N. 175 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 giugno 2012

  1. Q. M.

    Visti gli articoli 134 Cost. e 23 n. 87/1953 dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, nei termini di cui in motivazione, dell'art. 275, comma 3, c.p.p. nella parte in cui prescrivendo che quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine a delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all'art. 416-bis c.p. e' applicata la misura cautelare della custodia in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, non fa salva l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.

    Sospende il presente procedimento.

    Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

    Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati.

    Cosi' deciso in Lecce, addi' 4 maggio 2012

    Il Presidente est.: Piccinno

    IL TRIBUNALE Ha pronunziato la seguente ordinanza nei confronti di R. G., n.

    Campi S.na il 16 giugno 1979, sull'appello presentato il 18 luglio 2011 avverso l'ordinanza emessa dal G.U.P. presso il Tribunale di Lecce in data 27 giugno 2011 con la quale si rigettava l'istanza di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari.

    Con la gravata ordinanza il G.I.P. rilevava che il ruolo di primordine rivestito dal R. nell'ambito del procedimento era di tale gravita' da risultare elemento dei tutto neutro lo stato di incensuratezza. La reiterazione delle condotte constestategli imponeva pertanto di ritenere ancora sussistenti le originarie esigenze di cautela.

    Su appello dell'indagato, la sezione feriale di questo Tribunale sostituiva la misura originariamente applicata con quella degli arresti domiciliari in considerazione:

    dello stato di penale incensuratezza dell'imputato, ristretto in detenzione infra moenia da oltre un anno;

    dell'atteggiamento collaborativo del predetto, quale evincibile dagli atti di indagine ed istruttori richiamati nell'appello;

    dell'intervenuto rinvio a giudizio, che cristallizza il quadro probatorio a suo carico;

    del trattamento riservato ad altri imputati (S. e, di recente,

    S., la cui posizione processuale non e' dissimile da quella del R.), quali hanno beneficiato di un'attenuazione (S.) e, addirittura, della revoca della misura (S.), che fa ritenere sostanzialmente ingiustificata la protrazione della restrizione in carcere in capo all'appellante.

    Il Tribunale non accoglieva, pero', l'istanza di revoca della misura 'avuto riguardo alla consistenza del quadro indiziario (di fatto non denegato dall'istante, avuto riguardo alle dichiarazioni auto-accusatorie dallo stesso rese agli inquirenti) ed alla gravita' delle imputazioni, onde soltanto esigenze di proporzionalita' e di adeguatezza in riferimento al trattamento riservato ad altri coimputati, inducono il Tribunale, valutata la personalita' dell'imputato, a ritenere che le esigenze di difesa sociale possano essere parimenti salvaguardate dalla meno afflittiva misura della restrizione domiciliare presso la propria residenza'.

    Su ricorso del pubblico ministero e del difensore, la Suprema Corte, con sentenza 22/02 - 09/03/2012, annullava con rinvio la predetta ordinanza.

    La Corte osservava: 'Fondatamente il pubblico ministero ha denunziato la inosservanza dell'art. 275, comma 3, c.p.p. in quanto il Tribunale, pur avendo ravvisato la permanenza di esigenze cautelari, ha disatteso la presunzione iuris et de iure di adeguatezza della coercizione intramuraria. La relativa eccezione di illegittimita' costituzionale, tuttavia, non e' rilevante nella specie - e nella sede del presente scrutinio di legittimita' - in quanto e' preliminare la decisione sul punto della ricorrenza delle esigenze cautelari, oggetto del ricorso dell'imputato meritevole di accoglimento.

    Risulta, infatti, fondata la censura difensiva circa il vizio di motivazione in ordine all'accertamento della attualita' delle esigenze cautelari.

    Al di la' del generico riferimento alla gravita' del fatto, il Collegio non ha dato conto del periculum libertatis in concreto ravvisato a fronte delle positive circostanze scrutinate, favorevoli all'imputato'.

    A questo Tribunale e' pertanto demandato un nuovo scrutinio sull'impugnazione dell'ordinanza reiettiva l'istanza di revoca della misura della custodia in carcere o della sua sostituzione con quella degli arresti domiciliari, limitatamente al profilo della sussistenza di esigenze cautelari.

    Vanno poste anzitutto due precisazioni.

    La prima: l'istanza dell'indagato ed il successivo atto di appello sostenevano il venir meno di qualsivoglia esigenza cautelare, anche in minimo grado, sulla base delle seguenti circostanze:

    l'aver il R., reso nell'interrogatorio del 28 luglio 2010 ed ancor piu' in quello dell'8 aprile 2011 dichiarazioni auto ed etero accusatorie;

    la posizione del R. era ben meno grave di quello di S. A., il quale, a seguito di interrogatorio nel quale aveva del tutto scagionato l'appellante, era stato scarcerato;

    il rilevante decorso del tempo dall'esecuzione della misura (un anno al momento della presentazione dell'istanza);

    la spontanea presentazione ai carabinieri;

    lo stato di incensuratezza;

    la delicata situazione familiare;

    le sue precarie condizioni di salute.

    La seconda: accogliendo il ricorso del pubblico ministero e rinviando per un nuovo esame in ordine alla sussistenza di esigenze cautelari la Suprema Corte ha adottato (implicitamente ma inequivocabilmente e, cio' che piu' rileva, in modo vincolante per questo Tribunale) un indirizzo interpretativo del terzo comma dell'art. 275 c.p.p. di segno contrario alla tesi difensiva, anch'essa prospettata nell'atto di appello in via subordinata, secondo la quale 'e' possibile applicare gli arresti domiciliari nella fase successiva all'adozione originaria della misura coercitiva carceraria'.

    Questo Tribunale, pertanto, non puo' discostarsi dal decisum della Corte secondo il quale anche successivamente al momento genetico della misura non e' possibile, in presenza di residue esigenze cautelari anche di minimo grado, adottare in relazione ai delitti di cui all' art. 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p., misure cautelari diverse da quella della custodia in carcere.

    Al quesito relativo alla assoluta mancanza di esigenze cautelari questo Tribunale ritiene di confermare, sia pure sulla base di argomentazione diversa, il giudizio gia' espresso con l'ordinanza annullata.

    Va invero osservato come le circostanze addotte nell'impugnazione come sintomatiche dell'essere venute del tutto meno le esigenze cautelari o sono state gia' considerate in occasione dell'adozione dell'ordinanza genetica (la spontanea presentazione ai carabinieri, lo stato di incensuratezza), o si mostrano irrilevanti (le condizioni di salute dell'indagato - che possono essere adeguatamente salvaguardate con altri istituti processuali - e le delicate condizioni familiari) o sono gia' state ritenute infondate da questo Tribunale.

    In occasione di impugnazione di altra ordinanza del G.I.P. con la quale si era rigettata una precedente istanza di revoca o sostituzione della misura cautelare custodiale, questo Tribunale aveva rilevato l'inattendibilita' delle dichiarazioni dello S., anche nella parte in cui tentava di scagionare il R., a fronte delle contrastanti ed attendibili dichiarazioni delle persone offese (cfr.

    ordinanza del 22 febbraio 2011).

    Deve pertanto concludersi che alcun elemento di novita', fatta eccezione per il decorso del tempo, e' intervenuto a dimostrazione dell'assoluta insussistenza di esigenze cautelari.

    Dinanzi alla Corte di Cassazione il difensore ha sollevato questione di costituzionalita' della presunzione di adeguatezza posta dall'art. 275, comma 3, c.p.p. sulla base delle considerazioni che seguono: 'Si ipotizza che la previsione contenuta nel codice di rito costituisca irragionevole esercizio della discrezionalita' del legislatore, violando, in maniera patente, gli articoli 3, 13 comma 1 e 27 comma 2 Cost.; muovendo dalle concrete evenienze della vicenda oggetto del procedimento a quo, che pur essendo tali - ad avviso del primo giudice - da far emergere la sussistenza dei presupposti applicativi di una misura cautelare (sia quanto ai gravi indizi di colpevolezza sia quanto alle esigenze cautelari, anche se non meglio specificate), si ritiene che l'impossibilita' per il giudice di salvaguardare adeguatamente i restanti pericoli connessi alla liberta' dell'imputato attraverso l'applicazione di una misura meno gravosa della custodia in carcere rappresenti motivo di irragionevolezza della disciplina censurata.

    Ed invero, la riferita disciplina, in quanto derogatoria del principio di adeguatezza espresso nella prima parte della disposizione sospettata di illegittimita' costituzionale, imponendo una misura piu' afflittiva in tutti i casi previsti dalla medesima disposizione, si pone in contrasto con l'esigenza di disporre la custodia carceraria solo come extrema ratio.

    In relazione al profilo di asserita irragionevolezza, la norma di cui all'art. 275, comma 3 c.p.p. passibile di censura in quanto sottrae al giudice il potere di adeguare la misura al caso concreto, pur affidando, incoerentemente, al medesimo organo il compito di apprezzare appieno l'esistenza...

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