Responsabilità per la manutenzione stradale

AutoreEdgardo Colombini
Pagine355-360

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Ci ha portato a rinnovate riflessioni sull'antica questione della responsabilità degli enti pubblici per i danni causati al cittadino dalle strade di loro proprietà la lettura di qualche recente sentenza in proposito, fra cui una decisione del Giudice di Pace di Bologna del 24 giugno 2003 (in questa Rivista 2003, 810).

Abbiamo ritrovato perdurante la contrapposizione fra chi ritiene applicabile alla fattispecie il disposto dell'art. 2051 c.c. e chi lo esclude riferendosi invece all'art. 2043 c.c., secondo una corrente di pensiero indubbiamente ancor oggi maggioritaria.

Il fulcro del ragionamento contrario alla utilizzazione dell'art. 2051 c.c. è rappresentato dalla considerazione che «la pubblica via, in quanto soggetta ad un uso generale e diretto da parte della collettività non è suscettibile di adeguata vigilanza da parte dell'ente pubblico», come annota il Giudice di Pace di Bologna (ibid. pag. 811).

Affermazione perfettamente in linea con quella di altre decisioni tanto di epoca lontana quanto di età più recente, come quella del Giudice di Pace di Milano (sentenza n. 3098/96 dell'11 luglio 1996, vedi in questa Rivista 2000, 234), secondo il quale le strade pubbliche sono «un bene la cui estensione non consente una vigilanza ed un controllo idonei ad evitare l'insorgenza di una situazione di pericolo».

Tesi ribadita dalla Corte Suprema (Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 2002, n. 2067, in Arch. civ. 2003, pag. 167) che ancora una volta ha affermato che «la presunzione di responsabilità per danni cagionati dalla cosa in custodia di cui all'art. 2051 c.c. non si applica agli enti pubblici ogni qualvolta il bene, sia esso demaniale o patrimoniale, per le sue caratteristiche (estensione e modalità di uso), è soggetto ad una utilizzazione generale e diretta da parte di terzi che limita in concreto la possibilità di custodia e vigilanza sulla cosa, in conformità ad una giurisprudenza più che consolidata (tra le tantissime, ad esempio, Cass. civ., 15 gennaio 1996, n. 265, nonché Cass. civ., 21 gennaio 1987, n. 526; 4 aprile 1985, n. 2313; 20 marzo 1982, n. 1817)».

L'art. 2051 c.c. in tema di presunzione di responsabilità per il danno cagionato dalle cose che si hanno in custodia trova cioè applicazione

- secondo la Cassazione - «nei confronti della pubblica amministrazione, con riguardo ai beni demaniali, esclusivamente qualora tali beni non siano oggetto di un uso generale e diretto da parte dei terzi, ma vengano utilizzati dall'amministrazione medesima in situazione tale da rendere possibile un concreto controllo ed una vigilanza idonea ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo (Cass. 30 ottobre 1984, n. 5567), ovvero - ancora - qualora trattisi di beni demaniali o patrimoniali che per la loro limitata estensione territoriale consentano un'adeguata attività di vigilanza sugli stessi (Cass. 7 gennaio 1982, n. 58)» (ibid. pag. 168).

Né si è discostata da questo orientamento la Corte Costituzionale (10 maggio 1999, n. 156, in questa Rivista 1999, 775), investita della questione del Giudice di Pace di Genova che lamentava «la disparità di trattamento tra i privati proprietari delle strade, assoggettati alla disciplina di cui all'art. 2051 c.c. e la pubblica amministrazione, esonerata - secondo un orientamento della giurisprudenza di legittimità definito come consolidato - da tale tipo di responsabilità per l'impossibilità di esercitare un adeguato controllo custodiale su beni demaniali di notevole estensione territoriale e soggetti ad uso generale e diretto da parte dei cittadini».

Affermano infatti i giudici della Consulta che «il proprietario delle cose che abbiano cagionato danno a terzi è responsabile ai sensi dell'art. 2051 c.c. solo in quanto ne sia custode, e dunque ove egli sia stato oggettivamente in grado di esercitare un potere di controllo e di vigilanza sulle cose stesse. Ciò basta a rendere ragione dell'approdo ermeneutico, ribadito anche di recente dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui alla pubblica amministrazione non è applicabile il citato articolo, allorché sul bene di sua proprietà non sia possibile - per la notevole estensione di esso e le modalità d'uso, diretto e generale, da parte dei terzi - un continuo, efficace controllo idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per gli utenti.

S'intende - e in alcune sentenze ciò viene sottolineato - che la notevole estensione del bene e l'uso generale e diretto da parte dei terzi costituiscono meri indici della impossibilità di un concreto esercizio del potere di controllo e vigilanza sul bene medesimo; la quale dunque potrebbe essere ritenuta, non già in virtù d'un puro e semplice riferimento alla natura demaniale e alla estensione del bene, ma solo in seguito ad un'indagine condotta dal giudice con riferimento al caso singolo, e secondo criteri di normalità. Con tale interpretazione si rimane indubbiamente nell'ambito del sistema codicistico della responsabilità extracontrattuale, venendosi solo a precisare - in conformità all'evidente ratio dello stesso art. 2051 c.c. - i limiti dell'operatività di uno dei particolari criteri d'imputazione previsti dal codice civile in luogo di quello generale posto dall'art. 2043 c.c.».

Ma il caso singolo resterà veramente singolo, di talché la posizione della stragrande maggioranza dei danneggiati per cattiva manutenzione della sede stradale continuerà - secondo questo orientamento - ad essere deteriore (per la conseguente impossibilità di fruire dei vantaggi della inversione dell'onere probatorio prevista dall'art. 2051 c.c.) rispetto a quella di qualunque individuo che subisca danno da cose in custodia di qualsiasi altro soggetto, diverso da un ente pubblico, con buona pace per la conseguenziale disattenta considerazione dell'art. 3 della Costituzione, vista la situazione di ingiustificata disuguaglianza dei cittadini di fronte alla legge che si viene così a creare.

E non è di poco momento per il danneggiato vedersi applicato l'art. 2043 c.c. in luogo dell'art. 2051 c.c.

Si ricorda invero da parte degli stessi giudici della Corte Suprema (sez. III, 13 febbraio 2002, n. 2067, in Arch. civ. 2003, pag. 167) che, secondo l'orientamento minoritario il quale riconduce la responsabilità della pubblica ammini-Page 356strazione, proprietaria di una strada pubblica, per i danni subiti dall'utente di detta strada, alla disciplina di cui all'art. 2051 c.c., l'ente pubblico, «per escludere la responsabilità che su di esso fa capo a norma dell'art. 2051 c.c. deve prevedere che il danno si è verificato per caso fortuito, non ravvisabile come conseguenza della mancanza di prova da parte del danneggiato dell'esistenza dell'insidia, che questi, invece, non deve provare, così come non ha l'onere di provare la condotta commissiva od omissiva del custode, essendo sufficiente che provi l'evento danno ed il nesso di causalità con la cosa (Cass. 22 aprile 1998, n. 4070; 20 novembre 1998, n. 11749; 21 maggio 1996, n. 4673)».

Incombe, invece, facendo ricorso all'art. 2043 c.c., al danneggiato provare la ricollegabilità causale dell'evento dannoso all'inosservanza da parte dell'ente pubblico del dovere di manutenzione della strada aperta al pubblico transito in modo tale da non integrare gli estremi di una situazione di pericolo occulto, cioè dell'insidia o del trabocchetto.

Da tempi lontani si è infatti sempre affermato - nell'ottica di questo orientamento - che il danneggiato può agire per il risarcimento soltanto in base al diverso principio del neminem laedere ex art. 2043 c.c., alla cui stregua l'ente proprietario della strada aperta al pubblico transito è tenuto a far sì che essa non presenti per l'utente una situazione di pericolo occulto (cosiddetta insidia o trabocchetto) caratterizzata congiuntamente dall'elemento obiettivo della non visibilità e da quello subiettivo della non prevedibilità dell'evento (Cass. civ., 3 giugno 1980, n. 3619, in Mass. Giust. civ. 1980, 1568; Cass. civ., 13 luglio 1977, n. 3143, in Mass. Giust. civ. 1977, 1245; Cass. civ., 1 febbraio 1988, n. 921, in questa Rivista 1988, 549), con la conseguenza che, «allorquando, in esito all'accertamento del giudice di merito, insindacabile se adeguatamente motivato, venga esclusa la sussistenza dell'insidia, in funzione della accertata visibilità ed evitabilità dell'ostacolo, non costituisce fonte di responsabilità verso il danneggiato la violazione degli obblighi di segnalazione e manutenzione assunti dall'ente tenuto alla manutenzione della strada» (Cass. civ., 11 agosto 1995, n. 8823, in questa Rivista 1996, 200).

Orientamento cui si sono adeguati prevalentemente anche i giudici di merito, come - ad esempio - la Pretura di Ancona (23 dicembre 1991, n. 308, in questa Rivista...

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