Osservazioni sulla rilevanza penale delle presunzioni fiscali

AutoreGianfranco Chiarelli
Pagine91-97
GIANFRANCO CHIARELLI
OSSERVAZIONI SULLA RILEVANZA PENALE
DELLE PRESUNZIONI FISCALI
S: 1. Premessa. 2. L’applicabilità nel diritto penale delle presunzioni fi-
scali. 3. Le nostre conclusioni: il significato del superamento delle soglie di
punibilità.
1. È noto come nell’ambito del diritto tributario il potere di accertamento
dell’Amministrazione Finanziaria sia spesso fondato, in forza di numerosi ed
espressi riconoscimenti normativi, sullo strumento presuntivo.
In forza di tale istituto, l’Amministrazione Finanziaria può, in altri ter-
mini, determinare la base imponibile, e di conseguenza la maggior imposta
evasa, o in forza di presunzioni relative, o ancora, in forza di presunzio-
ni semplici che, in quanto tali, trovano il loro ambito di applicazione al ri-
correre di circostanze gravi, precise e concordanti. Quando, infatti, si è in
presenza di presunzioni semplici, per le quali l’onere probatorio incombe
sull’amministrazione nanziaria, quest’ultima deve portare in giudizio ele-
menti presuntivi con un elevato grado di probabilità circa il fatto addebitato.
Questo principio risulta chiaramente dalla sentenza della Corte di Cassazio-
ne n. 3326 depositata l’11 febbraio 2011.
In base all’art. 2729 del c.c., le presunzioni semplici sono <
prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi,
precise e concordanti>>. In sostanza, per le presunzioni semplici, e con ri-
ferimento al diritto tributario, i fatti sui quali esse si fondano devono essere
provati in giudizio dall’amministrazione nanziaria, la quale deve dimostra-
re che gli elementi presuntivi posti a base della pretesa impositiva hanno i
caratteri di gravità, precisione e concordanza. La Cassazione ha più volte
stabilito, tuttavia, che anche un unico elemento presuntivo, purché partico-
larmente grave, univoco e coerente può soddisfare i requisiti dell’art. 2729
c.c..
Tuttavia, in determinati casi tassativi, ricorrenti al vericarsi di determi-
nate condizioni, l’Ufcio potrà determinare i valori contabili di riferimento
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anche prescindendo dai requisiti di gravità, precisione e concordanza così
come stabilito dall’art. 39 co. 2 del d.p.r. 600/1973, per gli accertamenti in-
duttivi, e art. 41, comma 2, dello stesso Dpr, per le ipotesi di omessa dichia-
razione.
Il metodo presuntivo, tuttavia, lascia spazio a qualche problema, non di
facile soluzione, nell’ambito della disciplina penale tributaria contenuta nel
D.lgs. 74/20001 e successive modicazioni2. L’esigenza di tutela del cit-
tadino, infatti, induce l’interprete della presente materia ad una ancor più
rigorosa applicazione ed analisi del principio costituzionale di legalità.
2. Le problematiche connesse ai metodi presuntivi di determinazione del
reddito, investono, oltre alla disciplina tributaria, anche altri ambiti del siste-
ma normativo, quali ad esempio la disciplina penale tributaria contenuta nel
D.lgs. 74/2000 e successive modificazioni3.
I reati tributari, in seguito alle riforme operate sino ad oggi, essendo in-
tenzione del legislatore renderli maggiormente conformi al principio di of-
fensività, si congurano tra l’altro ed in molti casi solo allorquando, riguardo
all’elemento oggettivo del reato, la maggiore imposta evasa supera determi-
nate soglie di valore.
Di fronte a queste fattispecie, allora, bisognerà chiedersi se, una volta
superate in sede di accertamento le soglie di punibilità previste dal d.lgs.
74/2000 e successive modicazioni, i valori fondanti la maggiore imposta
1 Il D.lgs. 74/2000 è stato modicato dalla Legge 24 dicembre 2007 n. 244, Finanziaria 2008,
che ha modicato parzialmente la normativa contenuta nel D.lgs. 74/2000. Si precisa, a tal propo-
sito, che l’art. 5 rubricato omessa dichiarazione, è stato modicato dal comma 143 dell’art. 1 della
Legge Finanziaria 2008 secondo il quale “nei casi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter,
10-quater e 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si osservano, in quanto applicabili, le
disposizioni di cui all’articolo 322-ter del codice penale”.
2 La legge 14 settembre 2011 n. 148 – di conversione del decreto legge n. 138 del 2011 – ha ap-
portato numerose modiche al decreto legislativo n. 74 del 2000 sulla disciplina dei reati in materia
di imposte sui redditi e sul valore aggiunto. Per quanto riguarda il delitto di dichiarazione fraudo-
lenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, è stata eliminata la circo-
stanza attenuante integrata dall’ammontare di elementi passivi ttizi inferiore a euro 154.937,07=.
Sono state ridotte, poi, le soglie di punibilità (art. 3) previste per il delitto di dichiarazione frau-
dolenta mediante altri artici. Il delitto è oggi punibile se l’imposta evasa supera trentamila euro
e non più € 77.468,53=. Inoltre deve essere superata anche la seconda soglia, la quale è integrata
se l’ammontare degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di ele-
menti passivi ttizi, è superiore al 5 % dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati
in dichiarazione o comunque è superiore a € 1 milione (rispetto ad € 1.549.370,70= della versione
previgente). Anche per la dichiarazione infedele (art. 4) viene dimezzata la prima soglia di puni-
bilità, relativa all’ammontare dell’imposta evasa (da € 103.291,38= a € 50.000,00=). Per quanto
concerne l’omessa presentazione della dichiarazione (art. 5) viene sensibilmente ridotta la soglia di
punibilità, relativa all’ammontare dell’imposta evasa: da € 77.468,52= ad € 30.000,00=. La legge
n. 148, altresì, ha anche integrato il regime delle pene accessorie (art. 12), con l’esclusione della
sospensione condizionale della pena, per i delitti previsti dagli artt. 2 – 10 del decreto n. 74, nei casi
in cui ricorrano congiuntamente le seguenti due condizioni: 1) l’ammontare dell’imposta evasa sia
superiore al 30 % del volume d’affari; 2) l’ammontare dell’imposta evasa sia superiore a tre milioni
di euro. Per questi delitti, altresì, i termini di prescrizione sono elevati di un terzo.
3 Il D.lgs. 74/2000 è stato modicato dalla Legge 24 dicembre 2007 n. 244, Finanziaria 2008,
nonché dalla D.L. 30 dicembre 2009 n. 194.
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evasa e di conseguenza i metodi determinativi di questi ultimi, siano vinco-
lanti in sede penale ed in che misura4.
La Corte di Cassazione5, a tal proposito, tornando sul punto, ha stabilito
che le presunzioni legali tributarie, anche laddove dovessero essere relative,
non possono essere applicate in sede penale con la conseguenza che non
potranno essere utilizzate dal giudice quale sistema unico nalizzato alla
valutazione di una condanna6.
Il reato contestato nella sentenza richiamata, risulta essere quello sancito
dall’art. 5 del dlgs. 74/007: omessa dichiarazione. Tale fattispecie criminosa
si congura al ricorrere congiunto di almeno due condizioni: la prima si ve-
rica ogni qualvolta un soggetto, essendovi obbligato, non presenta una delle
dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto; la
seconda si verica allorquando, l’imposta evasa è superiore con riferimento
a taluna delle singole imposte a euro 77.468,53=.
In particolare, la sentenza citata, ha avuto modo di valutare le presunzioni
stabilite per le indagini nanziarie dall’art. 32 co. 1 n. 7) del D.P.R. 600/73.
In forza di tale ultimo citato articolo, i dati ed elementi attinenti ai rapporti
ed alle operazioni acquisiti e rilevati mediante l’utilizzo di tale strumento di
analisi, sono posti alla base delle rettiche effettuate e degli accertamenti
previsti se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la deter-
minazione del reddito soggetto ad imposta e che non hanno rilevanza allo
stesso ne. Infatti, in base all’articolo da ultimo citato vi è una presunzione
legale di corrispondenza delle partite attive risultanti dai rapporti intrattenuti
dal contribuente con gli istituti di credito e i ricavi dell’attività di impresa o
professionale.
Ebbene, che l’Amministrazione Finanziaria abbia questi poteri, non si-
gnica che tali rilievi effettuati debbano avere valore in sede penale tout cort;
anzi, sarà necessario, che tali rilievi siano sottoposti ad un ulteriore vaglio da
parte del giudice che, concretamente, dovrà analizzare i valori di riferimento
ed i metodi determinativi degli stessi, onde riscontrare l’eventuale supera-
mento delle soglie di punibilità8.
4 Cfr. G. F, E. M, Diritto penale Parte generale, Zanichelli, Bologna, 2012.
5 Per ogni approfondimento si rinvia alla sentenza n. 5490 del 6 febbraio 2009.
6 Si veda P. C, “La trasmigrazione delle regole non è consentita”, in Corriere Tributario n.
10/2009, p. 744.
7 L’art. 5 rubricato omessa dichiarazione, è stato modicato dal comma 143 dell’art. 1 della
Legge Finanziaria 2008 secondo il quale “nei casi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter,
10-quater e 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si osservano, in quanto applicabili, le
disposizioni di cui all’articolo 322-ter del codice penale”.
8 Cfr. D M, Una Giurisprudenza «necessitata», in I cinquant’anni della Corte Costituzio-
nale e Diritto Tributario, Roma 2006, a cura di L. P e C. B, nella parte in cui afferma
che in materia di accertamenti fatti sulla base di valutazioni presuntive, è stato anche sostenuto che
le stesse potrebbero essere legittime allorquando si fondino sulla comune esperienza e abbiano lo
scopo di rendere certo e semplice il rapporto tributario. È il caso della presunzione di beni nell’asse
ereditario rispetto alla quale la Suprema Corte non ha voluto approfondire peraltro un aspetto che è
fondamentale, se la presunzione possa essere anche assoluta.
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La giurisprudenza più interessante e più dibattuta in tema di presunzioni,
si è formata in tema di presunzione della continuità del reddito: non è arbi-
trario ritenere che il reddito denunciato dal contribuente si produca in pe-
riodi successivi; i redditi accertati nell’anno precedente sono fondatamente
ritenuti un positivo indice rilevatore di capacità contributiva, ma se non vi è
la possibilità di provare la eventuale diminuzione o il venir meno del reddito
stesso, si rischierebbe di incorrere in margini di incostituzionalità, in quanto
il sistema sarebbe illogico e contrario alla comune esperienza.
In sede penale, è noto come l’operatività di determinate regole probatorie
sia invertito rispetto a quello tributario, tant’è che se in ambito penale ope-
ra una presunzione, questa è innanzitutto quella affermata dall’art. 27 co. 2
Cost. che dichiara quale principio fondamentale del sistema penal-proces-
suale quello meglio noto come presunzione di non colpevolezza. Ma non
è tutto! È necessario ricordare, infatti, che in materia di regime probatorio,
articoli quali il 193 c.p.p., affermano a chiare lettere che nel processo penale
non si osservano i limiti di prova stabiliti dalle leggi civili, eccettuati quelli
che riguardano lo stato di famiglia e di cittadinanza, e ciò vale inevitabilmen-
te anche per l’ambito tributario. Se la presunzione, infatti, altro non sarebbe
che “un anticipazione di giudizio, formulato prima della prova secondo uno
schema approvato dalla legge”, tale regola non potrà trovare lo stesso ambito
di operatività anche in sede penale. Infatti, se nel processo penale l’onere
della prova spetta al P.M., in sede di processo tributario la mancata allega-
zione da parte del contribuente di fatti idonei a vincere l’operatività della
presunzione comporterà la soccombenza dello stesso.
Ne consegue, quindi, che in sede penale il riscontro effettuato dal giudice
debba essere fondato non già su presunzioni ma, su fatti concreti dimostrati
in giudizio e motivati in sentenza. In base a ciò si potrà riscontrare l’iter lo-
gico giuridico in base al quale, le risultanze determinate in sede amministra-
tiva, sono state ritenute valide ai ni della determinazione dei valori frutto
dell’operato dell’Amministrazione. Ma non è tutto!
La particolare connotazione <> delle norme tributarie e
penali che esplicitamente o implicitamente le richiamano, insieme al conti-
nuo sovrapporsi di disposizioni di difcile lettura, non sempre coordinate o
coordinabili tra di loro, ha determinato una peculiare attenzione dello stes-
so legislatore anche per la disciplina dell’errore di diritto9. E ciò anche in
considerazione della posizione espressa dalla giurisprudenza di legittimità
sulla inevitabile integrazione della disposizione penale da parte delle norme
extrapenali da questo richiamate e, quindi, sulla non scusabilità di qualsiasi
errore, anche non colposo, sugli elementi normativi della fattispecie10 al di
9 Cfr. P, L’errore nel diritto penale tributario, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec. 2002, p. 555.
10 Sull’interpretazione sostanzialmente abrogante dell’art. 47, comma 3 c.p. fornita dalla giu-
risprudenza della Corte di Cassazione, per tutti cfr. Pò, L’errore di diritto nella teoria del
reato, Milano, 1976, 255 ss..
G. Chiarelli – Osservazioni sulla rilevanza penale delle presunzioni fiscali 95
fuori delle ipotesi di c.d. buona fede <> nelle contravvenzioni11.
Il D. Lgs. 74/2000, successivamente modicato, abrogando l’art. 8 della L.
51612, ha rimodellato i reati tributari prevalentemente in chiave di offesa,
dedicando alla disciplina dell’errore di diritto due articoli: il 1513 e l’art. 1614,
che potrebbero considerarsi speciali, ove si ritenga di attribuirgli autonomo
rilievo, soltanto rispetto all’art. 5 c.p., così come riformulato dalla storica
sentenza della Corte Costituzionale, cioè soltanto rispetto alla disciplina
dell’errore sulla norma15.
L’art. 15, citato, lascia spazio a qualche problematica, non di poco conto,
nella misura in cui si rischia di paricare il dubbio sull’illiceità del fatto,
all’impossibilità di conoscere la legge penale.
La norma, infatti, da un lato richiama espressamente la disciplina dell’art.
47 comma 3 c.p. relativa all’errore sul fatto di reato, senza escludere, la ri-
levanza di una residuale responsabilità colposa che, peraltro, non potrebbe
assumere alcun rilievo per i reati del decreto in questione cui soltanto si
riferisce la disciplina e che sono tutti delitti punibili esclusivamente a titolo
di dolo; dall’altro, potrebbe forse, (ed è questa la tesi che sembrerebbe pre-
valente), non rappresentare soltanto una specica ipotesi di errore inevitabile
sulla legge penale già riconducibile al disposto dell’art. 5 c.p. così come
riformulato dalla Corte Costituzionale, ma un ampliamento della rilevan-
za scusante dell’errore sulla norma, rispetto ai restrittivi criteri indicati dal
giudice delle leggi addirittura prescindendo, secondo alcuni, dall’errore del
soggetto agente16.
La formula utilizzata dal legislatore, «obiettive condizioni di incertezza»,
ove confrontata con i criteri che dovrebbero, secondo la Corte Costituziona-
le, fondare il carattere inevitabile dell’errore su legge penale, appare poco
11 Per tutti, cfr. F, Costruzione edilizia in base a concessione illegittima ed ambito di
rilevanza della «buona fede», in Giur. Merito, 1986, 233 ss..
12 A norma del quale “L’errore sulle norme che disciplinano le imposte sui redditi e sul valore
aggiunto esclude la punibilità quando ha cagionato un errore sui fatti che costituiscono reato a
norma del presente decreto”.
13 Ai sensi del quale “Al di fuori dei casi in cui la punibilità è esclusa a norma dell’art. 47, terzo
comma, del codice penale, non danno luogo a fatti punibili ai sensi del presente decreto le violazio-
ni di norme tributarie dipendenti da obiettive condizioni di incertezza sulla loro portata e sul loro
ambito di applicazione.
14 Ai sensi dell’articolo 16 non dà luogo a fatto punibile la condotta di chi, avvalendosi della pro-
cedura stabilita dall’art. 21, commi 9 e 10, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, si è uniformato ai
pareri del Ministero delle Finanze o del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antie-
lusive previsti dalle medesime disposizioni, ovvero ha compiuto le operazioni esposte nell’istanza
sulla quale si è formato il silenzio-assenso.
15 Cfr. C, Commento al D.lgs. n. 74/2000, in Guida al dir., n. 14, 2000, 87, invece so-
stiene che «onde non ricadere nell’ipotesi generale di cui nella clausola di riserva iniziale, non deve
trattarsi di errore sulla norma tributaria, bensì di confusione sulla situazione di fatto in presenza
della quale il soggetto si trova ad agire».
16 In questo senso S, in AA. VV., Manuale di diritto penale dell’impresa, Bologna,
2000, 734, il quale ritiene che l’incertezza oggettiva «giova a tutti, anche a chi si trova in una po-
sizione privilegiata che gli consentirebbe di superare le difcoltà interpretative e di evitare l’errore
degli altri consociati.
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rigorosa. Sarebbe pertanto auspicabile, bandita ogni possibilità di presunzio-
ne, accertare, tenuto conto della categoria sociale e professionale di appar-
tenenza, se il soggetto, pur avendo prestato alle norme tributarie «tutta l’at-
tenzione dovuta», si sia trovato, ciò nonostante, ad ignorare la legge penale:
solo in questo caso la sua ignoranza sarà da considerarsi inevitabile e quindi
scusabile.
La presunta incompatibilità di un tale tipo di errore con un sistema in-
centrato su delitti a dolo specico appare, invece, poco convincente. A pre-
scindere dal fatto che l’errore su legge penale non esclude di per sé il dolo,
occorrerebbe considerare che lo scopo di evasione non signica necessaria-
mente rappresentazione dell’illiceità del fatto come contrasto tra il fatto e
una norma penale. Lo scopo di evasione potrebbe rappresentare anche sol-
tanto la consapevolezza di una generica “antigiuridicità” del fatto, cioè di un
generico contrasto tra il fatto e le esigenze dell’ordinamento, e, nel singolo
caso concreto, potrebbe signicare anche soltanto consapevolezza che il fat-
to integra gli estremi di un illecito amministrativo. E l’ignoranza della legge
che esclude la colpevolezza a norma dell’art. 5 c.p. ha per oggetto l’illecito
penale e non l’illecito in generale.
3. In base a quanto sino ad ora sostenuto ed altresì alla luce delle recenti
modifiche normative, la determinazione dell’imposta evasa ai fini relativi al
riscontro di un eventuale superamento delle soglie di punibilità, spetterà
esclusivamente al giudice penale il quale potrà giungere a determinazioni dei
valori economici di riferimento, differenti, contrastanti o addirittura antitetici
rispetto a quanto è stato stabilito in sede amministrativa essendo suo compito
vagliare il superamento delle soglie di punibilità non già in modo presuntivo
ma, al contrario, in modo concreto ed analitico tenendo conto di tutte le risul-
tanze probatorie tali da rendere o meno il superamento della soglia di puni-
bilità un dato certo e incontrovertibile. Sul punto è stato affermato da recente
giurisprudenza, che ai fini dell’individuazione del superamento o meno delle
soglie di punibilità, spetta esclusivamente al giudice penale il compito di
procedere all’accertamento ed alla determinazione dell’ammontare dell’im-
posta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi o anche ad
entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giu-
dice tributario.
In altri termini, ai ni dell’accertamento in sede penale, deve darsi preva-
lenza al dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che
caratterizzano l’ordinamento tributario.
Alla luce di ciò, la recente giurisprudenza, riprendendo un orientamen-
to oramai consolidato, delinea ulteriormente il principio di separazione fra
plessi normativi.
Viene, così, sancita l’autonomia di ciascuno degli ambiti coinvolti sia per
quanto riguarda procedimenti applicativi, sia per quanto riguarda valutazioni
di responsabilità.
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Il giudice, dunque, in sede penale, non potrebbe applicare le presunzioni
legali, sia pure di carattere relativo, o i criteri di valutazione validi in sede
tributaria, limitandosi, ad esempio, a porre l’onere probatorio in ordine alla
esistenza di costi deducibili a carico dell’imputato. Dovrebbe, invece, proce-
dere d’ufcio agli accertamenti del caso, eventualmente mediante il ricorso
a presunzioni di fatto.
In altri termini, le violazioni contestate sulla base di presunzioni previste
dalla normativa scale, non sempre possono assumere una rilevanza ai ni
penali. È il caso, ad esempio, dei maggiori ricavi o compensi che scaturi-
scono a seguito di indagini bancarie allorché, in presenza di prelevamenti o
versamenti, l’amministrazione non ritiene sufcienti le giusticazioni forni-
te dal contribuente stesso. La violazione penale, non può scattare per il solo
fatto che al termine del controllo sono rilevati nelle PVC o nell’avviso di
accertamento, importi non dichiarati superiori alla soglia di rilevanza penale.
È al contrario necessario che tali violazioni si basino su fatti concreti e non
su presunzioni.
Concludendo, in tema di omessa dichiarazione dei redditi, l’accertamento
induttivo sintetico operato sulla base del cosiddetto redditometro avrebbe
soltanto un valore di presunzione semplice, non esistendo in diritto penale
quella legale: essa, pertanto, potrebbe costituire un indizio che deve comun-
que trovare riscontro o in distinti elementi di prova o in altre presunzioni,
purché queste siano almeno gravi, precise e concordanti. In tema di reati
nanziari e tributari, dunque, la gura del cosiddetto abuso del diritto, qua-
licata dall’adozione di una forma giuridica non corrispondente alla realtà
economica, non avrebbe valore probatorio perché implicherebbe una pre-
sunzione incompatibile con l’accertamento penale e utilizzabile, invece, in
campo tributario come strumento di accertamento semplicato nel contrasto
all’evasione scale.

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