n. 59 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 novembre 2013 -

LA CORTE DI APPELLO Nella persona del Consigliere dr.ssa Antonella Stilo, ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento camerale iscritto al n. 328/2013 V.G., avente ad oggetto: equa riparazione ex legge n. 89/2001, ad istanza di Gugliotta Angelina, nata a Librizzi (ME) il 9 gennaio 1947, rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Riolo per procura a margine del ricorso, ed elettivamente domiciliata in Reggio Calabria, via Miraglia n. 19, presso lo studio dell'avv. Sergio Florio, ricorrente, contro il Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore, resistente;

Visto il ricorso presentato in data 18 novembre 2013 da Gugliotta Angelina, con il quale viene richiesto l'indennizzo per l'irragionevole durata di una controversia dalla stessa promossa, con ricorso depositato in data 7 luglio 1999, innanzi alla sezione lavoro del Tribunale di Patti, contro l'INPS, per ottenere la declaratoria di illegittimita' del provvedimento di revoca della pensione di invalidita', e la condanna dell'Istituto al pagamento della prestazione dovuta con decorrenza dal dicembre 1996 (controversia conclusa con il rigetto della domanda all'esito del giudizio di primo grado, con sentenza passata in giudicato);

Vista la documentazione allegata, osserva. 1. La fattispecie. Il giudizio presupposto e' stato definito con sentenza del Tribunale di Patti, sezione lavoro, n. 1467/12, emessa il 25 maggio 2012 e depositata il 25 giugno 2012, che ha rigettato la domanda di Gugliotta Angelina, «esonerando la ricorrente dal pagamento delle spese processuali», e ponendo a carico dell'INPS le spese di CTU. L'odierna ricorrente all'esito del giudizio presupposto e' dunque risultata interamente soccombente. 2. La disciplina applicabile alla fattispecie. La norma censurata. Reputa questo decidente, in conformita' con l'indirizzo gia' seguito da questa Corte, che la nuova disciplina dettata in tema di equa riparazione per effetto delle modifiche introdotte alla legge 24 marzo 2001, n. 89, dall'art. 55 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (recante Misure urgenti per la crescita del Paese: c.d. decreto Sviluppo), convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, e in particolare la norma, decisamente innovativa, contenuta nel nuovo art. 2-bis, comma 3, legge n. 89/2001 (a mente della quale, «la misura dell'indennizzo, anche in deroga al comma 1, non puo' in ogni caso essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice»), debba necessariamente portare a non riconoscere, in tal caso, in alcuna misura, il preteso diritto all'indennizzo. 2.1. Prima di concentrare l'attenzione su tale disposizione, giova prendere le mosse da altra previsione che vale a delineare un piu' ampio e coerente quadro di riferimento, anche se di per se' non ancora decisivo ne' univoco nel senso sopra indicato: ci si riferisce alla previsione di cui all'art. 2-bis, comma 2, lettera a), legge cit., secondo la quale «... l'indennizzo e' determinato ... tenendo conto: a) dell'esito del processo nel quale si e' verificata la violazione di cui al comma 1, dell'art. 2 ... ». Onde apprezzarne la portata innovativa, e' bene rammentare che, con riferimento alla previgente normativa, nella giurisprudenza della Corte di cassazione (conformemente alla giurisprudenza della Corte E.D.U.), posta la regola del riconoscimento del diritto all'equa riparazione a tutte le parti del processo «indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti e dalla consistenza economica ed importanza del giudizio» e precisata altresi' l'irrilevanza della «asserita consapevolezza da parte dell'istante della scarsa probabilita' di successo dell'iniziativa giudiziaria» (v. ex aliis Cass. 12 aprile 2010, n. 8632;

9 aprile 2010, n. 8541), si ammette bensi' che dell'esito del processo presupposto possa comunque tenersi conto ma solo qualora abbia un indiretto riflesso sull'identificazione, o sulla misura, del pregiudizio morale sofferto dalla parte in conseguenza dell'eccessiva durata della causa, come accade «quando il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2», precisandosi inoltre che di dette situazioni, «costituenti abuso del processo» anche ai fini della commisurazione dell'indennizzo, «deve dare prova puntuale l'Amministrazione» non essendo «sufficiente, a tal fine, la deduzione che la domanda della parte sia stata dichiarata manifestamente infondata» (v. ex multis, da ultimo, Cass. 9 gennaio 2012, n. 35). A fronte di un indirizzo cosi' strutturato, la portata innovativa della previsione di cui all'art. 2-bis comma 2, lettera a) si apprezza sotto un duplice profilo. Anzitutto perche' la considerazione dell'esito del giudizio assume, nella nuova disciplina, bensi' ai soli fini della quantificazione dell'indennizzo, un ruolo non piu' eccezionale ma normale, fisiologico e soprattutto sganciato dalla condizione che esso si accompagni anche alla consapevolezza della parte e, correlativamente, ad un uso strumentale del processo. In secondo luogo, perche' non puo' considerarsi piu' necessario, affinche' l'esito del giudizio possa assumere un ruolo riduttivo dell'indennizzo, che lo stesso (e soprattutto l'abuso del processo alla base di esso richiesto) sia oggetto di un onere di allegazione e prova da parte dell'amministrazione, potendo e dovendo il giudice ex se - tanto piu' nel nuovo modello procedimentale a contraddittorio eventuale - sindacare e ponderare l'esito del giudizio quale risultante dagli atti prodotti. 2.2. Nella stessa direzione si inserisce, ma con portata ancor piu' dirompente, la previsione qui censurata contenuta nel comma 3 del nuovo art. 2-bis, a tenore della quale "la misura dell'indennizzo, anche in deroga al comma 1, non puo' in ogni caso essere superiore al valore della causa o, se inferiore, a quello del diritto accertato dal giudice". 2.2.1. La previsione pone, anzitutto, un ancor piu' stretto legame tra valore della causa ed equa riparazione, stabilendo che il primo rappresenta un limite per il secondo. In tale parte essa da' espressione ad una convinzione di comune buon senso particolarmente avvertita per le cause bagattellari: e', infatti, inimmaginabile che per l'eccessiva durata di un processo nel quale tuttavia si verta di beni o somme per un valore di poche centinaia o addirittura poche decine di euro, possa mai presumersi una sofferenza morale o paterna d'animo tale da meritare indennizzi di euro 750 o anche solo 500 per ogni anno di ritardo. 2.2.2. La norma, pero', va al di la' di tale equazione, giungendo - nella seconda parte - a stabilire che l'indennizzo non...

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