n. 97 SENTENZA 15 aprile - 5 giugno 2015 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 666, comma 3, e 678, comma 1, del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale di sorveglianza di Napoli nel procedimento di sorveglianza nei confronti di F.A. con ordinanza del 14 luglio 2014, iscritta al n. 189 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 2014. Udito nella camera di consiglio del 15 aprile 2015 il Giudice relatore Giuseppe Frigo. Ritenuto in fatto Con ordinanza depositata il 14 luglio 2014, il Tribunale di sorveglianza di Napoli ha sollevato, in riferimento agli artt. 111, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale degli artt. 666, comma 3, e 678, comma 1, del codice di procedura penale, «nella parte in cui non consentono che il procedimento innanzi il Tribunale di Sorveglianza nelle materie di competenza si svolga, su istanza degli interessati, nelle forme della pubblica udienza». Il giudice a quo premette di essere investito della domanda di concessione della detenzione domiciliare (art. 47-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354, recante «Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'»), presentata ai sensi dell'art. 656, comma 5, cod. proc. pen. da una persona condannata alla pena di due anni e otto mesi di reclusione. Riferisce, altresi', che il difensore dell'interessato aveva chiesto che il procedimento fosse trattato «in forma pubblica». Il rimettente rileva che, in base alla normativa vigente, la richiesta non potrebbe essere accolta. L'art. 678, comma 1, cod. proc. pen. stabilisce, infatti, che il tribunale di sorveglianza, nelle materie di sua competenza, procede «a norma dell'articolo 666», il quale, a sua volta, prevede, al comma 3, che «il giudice o il presidente del collegio, designato il difensore di ufficio all'interessato che ne sia privo, fissa la data dell'udienza in camera di consiglio e ne fa dare avviso alle parti e ai difensori». Il dettato normativo risulterebbe, pertanto, inequivoco nello stabilire che il procedimento di sorveglianza abbia luogo «in camera di consiglio»: formula che - alla luce di un consolidato orientamento giurisprudenziale - implicherebbe un rinvio alla disciplina generale dettata dall'art. 127 cod. proc. pen., il quale dispone espressamente, al comma 6, che l'udienza si svolge «senza la presenza del pubblico». Ad avviso del giudice a quo, le norme censurate violerebbero, per questo verso, l'art. 117, primo comma, Cost., ponendosi in contrasto - non superabile per via di interpretazione - con il principio di pubblicita' dei procedimenti giudiziari, sancito dall'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, cosi' come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. In pronunce rese nei confronti dello Stato italiano, concernenti i procedimenti per l'applicazione di misure di prevenzione e per la riparazione dell'ingiusta detenzione (sentenza 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza contro Italia;

sentenza 8 luglio 2008, Perre e altri contro Italia;

sentenza 10 aprile 2012, Lorenzetti contro Italia), la Corte di Strasburgo ha, in effetti, ritenuto che le procedure «in camera di consiglio» prese in considerazione si pongano in contrasto con l'indicata garanzia convenzionale, che tutela le persone soggette a giurisdizione contro una giustizia segreta, che sfugge al controllo del pubblico, e costituisce uno dei mezzi per preservare la fiducia nei giudici. In particolare, con riguardo ai procedimenti per l'applicazione di misure di prevenzione (cui si riferiscono le prime due pronunce dianzi citate), la Corte europea ha osservato che - pur a fronte dell'elevato grado di tecnicismo che dette procedure possono presentare e delle esigenze di protezione della vita privata di terze persone, in esse spesso riscontrabili - l'entita' della «posta in gioco» e gli effetti che le procedure stesse possono produrre sulle persone coinvolte non consentono di affermare che il controllo del pubblico non rappresenti una condizione necessaria alla garanzia dei diritti dell'interessato. Di conseguenza, ha giudicato «essenziale», ai fini del rispetto del citato art. 6, paragrafo 1, della Convenzione, che i soggetti coinvolti nelle procedure in questione «si vedano almeno offrire la...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT