminare, è opportuno osservare che il giudice
penale, quando il danneggiato da reato si costituisca parte
civile (art. 76 c.p.p.), emette provvedimenti che com-
prendono statuizioni di natura civilistica, cioè decisioni
concernenti diritti di indole privata e collegate all’azione
penale da un nesso di accessorietà, le quali hanno il con-
tenuto di vere e proprie sentenze civili, risolvendo con-
troversie che potevano essere instaurate autonomamente
davanti al giudice civile (1). Oggetto del giudizio, in questi
casi, è l’accertamento del danno patrimoniale e non pa-
trimoniale, che trova nel fatto reato il proprio fattore ge-
netico e causale (art. 185 c.p.), sicché la clausola generale
di responsabilità prevista dall’art. 2043 c.c. (“qualunque
fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiu-
sto…”) viene specif‌icata e attuata in combinazione con i
principi costituzionali di legalità e tipicità del reato.
L’introduzione delle domande risarcitorie in sede pe-
nale è fondata su due regole non espresse, ma ricavabili
dal sistema: a) “l’azione civile resta ‘ospite’ nel processo
penale” (2), nel senso che essa conserva la sua natura e
le sue caratteristiche civilistiche, essendo facoltativa e
disponibile, poiché il danneggiato, in ogni momento, può
revocare la costituzione di parte civile; b) la disciplina del
processo penale condiziona l’azione civile, comportando
che, al di fuori di quanto attiene alla natura dell’azione
stessa, i poteri e il comportamento processuale della parte
lesa dal reato sono stabiliti dal codice di rito penale.
Comunque, le norme in materia prevedono solo alcune
ipotesi tassative nelle quali il giudicato penale ha eff‌icacia
nel giudizio civile su determinati oggetti accertati o con-
tro determinati soggetti (artt. 2, 3, comma 4, 651, 652, 653,
654 c.p.p.), vale a dire che, “sullo sfondo del generale prin-
cipio di unità della giurisdizione, e valorizzando apprezza-
bili nessi tra le regiudicande, l’ordinamento processuale
attribuisce al giudice penale, per ragioni di economia
e di funzionalità, il potere di conoscere e decidere, non
incidentalmente, ma con pienezza di giurisdizione, talune
specie di questioni civili” (3).
Il giudice penale, tuttavia, può occuparsi dei capi civili
soltanto se contestualmente dichiara la responsabilità
penale dell’autore dell’illecito (artt. 538, 578 c.p.p.), e
ovviamente il medesimo assetto funzionale presidia il
meccanismo delle impugnazioni, dove l’attenzione ricade
sul potere di statuire circa i prof‌ili patrimoniali o non pa-
trimoniali a seguito di gravame della sola parte civile con-
tro la sentenza di proscioglimento dell’imputato (art. 576
c.p.p.). Al giudicante, in quest’ultima evenienza, è consen-
tito di accertare incidenter tantum il fatto reato e la sua
attribuibilità all’imputato prosciolto in primo grado con
una nuova valutazione (4): ne deriva che la parte civile,
in mancanza di qualsiasi doglianza del pubblico ministero,
mira alla declaratoria di responsabilità penale dell’impu-
tato, quale presupposto logico-normativo per ottenere la
condanna alle restituzioni e al risarcimento dei danni. Essa
non può limitare il suo gravame esclusivamente alla di-
chiarazione di colpevolezza, altrimenti, arrogandosi poteri
spettanti alla pubblica accusa, f‌inirebbe con il sostituire il
titolare dell’azione penale nella persecutio criminis, e il
petitum sarebbe diverso da quello consentito dalla legge,
con inammissibilità conseguente dell’impugnazione (5).
La domanda civilistica, dunque, deve necessariamente
concorrere e fare riferimento specif‌ico e diretto agli esiti di
carattere patrimoniale che si intendono perseguire, onde
non è da escludere, nell’ipotesi di accoglimento del grava-
me, che la res iudicanda si sdoppi e dia luogo a differenti
decisioni, potenzialmente in contrasto tra loro. Siffatta
difformità potrebbe rimanere interna alla giurisdizione pe-
nale oppure manifestarsi tra giudici di giurisdizioni diverse
(6). Invero, la Corte di cassazione, se annulla ex art. 622
c.p.p. solamente le disposizioni o i capi della sentenza che
riguardano l’azione civile ovvero accoglie il ricorso della
parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell’im-
putato, “rinvia, quando occorre, al giudice competente per
valore in grado di appello, anche se l’annullamento ha per
oggetto una sentenza inappellabile”.
Poiché l’impugnazione della parte civile presenta gli
stessi limiti dell’azione dalla stessa esercitata nel pro-
cesso penale, dovendo investire le sole disposizioni della
sentenza relative agli aspetti civili del reato, è di tutta
evidenza che il soggetto processuale in questione ha un
sicuro interesse a lamentarsi se le statuizioni integranti
il presupposto necessario, materiale e logico, della pro-
nuncia siano idonee a restringere le pretese civilistiche,
indipendentemente dalla formula adottata, e richieda
l’emanazione di un provvedimento che, senza intaccare
le disposizioni di carattere penale, permetta il raggiungi-
mento di un risultato che assicuri la soddisfazione delle
istanze riparatorie (7). Indubbia allora appare la legitti-
mazione a censurare la decisione che proscioglie l’impu-
tato “perché il fatto non costituisce reato”, nonostante la
formula manchi di eff‌icacia preclusiva; ciò al f‌ine di conse-

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