N. 131 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 maggio 2012

IL TRIBUNALE DI LECCE Ha pronunziato la seguente ordinanza nei confronti di P. A.C., n.

Lecce il 3 febbraio 1979, sull'appello presentato il 23 dicembre 2011 avverso l'ordinanza emessa dal g.u.p. presso il Tribunale di Lecce in data 6 dicembre 2011 con la quale si disponeva la sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari.

Con la gravata ordinanza il g.i.p., pur premettendo che il P. era stato condannato in primo grado con rito abbreviato per un episodio di estorsione aggravato dall'art. 7 d.l. n. 152/1991, disponeva la menzionata sostituzione per la necessita' di perequare la posizione dell'istante con quella del coimputato R.G. (per il quale la sezione feriale di questo Tribunale aveva operato analoga sostituzione pur in presenza della contestazione di piu' episodi estorsivi aggravati dall'art. 7 d.l. n. 152/1991), 'anche alla luce del fatto che il P.

e' soggetto che e' stato riconosciuto colpevole di un solo episodio di estorsione aggravata (dal quale si evince che egli ha rivestito un ruolo, si' importante, ma limitato nel tempo'.

Avverso il suddetto provvedimento ha interposto appello il pubblico ministero lamentando la violazione del disposto del terzo comma dell'art. 275 c.p.p. per il quale quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis e 3-quater c.p.p. e' applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. A fronte del chiaro dettato normativo, sostiene il pubblico ministero, deve recedere l'esigenza perequativa affermata dal g.u.p. 'dal momento che cio' determinerebbe di fatto una reiterata e sistematica violazione di una norma del codice di rito'.

Anche il difensore ha impugnato l'ordinanza evidenziando in primo luogo l'ammissione dell'usura subita ad opera di altri coimputati ed in secondo luogo il ruolo assolutamente marginale e per un unico episodio risalente neI tempo. Afferma inoltre l'appellante che la sperequazione di trattamento cautelare va ravvisata soprattutto in rapporto alla posizione processuale di S. A ., da tempo in liberta' piena; sperequazione non giustificata dalla collaborazione da questi offerta atteso che in sede di trattamento sanzionatorio lo stesso g.i.p. ha valutato insussistente l'attenuante di cui all'art. 8 legge n. 203/1991.

Ha inoltre sollevato, per il caso che questo Tribunale dovesse ritenere sussistenti esigenze cautelari e fondato l'appello del pubblico ministero, questione di costituzionalita' della presunzione di adeguatezza posta dall'art. 275, comma 3, c.p.p. sulla base delle considerazioni che seguono:

'Si ipotizza che la previsione contenuta nel codice di rito costituisca irragionevole esercizio della discrezionalita' del Legislatore, violando, in maniera patente, gli artt. 3, 13 comma 1 e 27 comma 2 Cost.; muovendo dalle concrete evenienze della vicenda oggetto del procedimento a quo, che pur essendo tali - ad avviso del primo giudice - da far emergere la sussistenza dei presupposti applicativi di una misura cautelare (sia quanto ai gravi indizi di colpevolezza sia quanto alle esigenze cautelari, anche se non meglio specificate), si ritiene che l'impossibilita' per il Giudice di salvaguardare adeguatamente i restanti pericoli connessi alla liberta' dell'imputato attraverso l'applicazione di una misura meno gravosa della custodia in carcere rappresenti motivo di irragionevolezza della disciplina censurata.

Ed invero, la riferita disciplina, in quanto derogatoria del principio di adeguatezza espresso nella prima parte della disposizione sospettata di illegittimita' costituzionale, imponendo una misura piu' afflittiva in tutti i casi previsti dalla medesima disposizione, si pone in contrasto con l'esigenza di disporre la custodia carceraria solo come extrema ratio.

In relazione al profilo di asserita irragionevolezza, la norma di cui all'art. 275 comma 3 c.p.p. e' passibile di censura in quanto sottrae al Giudice il potere di adeguare la misura al caso concreto, pur affidando, incoerentemente, al medesimo Organo il compito di apprezzare appieno l'esistenza stessa delle esigenze cautelari, in cio' dimostrando di non operare correttamente il bilanciamento tra liberta' personale e misure cautelari.

Non puo' non ricollegarsi, altresi', all'anzidetto profilo, in rapporto al medesimo parametro dell'art. 3 Cost., il sospetto di violazione del principio di uguaglianza, giacche' la norma si risolve con l'appiattire situazione obiettivamente e soggettivamente diverse, sia in astratto che in concreto, determinando, cosi', un'eguale risposta cautelare per casi sensibilmente diversi tra loro. Ed infine, la lettura combinata degli artt. 13 e 27 Cost. consegna l'esigenza di circoscrivere allo strettamente necessario le misure limitative della liberta' personale, per cui la custodia in carcere ne risulta connotata come rimedio estremo, come modo di 'autotutela' dell'ordinamento al quale ricorrere soltanto quando nessun'altra misura risulti idonea a tutelare le esigenze sottese alla cautela personale.

La disciplina denunciata, invece, collide con siffatto principio, stabilendo un automatismo applicativo che rende inoperanti i criteri di proporzionalita' e adeguatezza (pur enunciati in generale dallo stesso art. 275 c.p.p.), dai quali deriverebbe la necessita' che siano sempre affidati al giudice 'il governo dei valori in gioco' e la determinazione in concreto del minimo sacrificio possibile per la liberta' personale.

Per le argomentazioni teste' enunciate, la difesa reputa la questione sia rilevante per la risoluzione del giudizio in corso, considerato il legame di strumentalita' (rectius 'di pregiudizialita'') tra la sollevata questione di legittimita' costituzionale e il giudizio a quo; l'instaurazione incidentale e' necessitata dall'inevitabile applicazione della disposizione sospettata di incostituzionalita' nel giudizio pendente dinanzi al Tribunale del Riesame.

Il profilo della concretezza della questione emerge, altresi', se si mette conto che .il giudizio costituzionale si rivela in grado di incidere positivamente sul procedimento de quo laddove la declaratoria di incostituzionalita' della norma nei termini prospettati dalla difesa permetterebbe all'odierno prevenuto di fruire del regime piu' attenuato degli arresti domiciliari ove, all'esito del vaglio giudiziale in sede di appello cautelare, si ravvisassero permanenti i pericula libertatis. Non solo.

Dalle considerazioni precedentemente svolte non v'e' chi non veda come sussista anche l'ulteriore condizione di proponibilita' dell'incidente di legittimita' costituzionale: la questione certamente possiede prima facie fondamento giuridico, mentre il 'ragionevole dubbio' sulla costituzionalita' dell'art. 275 comma 3 c.p.p. impedisce la prosecuzione del procedimento principale. In questa prospettiva, appare doveroso lo svolgimento di alcune riflessioni in tema di delitto aggravato dal 'metodo mafioso'.

L'art. 7 d.l. 152/91, recante provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalita' organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attivita' amministrativa, prevede una circostanza aggravante pressoche' comune e ad effetto speciale connessa con i profili di tipicita' del delitto ex art. 416 bis c.p. o comunque con le attivita' delle associazioni di tipo mafioso.

La fattispecie si snoda in due varianti: la prima consiste nel fatto che il delitto base sia commesso 'avvalendosi delle condizioni previste dall'416-bis del codice penale'; la seconda attribuisce portata aggravante 'al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni previste dallo stesso articolo'. Sopravvenute a quasi dieci anni di distanza dall'introduzione nell'ordinamento penale della corrispondente fattispecie associativa, le due articolazioni dell'aggravante, cosiddette rispettivamente 'del metodo mafioso' e 'dell'agevolazione mafiosa', lasciano trasparire un preciso disegno politico-criminale: assicurare una copertura repressiva totale del fenomeno criminoso contemplato, senza eccessiva preoccupazione da parte del legislatore per i profili di possibile interferenza tra le distinte previsioni, normative e quindi per i margini di effettiva reciproca autonomia delle stesse (crf. De Vero, La circostanza aggravante del metodo e del fine di agevolazione mafiosi: profili sostanziali e processuali, in Riv. It. Dir. e Proc. pen., 1997, 01, 0042). Da una prima lettura dell'art. 7 d.1. 152/91 risulta come le due varianti dell'aggravante sembrino concernere, la prima, una sorta di postfatto della fattispecie di associazione mafiosa finalizzata alla...

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