Note in tema di controllo sul reddito ai fini del patrocinio a spese dello stato (D.P.R. N. 115 del 2002)

AutoreDomenico Potetti
Pagine429-437

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@1. L'onere della prova in tema di reddito

- La lettera del comma 2 dell'art. 96 del T.U. n. 115 del 2002, d'ora in avanti T.U. (´... respinge l'istanza se vi sono fondati motivi per ritenere che l'interessato non versa nelle condizioni...ª) pone all'interprete la questione di quale debba essere il livello di accertamento (sostanziale, quindi, e non cartaceo o formale) richiesto dal legislatore per ritenere che l'interessato non versa nelle condizioni di reddito (previste dagli artt. 76 e 92 del T.U.) per godere del beneficio.

In generale si tratta della questione di quale sia ´la provaª del reddito (o meglio il livello di prova del reddito) necessaria per concedere il beneficio (o per non revocarlo).

La sintassi usata dal legislatore nel comma 2 dell'art. 96 (´... fondati motivi per ritenere che...ª) sembra evocare più il fumus (o comunque un livello indiziario non qualificato) di non spettanza del beneficio che un livello di prova piena (diretta, o indiziaria qualificata ex art. 192 comma 2 c.p.p.).

Si noti in proposito la somiglianza terminologica con situazioni che, infatti, necessitano di un presupposto indiziario non qualificato (v. ad es. art. 247 c.p.p., comma 1, sui casi e forme delle perquisizioni: ´Quando vi è fondato motivo di ritenere che...).

Peraltro, che non si tratti di prova piena (di non spettanza del beneficio), il cui onere graverebbe (in tesi) sullo Stato, risulta confermato da considerazioni sistematiche e generali, che coinvolgono il complessivo impianto della normativa sul patrocinio dei non abbienti.

Occorre evitare le suggestioni dell'art. 27, comma 2, Cost. (´L'imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitivaª, con conseguente onere probatorio della parte pubblica), perché qui non si tratta, ovviamente, di decidere sul punto di responsabilità, ma solo sull'ammissione al beneficio.

La specifica previsione costituzionale (art. 24, comma 3: ´Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizioneª) nulla detta in ordine alle regole di accertamento dello status di non abbienza, ed anzi rinvia ad istituti (evidentemente posti con norma ordinaria) che debbono essere semplicemente ´appositiª, e cioè adeguati allo scopo di agire e difendersi nella sede giurisdizionale.

Di conseguenza, non rimane che ricorrere alla disciplina generale, e quindi applicare il principio di cui all'art. 2697, comma 1, c.c. (quantomeno per analogia, ex art. 12 Preleggi), per il quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

A tale proposito è di grande importanza quanto affermato dalla Corte costituzionale 1, secondo la quale, nel caso della richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, vi è un soggetto che aspira a tale beneficio, e quindi è su di lui che grava l'onere di provare il presupposto di reddito dal quale il legislatore fa conseguire lo stato di non abbienza.

L'avere così individuato la spettanza dell'onere della prova è operazione di rilevanza decisiva nella soluzione dei casi dubbi, quando il dubbio riguardi proprio l'ammontare del reddito percepito da colui che chiede di essere ammesso al beneficio.

Infatti, in applicazione del criterio suddetto dell'onere della prova, le situazioni di insufficienza o contraddittorietà della prova stessa circa i presupposti fattuali del beneficio comporteranno il rigetto della domanda di ammissione, per non avere il richiedente adempiuto al suo onere di provare l'esistenza di quei presupposti.

Il comma 2 dell'art. 96 del T.U. aderisce perfettamente alla suddetta giurisprudenza costituzionale in tema di onere della prova, poiché questa disposizione prevede (quale presupposto del rigetto) non una prova piena dello stato di abbienza, ma solo ´fondati motivi per ritenereª esistente lo stato di abbienza.

Questi ´fondati motiviª altro non sono, testualmente e sostanzialmente, che una prova contraddittoria, nella quale ad elementi di prova formale (in particolare la dichiarazione sostitutiva sul reddito, di cui all'art. 79, comma 1, lett. C, del T.U., senza la quale l'istanza sarebbe inammissibile, prima che infondata nel merito) si contrappongono, appunto, fondati motivi per ritenere che l'istante sia abbiente (goda, cioè, di un reddito superiore al limite previsto dall'art. 76, comma 1, del T.U.).

Quindi, quanto ai livelli di adempimento da parte del richiedente (rispetto al suddetto onere probatorio), essi sono (come del resto risulta chiaramente dal T.U.) essenzialmente due: il primo formale e presuntivo, ed il secondo (più elevato) sostanziale e decisivo.

È pur vero, infatti, che dalla normativa di settore si evince l'esigenza di un livello minimo di prova Page 430 (del quale è onerato il richiedente) avente contenuti meramente formali.

Si vedano infatti, in particolare, l'art. 76, comma 1, T.U., secondo il quale può essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione (presupposto meramente cartolare, quindi), non superiore a un limite ivi determinato; e soprattutto l'art. 79 comma 1 lett. c) del T.U., secondo il quale l'istanza di ammissione al beneficio deve contenere una mera dichiarazione sostitutiva di certificazione dell'interessato attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l'ammissione al beneficio, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell'art. 76 del T.U.

Si veda ancora (nell'ambito della prova prevalentemente formale, sia pure dotata di uno spessore maggiore e più complesso) il combinato disposto degli artt. 79 comma 3 e 94 comma 1 del T.U., secondo i quali gli interessati, ove il giudice lo richieda, sono tenuti, a pena di inammissibilità dell'istanza, a produrre la documentazione necessaria per accertare la veridicità delle loro dichiarazioni; ma, in caso di impossibilità a produrre tale documentazione, questa può essere sostituita da una dichiarazione sostitutiva di certificazione (v. anche art. 94 comma 2, per la dichiarazione sostitutiva della certificazione consolare).

Esiste, tuttavia, un secondo e più elevato livello dell'onere probatorio in questione, al raggiungimento del quale il richiedente è, o può essere, costretto.

Se è vero infatti che, in ipotesi, potrebbe essere sufficiente per il richiedente raggiungere il suddetto precedente livello di prova meramente formale, esistono tuttavia momenti di interlocuzione del giudice che costringono l'istante a fornire elementi dimostrativi del reddito che vadano oltre il livello formale-cartolare di cui si è detto, se non vuole vedersi rigettare l'istanza a causa della valutazione sostanziale di essa da parte del giudice.

Proprio il comma 2 dell'art. 96 del T.U. sta a dimostrare, infatti, che il giudice non deve limitarsi a un sindacato meramente formale e cartolare, al fine di decidere sull'ammissione al beneficio, essendo invece tenuto anche ad un sindacato sostanziale, che abbia ad oggetto la reale situazione economica del richiedente.

A ben vedere, quindi, la forte innovazione di fondo contenuta nella L. n. 134 del 2001 (oggi v. art. 96 commi 2 e 3 del T.U.) sta nell'avere anteposto una valutazione sostanziale e globale del reddito a quella che si svolge nella fase finale, costituita (quest'ultima) dal controllo a posteriori a cura dell'amministrazione finanziaria (che comunque rimane: v. art. 98 T.U.).

@2. L'art. 96 del T.U. e il controllo preventivo sul reddito

- È evidente che, nel quadro di una disciplina finalizzata ad assicurare ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione (art. 24, comma 3, Cost.) l'accertamento del reddito (quale parametro utilizzato dal legislatore per dare contenuto concreto al concetto di ´non abbienzaª) è un'operazione essenziale.

Sotto questo profilo, il comma 2 (e 3) dell'art. 96 del T.U. (già comma 9 bis, introdotto nell'art. 1 della L. n. 217 del 1990 dall'art. 2, comma 6, della L. n. 134 del 2001), rappresenta una svolta rispetto a quello che era stato un principio di fondo della L. n. 217 cit., secondo il quale il giudice non aveva poteri effettivi mediante i quali poter sindacare in via preventiva il reddito realmente goduto dall'istante, dovendosi limitare (quello stesso giudice) ad un accertamento (quasi una presa d'atto) meramente cartolare, ancorato alla documentazione e alle dichiarazioni dell'istante medesimo.

È quindi superata quella giurisprudenza secondo la quale, ai fini dell'ammissione al gratuito patrocinio, l'autocertificazione dell'istante aveva valenza probatoria piena, e il giudice non poteva entrare nel merito della medesima per valutarne l'attendibilità, dovendosi limitare alla valutazione dei redditi così come esposti, e concedere in base ad essi il beneficio, che avrebbe potuto essere revocato solo a seguito dell'analisi negativa effettuata (allora) dall'intendente di finanza 2.

La stessa dichiarazione dei redditi dell'anno precedente alla richiesta di accesso al beneficio (oggetto della dichiarazione sostitutiva di cui all'art. 79, comma 1, lett. C del T.U., che infatti rinvia alle modalità di calcolo dell'art. 76 T.U.) costituisce solo uno dei parametri di valutazione circa la sussistenza (al momento della domanda) delle condizioni per l'ammissione al beneficio.

Ne consegue che legittimamente il giudice, in sede di verifica successiva dell'esistenza di quelle condizioni, può compiere accertamenti a seguito dei quali può procedere alla revoca del beneficio, qualora emerga che, anteriormente al momento della domanda, l'istante percepiva un reddito familiare superiore al limite di legge 3.

Si tratta di un principio condivisibile, soprattutto dopo l'ampio riconoscimento della revoca d'ufficio (dell'ammissione al beneficio) per motivi di reddito, introdotta (nel nuovo comma 1 lett. d, dell'art. 112...

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