N. 8 SENTENZA 10 - 12 gennaio 2011

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Ugo DE SIERVO;

Giudici: Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI;

ha pronunciato la seguente

Sentenza

nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 35 e 48, commi da 1 a 4, della legge della Regione Emilia-Romagna 22 dicembre 2009, n. 24 (Legge finanziaria regionale adottata a norma dell'articolo 40 della legge regionale 15 novembre 2001, n. 40 in coincidenza con l'approvazione del bilancio di previsione della Regione Emilia-Romagna per l'esercizio finanziario 2010 e del bilancio pluriennale 2010-2012), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 22-25 febbraio 2010, depositato in cancelleria il 2 marzo 2010 ed iscritto al n. 29 del registro ricorsi 2010.

Visto l'atto di costituzione della Regione Emilia-Romagna;

Udito nell'udienza pubblica del 3 novembre 2010 il Giudice relatore Maria Rita Saulle;

Uditi l'avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Luigi Manzi e Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna.

Ritenuto in fatto 1. - Con ricorso notificato il 22-25 febbraio 2010 e depositato il successivo 2 marzo, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 35 e 48 della legge della Regione Emilia-Romagna 22 dicembre 2009, n. 24 (Legge finanziaria regionale adottata a norma dell'art. 40 della legge regionale 15 novembre 2001, n. 40 in coincidenza con l'approvazione del bilancio di previsione della Regione Emilia-Romagna per l'esercizio finanziario 2010 e del bilancio pluriennale 2010-2012), in riferimento agli artt. 3 e 117, commi secondo, lettere i), l), m), terzo e quinto, della Costituzione.

1.1. - La prima questione investe l'art. 35 della cennata legge regionale, nella parte in cui prevede che la 'Regione, avvalendosi della Commissione regionale del farmaco, puo' prevedere, in sede di aggiornamento del Prontuario terapeutico regionale, l'uso di farmaci anche al di fuori delle indicazioni registrate nell'autorizzazione all'immissione in commercio (AIC), quando tale estensione consenta, a parita' di efficacia e di sicurezza rispetto a farmaci gia' autorizzati, una significativa riduzione della spesa farmaceutica a carico del Servizio sanitario nazionale e tuteli la liberta' di scelta terapeutica da parte dei professionisti del SSN'.

Secondo la difesa dello Stato, il legislatore regionale, nello stabilire la 'possibilita' di utilizzare, nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, un medicinale per indicazioni terapeutiche diverse da quelle prescritte dall'Agenzia del farmaco (AIFA) all'atto del rilascio dell'autorizzazione', sarebbe andato oltre le proprie competenze, incidendo sui livelli essenziali di assistenza la cui determinazione spetta alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.

A sostegno delle proprie argomentazioni il ricorrente richiama alcune sentenze (n. 271 del 2008 e n. 44 del 2010) con le quali la Corte costituzionale ha espressamente affermato che l'erogazione dei farmaci rientra nei livelli essenziali di assistenza, nonche' alcune norme statali che regolano l'uso cd. off label dei medicinali.

In proposito il ricorrente rileva che l'art. 6, comma 1, del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219 (Attuazione della direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad un codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonche' della direttiva 2003/94/CE) prevede che nessun medicinale puo' essere messo in commercio sul territorio nazionale senza autorizzazione dell'AIFA o di quella comunitaria 'a norma del regolamento (CE) n.

726/2004 in combinato disposto con il Regolamento (CE) n. 1394/2007'.

Detta autorizzazione e', altresi', necessaria 'per ogni ulteriore dosaggio, forma farmaceutica, via di somministrazione e presentazione, nonche' per le variazioni ed estensioni' del medicinale.

L'art. 1, comma 4, del decreto-legge 21 ottobre 1996, n. 536 (Misure per il contenimento della spesa farmaceutica e la rideterminazione del tetto di spesa per l'anno 1996), convertito con legge 23 dicembre 1996, n. 648, dispone, poi, che, 'qualora non esista valida alternativa terapeutica, sono erogabili a totale carico del Servizio sanitario nazionale [...] i medicinali da impiegare per un'indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata', inseriti in un apposito elenco predisposto e aggiornato dalla Commissione unica del farmaco, sulla base di procedure e criteri da essa stessa determinati.

Infine, l'art. 3, comma 2, del decreto-legge 17 febbraio 1998, n.

3 (recte: 23) (Disposizioni urgenti in materia di sperimentazioni cliniche in campo oncologico e altre misure in materia sanitaria), convertito in legge con legge 8 aprile 1998, n. 4 (recte: 94) nell'introdurre una deroga al principio poc'anzi citato, ha riconosciuto al medico, in casi particolari, sotto la sua responsabilita' e con il consenso del paziente, la possibilita' di impiegare un farmaco prodotto industrialmente 'per un'indicazione o una via di somministrazione [...] diversa da quella autorizzata'. La medesima norma, al comma 4, precisa il Presidente del Consiglio dei ministri, statuisce, tuttavia, che tale facolta' non 'puo' costituire riconoscimento del diritto del paziente alla erogazione dei medicinali a carico del Servizio sanitario nazionale, al di fuori dell'ipotesi disciplinata dall'art. 1, comma 4, del decreto-legge 21 ottobre 1996, n. 536'.

Tale prescrizione, precisa ancora il ricorrente, e' stata in seguito ribadita dall'art. 1, comma 736 (recte: 796), lettera z), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-legge finanziaria 2007), secondo cui il cennato art. 3, comma 2, del decreto-legge n.

23 del 1998 'non e' applicabile al ricorso a terapie farmacologiche a carico del Servizio sanitario nazionale che, nell'ambito dei presidi ospedalieri o di altre strutture e interventi sanitari, assuma carattere diffuso e sistematico e si configuri, al di fuori delle condizioni di autorizzazione all'immissione in commercio, quale alternativa terapeutica rivolta a pazienti portatori di patologie per le quali risultino autorizzati farmaci recanti specifica indicazione al trattamento. Il ricorso a tali terapie e' consentito solo nell'ambito delle sperimentazioni cliniche dei medicinali di cui al decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 211, e successive modificazioni'.

Cosi' ricostruito il quadro normativo di riferimento, il ricorrente ritiene che la previsione regionale di 'estendere l'uso di farmaci nell'ambito del SSN, anche al di fuori delle indicazioni registrate nell'AIC, peraltro per finalita' e con modalita' che [...] travalicano quelle previste' dalle richiamate disposizioni statali, inciderebbe 'negativamente' sui livelli essenziali di assistenza, in quanto determinerebbe 'una evidente disparita' di trattamento tra gli assistiti soggetti alle sue disposizioni ed il resto dei fruitori del SSN su scala nazionale, consentendo un decremento del regime di assistenza riconosciuto, consistente nell'impiego improprio di medicinali'.

In via subordinata, il ricorrente ritiene, inoltre, che 'nell'ipotesi' in cui si considerasse la disposizione impugnata come espressione della competenza legislativa concorrente delle Regioni in materia di tutela della salute, essa sarebbe comunque illegittima, per violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, in quanto inciderebbe 'sulla determinazione dei principi fondamentali' riservata allo Stato.

Sul punto il ricorrente precisa che 'la materia relativa all'uso dei farmaci', anche alla luce della giurisprudenza costituzionale, in particolare, della sentenza n. 282 del 2002, attiene senza dubbio ai principi fondamentali. Principi contenuti nella normativa statale finora richiamata, in base alla quale, prosegue il Presidente del Consiglio dei ministri, le variazioni delle indicazioni terapeutiche dei farmaci sono sottoposte a preventiva autorizzazione e l'erogazione di medicinali a carico del Servizio sanitario nazionale per indicazioni terapeutiche diverse da quelle autorizzate e' possibile 'solo qualora non esista una valida alternativa terapeutica e, comunque, previo inserimento degli stessi in un apposito elenco predisposto e periodicamente aggiornato dalla Commissione unica del farmaco'.

Tanto premesso, secondo il ricorrente, la norma regionale impugnata violerebbe i suddetti principi fissati dallo Stato in quanto: a) 'finalizza' la possibilita' di utilizzare farmaci anche al di fuori delle indicazioni registrate nell'autorizzazione all'immissione in commercio, 'alla prospettiva di una significativa riduzione della spesa farmaceutica a carico del SSN', senza 'tenere conto del piu' stringente criterio della mancanza di valide alternative sul piano curativo'; b) 'oblitera' le competenze della Commissione tecnico scientifica dell'AIFA 'e dei corrispondenti organi comunitari', nonche' la procedura in base alla quale puo' avvenire l'erogazione del farmaco.

1.2. - Con una seconda questione il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, inoltre, l'art. 48 della legge regionale n. 24 del 2009.

In particolare, censura il comma 1, nella parte in cui attribuisce ai cittadini di Stati parti dell'Unione europea il diritto di accedere alla fruizione dei servizi privati in condizione di parita' e senza discriminazione. La norma, secondo il ricorrente, nel sancire 'il corrispondente obbligo per gli operatori economici privati di non rifiutare la loro prestazione', introdurrebbe un obbligo legale a contrarre, peraltro gia' previsto dal legislatore statale all'art. 187 del regio decreto 6 maggio 1940, n...

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