Ordinanze di rinvio alla Corte costituzionale

Pagine587-591

Page 587

@TRIBUNALE DI SIRACUSA Ord. di rinvio 4 luglio 2001. Est. Gigli - Imp. Bellino.

Prova penale - Testimoni - Testimonianza indiretta - Polizia giudiziaria - Dichiarazioni acquisite da testimoni - Divieto di riferire sulle medesime - Disparità di trattamento rispetto ad ipotesi analoghe - Questione non manifestamente infondata di legittimità costituzionale.

Non è manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 195, comma 4, c.p.p., nell'attuale formulazione introdotta dalla legge n. 63/2001, nella parte in cui disciplina il divieto dell'ufficiale o dell'agente di polizia giudiziaria di riferire sulle dichiarazioni acquisite dai testimoni con le modalità di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lett. a). (C.p.p., art. 357; c.p.p., art. 351; c.p.p., art. 195) (1).

    (1) Per approfondimenti dottrinali in merito al nuovo quarto comma dell'art. 195 c.p.p. così come riformulato dalla legge n. 63/2001, cfr. RAFFAELE CANTONE, Il giusto processo, Ed. Simone, Napoli 2001, p. 49 ss. e AA.VV., Giusto processo, Ed. Cedam. Padova 2001, p. 235 ss.

(Omissis). Nell'odierno procedimento, n. 232/2001 r.g. contro Bellino Gaetano e Ricca Salvatrice, cui è riunito il procedimento n. 233/2001 contro Bellino Giuseppa all'udienza del 6 giugno 2001 è stata assunta la testimonianza del M.llo Dugo Giuseppe, il quale ha riferito dichiarazioni da lui ricevute, e regolarmente verbalizzate nel corso delle indagini preliminari, da parte di persone informate sui fatti, citate in dibattimento come testimoni.

I difensori degli imputati hanno eccepito il divieto per gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria di testimoniare sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lett. a) e b), ai sensi dell'art. 195, comma 4, c.p.p., così come riformulato dalla legge n. 63/2001.

Il pubblico ministero ha replicato chiedendo il rigetto dell'eccezione, sul presupposto che la norma che la difesa assume violata, limita il divieto alle sole ipotesi in cui dichiarazioni siano state assunte dalla polizia giudiziaria ai sensi degli artt. 351 e 357, comma 2, lett. a) e b), e quindi nell'ambito di attività d'indagine di iniziativa della polizia giudiziaria, facendo salve, negli altri casi, le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 dello stesso art. 195 c.p.p.

Il giudice ha rigettato l'eccezione della difesa, aderendo alla prospettazione teorica del P.M., secondo un'interpretazione letterale della norma: appreso dallo stesso pubblico ministero che le informazioni testimoniali sono state acquisite dal testimone di polizia giudiziaria nel corso di attività d'indagine delegata, si è ammessa la deposizione sul contenuto delle stesse, valorizzando il chiaro dato letterale, che a parere del giudice è insuperabile, dell'art. 195, comma 4, c.p.p. riformulato, che espressamente limita il divieto ai casi di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lett. a) e b) c.p.p.

I difensori hanno quindi eccepito l'illegittimità costituzionale degli artt. 195, comma 4, c.p.p., nell'interpretazione data dal giudice e dai medesimi non condivisa, e dell'art. 197 c.p.p. in relazione agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, atteso che la norma contraddirebbe i diritti inviolabili alla difesa e al contraddittorio nella formazione della prova e disciplinerebbe diversamente situazioni identiche, così determinando un'ingiustificata disparità di trattamento, sulla base di una scelta assolutamente discrezionale del legislatore, a fronte dell'eguale situazione di fatto derivante dall'assunzione delle stesse dichiarazioni su delega del P.M. o su iniziativa della stessa polizia giudiziaria.

Preliminarmente il giudice ribadisce l'interpretazione data dell'art. 195, comma 4 c.p.p.

Tale interpretazione appare a questo decidente l'unica consentita alla luce del principio fondamentale e primario in materia di interpretazione di norme giuridiche: in claris verbis non fit interpretatio.

La precisa indicazione di specifiche norme giuridiche, anziché il ricorso a locuzioni concettuali, non consente alcuna valutazione discrezionale del giudice: il divieto di testimoniare della polizia giudiziaria è limitato ai casi in cui le dichiarazioni siano state assunte con le modalità di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lett. a) e b) c.p.p. e non è esteso in generale al contenuto delle dichiarazioni ricevute in corso di indagine.

Il codice di procedura infatti distingue, e tratta in diverse disposizioni normative, l'attività della polizia giudiziaria, a seconda se compiuta di propria iniziativa o delegata dal P.M.: l'art. 348 comma 2 c.p.p., disciplina gli atti di polizia giudiziaria precedenti l'intervento del P.M., includendo tra tali atti quelli «indicati negli articoli seguenti». Tra questi ultimi devono sicuramente includersi gli atti tipici d'investigazione indiretta (artt. 349, 350 e 351 c.p.p.) e in particolare proprio l'assunzione di sommarie informazioni dalle persone che possono riferire circostanze utili alle indagini (art. 351 c.p.p.); viceversa l'art. 370 c.p.p. invece disciplina l'attività delegata della polizia giudiziaria.

Il divieto di testimoniare degli appartenenti alla polizia giudiziaria quindi è limitato al contenuto delle dichiarazioni dagli stessi ricevute mediante assunzione d'informazioni testimoniali di propria iniziativa.

L'espressione «modalità» contenuta nell'art. 195, comma 4, c.p.p. riformulato, a parere di questo giudice non può essere univocamente interpretata, come vorrebbero i difensori, come «modalità di documentazione» delle dichiarazioni, nel senso di porre un divieto in tutti i casi in cui l'ufficiale o l'agente di polizia giudiziaria abbia documentato in apposito verbale le dichiarazioni ricevute e consentire invece la deposizione sulle dichiarazioni non trascritte in apposito verbale, atteso che ciò non è consentito né dal tenore letterale dell'espressione utilizzata, né dall'interpretazione sistematica delle norme. Page 588

In particolare non può essere ritenuto decisivo, come sostengono i difensori, il richiamo all'art. 357 c.p.p., proprio per il fatto che tale richiamo, come già sottolineato, è limitato al comma 2, lett. a) e b) e non è alla norma tout court.

D'altro canto, va aggiunto che, se con l'espressione «modalità» il legislatore avesse voluto intendere le modalità di documentazione, più lineare sarebbe stato il richiamo solo all'art. 357 c.p.p., e in particolare al comma 2 lett. a), b) e...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT