Ordinanze di rinvio alla Corte Costituzionale

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@CORTE DI CASSAZIONE Sez. V, 30 maggio 2006, n. 19103 (ud. 3 maggio 2006). Pres. Calabrese - Est. Fumo - P.M. (conf.) - Ric. Labate.

Cassazione penale - Giudizio di rinvio - Vincolo del principio di diritto enunciato dalla CassazioneSopravvenuto mutamento di giurisprudenzaIncidenza - Questione di costituzionalità. Prova penale - Testimoni - Testimonianza indiretta- Divieto per la P.G. - Riferimento alle sole dichiarazioni verbalizzate - Questione di costituzionalità.

È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 627, comma terzo, c.p.p. per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui non consente al giudice di rinvio di rilevare e sollevare eventuale eccezione di incostituzionalità con riferimento al principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione con la sentenza di annullamento, nel caso in cui il giudice di legittimità in un momento successivo abbia ad adottare una diversa interpretazione delle norme ritenendo l'incompatibilità costituzionale della precedente interpretazione. (Mass. Redaz.). (C.p.p., art. 627) (1). È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 195, comma quarto, c.p.p. per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., nella parte in cui consente agli appartenenti alla polizia giudiziaria di riferire circa notizie apprese da persone informate sui fatti, le cui dichiarazioni non siano state verbalizzate, mentre non consente tale testimonianza nel caso in cui la verbalizzazione sia avvenuta. (Mass. Redaz.). (C.p.p., art. 195) (2).

    (1) Per quanto di utilità, in precedenza, lo stesso comma dell'art. 627 c.p.p. è stato oggetto di intervento da parte della quinta sezione della Cassazione penale, che con sentenza del 14 giugno 2004, Tringali, in questa Rivista 2005, 711, ritenne irrilevante la questione di legittimità costituzionale, avente ad oggetto la norma che il giudice di rinvio è tenuto ad applicare ed ha applicato sulla base del principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione, in quanto l'eventuale annullamento della norma denunciata non sarebbe, comunque, in grado di produrre effetti nel giudizio a quo, non potendosi più porre in discussione un punto della sentenza in ordine al quale si è formato il giudicato.

(2) Cfr. la pronuncia della Corte cost. 26 giugno 2002, n. 292, in Giur. cost. 2002, 2108, che aveva dichiarato manifestamente infondata la q.l.c. dell'art. 195, comma 4, c.p.p., nella parte in cui prevede il divieto della testimonianza de relato per i soli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, in quanto la norma censurata è coerente con la regola di esclusione probatoria di cui all'art. 500, comma 2, c.p.p. e costituisce espressione di un principio assunto a regola costituzionale, essendo finalizzata ad evitare l'elusione del contraddittorio nella formazione della prova.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. - Labate Santo fu condannato alla pena di anni 12 di reclusione e lire 3.500.000 di multa (oltre pene accessorie e misura di sicurezza) dalla Corte di assise di Reggio Calabria con sentenza 16 giugno 1997 perché riconosciuto colpevole dei reati di cui agli artt. 416 bis c.p., 9 legge 575/65, 56-629 in relazione all'art. 628 comma III n. 3 e 7 L. 152/91.

La corte di assise di appello, con sentenza 9 febbraio 2001, in parziale riforma, lo assolve dal reato di tentata estorsione aggravata perché il fatto non sussiste, rideterminando in melius il trattamento sanzionatorio.

La prima sezione della Corte di cassazione, con sentenza 14 febbraio 2002, ha annullato con rinvio la pronunzia di secondo grado limitatamente alla assoluzione per tentata estorsione aggravata.

La Corte di assise di appello di Reggio Calabria, giudice di rinvio, con sentenza 2 marzo 2005, ha confermato l'affermazione di responsabilità pronunziata dal giudice di primo grado con riferimento al delitto di tentata estorsione aggravata e, stante la declaratoria di estinzione del reato contravvenzionale, ha rideterminato la pena, ritenuta la continuazione, in anni 11 e mesi 9 di reclusione, convertendo in euro (1.807,59) la pena pecuniaria originariamente stabilita in lire, confermando anche le statuizioni accessorie (interdizione perpetua dai pubblici uffici, stato di interdizione legale durante espiazione pena, libertà vigilata, a pena espiata, per la durata di anni 3).

Per quanto specificamente riguarda il tentativo di estorsione, Labate è chiamato a rispondere di aver commesso atti idonei diretti inequivocamente a costringere, al fine di procurarsi profitto ingiusto e con minaccia indiretta, il suo omonimo Labate Lorenzo a pagare una «tangente» di lire 100 milioni in relazione ad opere di sistemazione urbanistica assegnate dal Comune di Reggio Calabria al consorzio CON.RE.CA.

La prova della penale responsabilità, in ordine a tale delitto, fu raggiunta dal giudice di primo grado sulla base delle dichiarazioni di due funzionari di polizia giudiziaria (Calabrese e Blasco), i quali riferirono che Labate Lorenzo, da loro ascoltato nell'ambito di indagini condotte, aveva «fuori verbale» riferito l'episodio poi sintetizzato nel capo di imputazione. Nel corso del dibattimento in primo grado era stato disposto confronto tra la persona offesa (che, ascoltava, Page 36 aveva negato la circostanza) e il Blasco, erano stati assunti testi (l'ex Sindaco di Reggio, Licandro Agatino, il consigliere comunale Quattrone Giuliano), le cui dichiarazioni erano state ritenuto riscontro alle affermazioni rese dai due appartenenti alla polizia di Stato.

La natura informale del colloquio tra Labate Lorenzo, da un lato, Blasco e Calabrese, dall'altro, fu tuttavia ritenuta dal primo giudice di appello ragione di inutilizzabilità delle dichiarazioni dei due funzionari di polizia; conseguentemente, come anticipato, l'imputato fu assolto dal delitto di tentata estorsione aggravata.

Con la sentenza di annullamento, la prima sezione della Corte di cassazione ha ritenuto non corretta tale valutazione, asserendo che la sanzione processuale in questione non è prevista nell'ordinamento, con la conseguenza che - salvi ovviamente i divieti ex art. 350 commi VI e VII c.p.p. - le dichiarazioni non verbalizzate, rese dalla persona offesa potevano essere oggetto di testimonianza indiretta da parte di ufficiali di polizia giudiziaria. Pertanto, rilevato che il giudice di secondo grado, in conseguenza della ritenuta (e dichiarata) inutilizzabilità, aveva omesso di valutare le deposizioni di Blasco e Calabrese (in una con gli altri elementi emersi), ha annullato, come premesso, la sentenza di appello con rinvio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Reggio Calabria.

Il giudice di rinvio, pur prendendo atto: a) della riforma dell'art. 111 della Costituzione (ad opera della legge cost.le 23 novembre 1999 n. 2) e della normativa transitoria ex lege 35/2000; b) delle modifiche apportate al sistema processuale penale della legge 63/2001; c) di quanto stabilito dalle S.U. della Corte di cassazione con sent. n. 36747 del 2003, ric. Torcasio, ha ritenuto di essere vincolato, ai sensi del terzo comma dell'art. 627 c.p.p., dalla pronunzia della Corte di legittimità, intervenuta prima della sentenza Torcasio, ma dopo la introduzione delle modifiche apportate dalla ricordata legge 63/2001. Essa ha insomma ritenuto che la Suprema Corte avesse statuito tenendo conto dello jus superveniens ed avesse assunto la sua decisione sulla base di un orientamento giurisprudenziale antecedente alla detta pronunzia delle S.U., orientamento che, in tema di inutilizzabilità della testimonianza indiretta della polizia giudiziaria, faceva differenza tra l'ipotesi in cui le dichiarazioni del teste erano state verbalizzate (come la legge impone) e quella in cui tale verbalizzazione non era avvenuta.

Valutando dunque le testimonianze de relato dei due funzionari di polizia, unitamente agli altri...

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