Ordinanza Nº 12951 della Corte Suprema di Cassazione, 26-06-2020

Presiding JudgeTRIA LUCIA
ECLIECLI:IT:CASS:2020:12951CIV
Court Rule Number12951
Date26 Giugno 2020
CourtPrima Sezione (Corte Suprema di Cassazione di Italia)
Subject MatterCIVILE
ORDINANZA
sul ricorso 36158/2018 proposto da:
Drame Amadou, elettivamente domiciliato in Giulianova, Largo
del Forno 11, presso lo studio dell'avvocato Giuseppe di
Giandomenico del Foro di Teramo, che lo rappresenta e
difende
-ricorrente -
contro
Ministero dell'interno,
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,
i 3 Te',
T
- ri
-
avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il
29/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 04/12/2019 dal Cons. GIOVANNI LIBERATI
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12951 Anno 2020
Presidente: TRIA LUCIA
Relatore: LIBERATI GIOVANNI
Data pubblicazione: 26/06/2020
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
FATTI DI CAUSA
1. Il Tribunale di Ancona ha respinto la domanda del ricorrente,
Drame Amadou, nato in Senegal, di riconoscimento dello status
di rifugiato, in subordine della protezione sussidiaria, in
ulteriore subordine della protezione umanitaria, confermando
le conclusioni della Commissione territoriale di Ancona di cui al
provvedimento notificato al ricorrente il 10 aprile 2018.
Il Tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per il
riconoscimento dello status di rifugiato, a causa della mancata
allegazione della partecipazione del ricorrente ad attività
politiche, o della sua appartenenza a una minoranza etnica o
religiosa oggetto di persecuzione, o della possibile esposizione
a violenze, torture o altre forme di trattamento inumano.
Ha poi escluso la sussistenza dei presupposti per il
riconoscimento della protezione sussidiaria, in considerazione
della adeguatezza della tutela offerta dal sistema giudiziario del
Senegal in relazione alla vicenda narrata dal richiedente (che
ha riferito di dissapori esistenti nel proprio villaggio tra
insegnanti e stregoni, causati dalla volontà di questi ultimi di
mantenere una certa autorità sul villaggio, anche eseguendo
pratiche contrastate dai primi, come la circoncisione dei
bambini, nell'ambito dei quali era stato accusato del ferimento
di un insegnante di francese, in realtà provocato da uno
stregone).
Infine, ha escluso anche la protezione umanitaria, non
ravvisando una condizione di elevata vulnerabilità del
ricorrente conseguente al suo rimpatrio, non essendo
segnalate nel paese di origine compromissioni all'esercizio dei
diritti umani, né aspetti sintomatici di una effettiva e seria
integrazione del richiedente nel tessuto socio-economico
nazionale.
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2.
Il ricorrente chiede la cassazione del decreto del Tribunale di
Ancona sulla base di tre motivi.
3.
Il Ministero dell'Interno è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.
Il ricorso è articolato su tre motivi.
4.1. Con il primo motivo si lamenta violazione di legge con
riferimento al diniego della protezione sussidiaria, prospettando
la veridicità del racconto del ricorrente, in ordine alla
aggressione di una insegnante di francese da parte dello
stregone del villaggio, di cui era stato incolpato e che aveva
determinato il suo fermo e la sua identificazione da parte della
polizia locale, con la conseguente sussistenza di gravi pericoli
per la sua incolumità in caso di ritorno in Senegal, essendogli
stata prospettata la sua incolpazione in caso di ripetizione di
vicende analoghe.
4.2. In secondo luogo, lamenta la violazione di disposizioni di
legge sostanziale, il travisamento delle prove e l'uso da parte
del Tribunale di scientia privata ai fini della decisione, in ordine
al conflitto trentennale esistente in Senegal nella regione del
Casamance e anche alla possibile situazione di pericolo per il
ricorrente a causa della presenza di stregoni nel suo villaggio di
provenienza.
4.3. Infine, con il terzo motivo, si lamenta ulteriore violazione
di disposizioni di legge sostanziale, in ordine al mancato
riconoscimento della protezione umanitaria, non essendo stato
considerato che in Italia aveva frequentato un corso di
specializzazione per aiuto cuoco ed era stato regolarmente
assunto.
5.
Osserva il Collegio che i motivi proposti sono inammissibili
perché si risolvono in generiche deduzioni di fatto volte a
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sollecitare un riesame del merito della vicenda, non consentito
in sede di legittimità.
6. Quanto al primo e al secondo motivo, relativi al diniego della
protezione sussidiaria ed esaminabili congiuntamente per la
loro intima connessione logica, il Tribunale ha motivatamente
escluso, in linea con il dato normativo, la sussistenza dei
presupposti per il riconoscimento della protezione
internazionale.
L'art. 14, comma 1, d.lgs. n. 251/2007 identifica il danno
grave nelle ipotesi a) di condanna a morte o esecuzione della
pena di morte, b) di tortura o altra forma di pena o
trattamento umano o degradante ai danni del richiedente nel
Paese d'origine, c) di minaccia grave ed individuale alla vita o
alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata
in situazioni di conflitto interno o internazionale secondo cui
non sussistono i presupposti per il riconoscimento dello
status
di rifugiato (Cass., Sez. 1, n. 11103/2019, Rv. 653465-01 con
ampi riferimenti alla giurisprudenza eurounitaria).
In estrema sintesi, il Tribunale ha ritenuto non fondato, per
come rappresentato, il timore della persecuzione personale
prospettato dal ricorrente, sia in considerazione della
sufficiente protezione offerta dal sistema giudiziario del
Senegal in relazione a vicende quale quella rappresentata dal
ricorrente peraltro in modo generico e poco circostanziato
(sottolineando che non era comunque stato né sottoposto a
indagini né arrestato); sia in considerazione della insussistenza
nella regione del Casamance di una situazione di generalizzato
conflitto armato.
Tali rilievi, idonei a giustificare il diniego delle forme di
protezione internazionale richieste, sono stati censurati in
modo generico e sul piano delle valutazioni di merito,
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proponendo una rivalutazione degli elementi considerati per
escludere sia un fondato timore di persecuzione (giudicato
insussistente), sia una situazione di pericolo derivante da
conflitto armato (giudicato non grave), con la conseguente
inammissibilità delle censure sollevate in ordine al diniego del
riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione
sussidiaria, sia perché formulate in modo generico e assertivo,
sia perché volte a censurare valutazioni di merito, circa
l'insussistenza dei presupposti di tali forme di protezione, di cui
è stata fornita illustrazione con motivazione sufficiente.
Non è, poi, dato di rilevare alcun ricorso alla scientia privata,
bensì il dovuto adempimento dell'obbligo di cooperazione
istruttoria ad integrazione del racconto del richiedente
finalizzato a ricostruire la situazione socio-politica esistente in
Senegal nella regione del Casamance. E, peraltro, le censure
sul punto risultano del tutto generiche
7. Quanto al terzo motivo, va ricordato che la protezione
umanitaria, prevista in generale dall'art. 5, comma 6, d.lgs. n.
286/1998 è un istituto di "protezione complementare", come
tale non direttamente ricompreso nel sistema della protezione
internazionale, ma la cui istituzione è autorizzata dalla
normativa UE - vedi, in particolare: Considerando 14, direttiva
n. 95/2011/U nonché art. 6, par. 4, della direttiva rimpatri n.
115/2008/CE in base ai quali gli Stati membri sono autorizzati
a prevedere in favore dei migranti forme di protezione più
favorevoli rispetto a quelle indicate nelle direttive, purché non
incompatibili con esse - che nel nostro ordinamento è stato
introdotto dalla I. n. 40/1998 il cui contenuto è stato poi
trasfuso nel predetto decreto legislativo. Il decreto legge n.
113/2018 convertito in I. n. 132 del 2018 ne ha profondamente
modificato la struttura, ma come precisato dalle Sezioni Unite
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di questa Corte tale novella, nella parte in cui ha modificato la
preesistente disciplina di cui all'art. 5, comma 6 del d. Igs. n.
286 del 1998 con le disposizioni consequenziali, non trova
applicazione in relazione a domande di riconoscimento del
permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima
dell'entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge, quale
quella di cui si tratta nel presente giudizio. Secondo la
giurisprudenza (vedi spec. Cass., Sez. 1, n. 4455/2018, Rv.
647298), nei "gravi motivi umanitari" contemplati dal citato
art. 5, comma 6, sono ricomprese la tutela della salute,
l'instabilità politica e sociale nel Paese d'origine, la povertà e
l'integrazione sociale. L'inserimento sociale nel Paese, tuttavia,
non è da solo sufficiente per giustificare il rilascio del permesso
umanitario, essendo necessaria un'effettiva valutazione
comparativa della situazione oggettiva del Paese d'origine e
soggettiva del richiedente, alla luce delle peculiarità della
vicenda personale.
Nella specie, nella decisione di rigetto del permesso per motivi
umanitari correttamente si è escluso che l'esistenza di un
regolare rapporto di lavoro e la frequentazione di un corso di
lingua italiana possano essere sufficienti per ravvisare il
requisito della integrazione sul territorio dello Stato, mancando
anche qualsiasi vincolo familiare.
Le argomentazioni svolte sul punto nel ricorso risultano del
tutto generiche e inidonee ad impugnare le suindicate rationes
decidendi poste a base della decisione di rigetto de qua, tali
rationes decidendi sono pertanto divenute definitive, sicché in
nessun caso se ne può più produrre l'annullamento (vedi, al
riguardo: Cass. 7 novembre 2005, n. 21490; Cass. 26 marzo
2010, n. 7375; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; Cass. 3
maggio 2019, n. 11706).
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Così deciso, in Roma, il 4 dicembre 2019.
Di qui l'inammissibilità del terzo motivo.
7. Non vi è luogo a pronunzia sulle spese, essendo il Ministero
dell'Interno rimasto intimato.
Sussistono, infine, i presupposti processuali per il versamento,
da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per
cassazione, a norma dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R.
115/2002, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi dell'art. 13,
comma
1
quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della ricorrenza
dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente
dell'importo a titolo di contributo unificato, pari a quello
previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso
art. 13 d.P.R. n. 115/2002, ove dovuto.
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