Le C.D. Occupazioni abusive nel processo civile: «sdrammatizzate» le questioni sulla competenza restano le problematiche in ordine al rito da applicare

AutoreAlberto Celeste
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@1. Premessa

L'istituzione del giudice unico di primo grado, che ha comportato la scomparsa delle controversie locatizie di pertinenza esclusiva del pretore ed il loro conseguente assorbimento nella competenza di carattere generale del tribunale in tale materia - per i termini generali della problematica, si consenta il rinvio a CELESTE, Giudice unico e controversie locatizie, in questa Rivista 1998, 321 - ha sgombrato indubbiamente il campo da ogni questione relativa alla competenza per quelle domande relative a situazioni difficilmente inquadrabili: si pensi alle ipotesi concernenti le c.d. occupazioni abusive nelle quali non è agevole distinguere il carattere reale o obbligatorio della relativa pretesa, le istanze di rilascio che vedono coinvolti il conduttore e l'occupante sine titulo, nonché le rivendicazioni di immobile cui viene opposta in via riconvenzionale l'esistenza di un rapporto locatizio.

L'individuazione precisa delle varie fattispecie resta, però, importante ai fini della scelta del rito applicabile - ordinario, c.d. speciale locatizio o del lavoro - alle relative controversie, con tutte le immaginabili conseguenze in ordine alla forma della domanda, alle preclusioni assertive e probatorie, ai ritmi processuali ed alle modalità di decisione della lite.

@2. La specificazione della domanda in capo all'attore

Una volta entrata in vigore la riforma del codice di rito (maggio 1995), in ordine alle cause relative alle cosiddette occupazioni abusive - non enunciate espressamente nell'art. 8, secondo comma, n. 3, c.p.c., nel testo novellato dalla legge 353/1990 - occorreva distinguere, sulla base delle prospettazioni di fatto articolate nelle relative domande, da un lato, le azioni di rilascio nei confronti di chi deteneva l'immobile senza alcun titolo, in cui sostanzialmente si faceva valere soltanto il diritto dominicale - la cui conoscenza spettava al pretore o al tribunale secondo gli ordinari criteri e limiti della competenza per valore, e, a seguito dell'istituzione del giudice unico nell'aprile 1999, soltanto al tribunale, non potendo peraltro il giudice di pace decidere le cause relative a beni immobili - e, dall'altro lato, le azioni di restituzione fondate, ad esempio, su un rapporto di locazione o di lavoro, la cui cessazione o risoluzione fossero materia di contestazione tra le parti (v. BUCCI-CRESCENZI-MALPICA, Manuale pratico della riforma del processo civile, Padova 1995, 19).

Il problema è che, comunemente, nel concetto di «occupazione senza titolo», si ricomprendono varie situazioni (per un'accurata disamina, v. FABIANI, Brevi note in tema di competenza del pretore con particolare riferimento alle azioni di rilascio di immobile occupato senza titolo e di risarcimento danni per ritardato rilascio, in Foro it. 1997, I, 3704), che vanno dall'ipotesi in cui manchi effettivamente il titolo per l'occupazione, all'ipotesi di mancata riconsegna dell'immobile alla scadenza del contratto, in cui, a ben vedere, il «titolo» comunque sussiste, ed è rappresentato dal contratto tanto che la responsabilità è considerata contrattuale, ma si qualifica la situazione successiva alla scadenza del contratto come situazione di fatto produttiva di effetti giuridici e il soggetto ancora in possesso dell'immobile come «occupante abusivo», mentre, in realtà, continua ad essere conduttore sia pure moroso; si parla, altresì, di occupazione sine titulo in senso stretto nella prima ipotesi e in senso lato nella seconda (in giurisprudenza, come sintomatiche degli orientamenti sopra richiamati, v. Cass. 29 maggio 1996, n. 4992, in questa Rivista 1996, 717, e Cass. 22 novembre 1991, n. 12543, in Foro it. 1992, I, 3043; tra le pronunce di merito, si segnala Pret. Roma 30 aprile 1988, e 18 aprile 1988, ivi 1989, I, 3514).

In altri termini, risulta importante che l'attore non si limiti a dedurre genericamente che il convenuto detenga l'immobile senza titolo, invocandone la riconsegna, ma è necessario che specifichi subito se l'asserito occupante sia subentrato nella detenzione contro la sua volontà, oppure, al contrario, se l'attuale detentore abbia iniziato a possedere il bene con il consenso del proprietario.

Spesso, però, nelle azioni concernenti le c.d. occupazioni abusive, sembra configurarsi una nuova specie di azione, distinta da quella tradizionale di rivendicazione (una sorta di tertium genus considerando anche l'azione di restituzione), in cui l'attore non invoca che sia affermato il proprio diritto di proprietà, ma deduca di possedere il bene in base ad un «titolo» - soprattutto derivativo - «prevalente» rispetto a quello eventualmente vantato dal convenuto, e, quindi, di aver diritto al rilascio dello stesso bene in suo favore (e ciò soprattutto per evitare il rigore della prova della rivendica e per ottenere una tutela recuperatoria più spedita).

Orbene, a stretto rigore, nel primo caso, si è in presenza di un'azione di rivendicazione, di carattere reale, in cui l'attore assume di essere proprietario della cosa e di non averne più il possesso, e, nel secondo caso, siamo di fronte ad un'azione di restituzione, di carattere personale, che ha il suo fondamento nel venir meno del titolo in base al quale l'immobile è stato trasferito.

Dunque, l'elemento di discrimine tra le azioni reali e quelle personali dovrebbe essere dato dalla diversa qualificazione della posizione dedotta in giudizio, ma, di fatto, nell'ipotesi di azione diretta ad ottenere il rilascio di un immobile occupato abusivamente - specie se la domanda introduttiva si presenta confusa e non risulta specificata nei suoi elementi di fatto - si afferma che non si ha una controversia di natura reale ma una controversia avente ad oggetto un rapporto obbligatorio, perché non sorge questione sul diritto di proprietà (v., per tutte, Cass. 25 novembre 1986, n. 6931, in Foro it. Rep. 1986, voce Competenza civile, n. 38), e ciò non solo nei casi di detenzione protratta oltre la scadenza del rapporto «legittimante» il godimento dell'immobile (ipotesi detta anche di occupazione sine ti- Page 18 tulo in senso lato), ma anche nel caso di appropriazione in via di fatto dell'immobile (ipotesi riconducibile all'occupazione sine titulo in senso stretto), nella quale, in realtà, l'obbligo di rilasciare il bene occupato abusivamente scaturisce direttamente dal diritto reale di proprietà e non consegue da alcun rapporto obbligatorio (da ultimo, nel senso che la permanenza nell'immobile locato dopo la scadenza, quando deriva dall'applicazione di provvedimenti legislativi di sospensione degli sfratti non si può qualificare come occupazione abusiva, v. Cass. 3 maggio 2000, n. 5522, in questa Rivista 2001, 86, annotata da...

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