n. 5 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 1 giugno 2017 -

Il sottoscritto Marco Di Stefano nato a Roma il 12 maggio 1964 ed ivi residente in viale dei Campioni 19, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Gianzi e Angelo Cugini, presso i quali elegge domicilio in Roma, presso studio legale Gianzi, via della Conciliazione 44, a seguito dell'incarico rivestito di consigliere della Regione Lazio dal 2005 al 2012, propone conflitto di attribuzione con la Magistratura, dalla quale e' stato imputato unitamente ad altri consiglieri regionali per i reati di seguito descritti nel capo di imputazione, con attivita' lesiva dell'autonomia esclusiva garantita dalla Costituzione nelle materie oggetto della contestazione penale. I reati di peculato (capo A), truffa (capo B), corruzione (capo C) e abuso d'ufficio (capi D ed E), contestati in parte ad alcuni di noi (capi A, B, C ed E), mentre l'abuso a tutti, pur rispondendo lo scrivente unicamente dell'abuso di ufficio meglio descritto al capo D dell'imputazione, riguardano essenzialmente due questioni: l'uso dei fondi destinati al Gruppo Consiliare PD e alle nostre attivita' e funzioni;

l'assunzione a tempo (per la durata della legislatura) con contratto di diritto privato e chiamata diretta e fiduciaria del personale di supporto alle nostre attivita' e funzioni, personale che - secondo gli inquirenti - occorreva assumere con procedimento selettivo aperto a tutti e titoli qualificati e specialistici, in difetto dei quali avrebbe dovuto restare a nostro carico. Per comodita' di consultazione, e senza condividere ne' in fatto ne' in diritto i dettagli del testo, si notifica unitamente al presente atto di ricorso il capo di imputazione. Riservandoci ulteriori deduzioni con successiva memoria, cercheremo qui di sintetizzare i dati necessari per l'esame di codesta Ecc.ma Corte, e cioe' quelli afferenti nella fattispecie: 1) alla legittimazione dei consiglieri regionali a proporre il presente ricorso;

2) alle ragioni in fatto e in diritto del conflitto, con indicazione delle normative di vario livello che presidiano le competenze violate, e la garanzia loro fornita dalle norme costituzionali. 1) La legittimazione dei consiglieri regionali. 1/

  1. Le contestazioni che ci sono state mosse riguardano in realta' scelte relative all'organizzazione, all'attivita' istituzionale e alla dotazione anche finanziaria dei Gruppi regionali, sottratte all'invadenza di altri soggetti e poteri dello Stato, perche' essenziali ai fini del funzionamento di organi regionali come i Gruppi e i Consiglieri che ne fanno parte, gli uni e gli altri elementi costitutivi di un tutto senza di essi inconcepibile, com'e' l'istituto regione, e di quel «tutto» anche rappresentativi. Il lineamento dei consiglieri regionali e' tracciato a chiare lettere dall'art. 29 comma 1 dello Statuto vigente (edizione 2004), norma collocata nella Sezione II, I consiglieri regionali, del Titolo IV, organi costituzionali della regione: «I consiglieri regionali rappresentano la regione ed esercitano le funzioni senza vincolo di mandato». La stessa formula era presente nel vecchio Statuto, edizione 1971, art. 15, mutuata da quella usata per i parlamentari della Repubblica dall'art. 67 della Costituzione. Fermo restando, quindi, che ogni consigliere regionale rappresenta la regione unitariamente intesa, occorre rilevare che l'art. 39 comma 3 della legge n. 87/1953, norma che regola la rappresentanza in giudizio, ha previsto che sia il Presidente della Giunta regionale a proporre ricorso per conflitto di attribuzione nei riguardi dell'invadenza di organi dello Stato. Pertanto, i consiglieri regionali direttamente interessati nella fattispecie alla proposizione del ricorso, sebbene il tempo della loro legislatura fosse ormai scaduto (cosa che, alla stregua della giurisprudenza di Codesta Corte non appare ostativa all'ammissibilita' di un giudizio ora per allora: tra tutti, ricordiamo i casi Cossiga e Mancuso), appena ricevuta ufficialmente notizia dell'attivita' della Procura di Roma, aspettavano che il nuovo Presidente della Giunta proponesse il conflitto di attribuzione, difendendo cosi' al contempo l'autonomia dell'istituto regionale, e quella degli organi chiamati in causa, e cioe' il Consiglio regionale, i Gruppi e i singoli consiglieri, non solo quelli ex, ma anche quelli attuali che stanno operando - secondo noi in piena legittimita' - praticamente pero' con le stesse normative e le stesse modalita' degli ex consiglieri incriminati dalla Procura di Roma. E invece all'udienza del 16 marzo 2017 davanti al Gup che deve decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio della Procura (proc. n. 9173/2015 r.g.n.r. e n. 17013 rg. giudice per le indagini preliminari: udienza poi rinviata per astensione nazionale degli avvocati), non senza sconcerto si e' appreso che l'avvocatura della regione era li' presente per costituirsi parte civile contro di noi, con richiesta di rimborsi e danni all'immagine milionari! Putroppo, le ragioni di fondo, non giuridiche ma mediatiche, di tale inaspettata e contraddittoria iniziativa, che pone il rappresentante della regione in palese stato di conflitto di interesse istituzionale con l'ente e gli organi dell'ente di cui avrebbe dovuto tutelare l'autonomia, Consiglio, Gruppi consiliari e Consiglieri, si coglievano subito dall'allegato all'atto di costituzione: e cioe', l'estratto con «motore di ricerca Google» degli articoli di stampa che megafonavano in termini di perentoria condanna l'inchiesta contro i Consiglieri e il gruppo PD. E' stato dunque il giorno dell'udienza, il 16 marzo scorso, che i consiglieri regionali interessati alla proposizione del ricorso per conflitto di attribuzioni a tutela della loro autonomia e della regione, hanno appreso che la figura autorizzata a farlo, il Presidente della Giunta, aveva abdicato al suo dovere. Essi dunque, rimasti senza rappresentanza processuale, si sono trovati nella inedita situazione di dover provvedere da se stessi. Pertanto, saranno loro, che ne hanno un interesse istituzionale e personale diretto, a provvedere alla notifica del presente ricorso al Presidente del Consiglio e al Procuratore Capo della Repubblica di Roma, entro i sessanta giorni previsti dall'art. 39 comma 2 della legge n. 87/1953, termine calcolato ovviamente a partire da quando si e' appresa la notizia dell'inusitata abdicazione del loro rappresentante processuale: e cioe' dal giorno dell'udienza davanti al GUP. 1/b) Considerata la strana situazione che ci si e' trovati a fronteggiare, ci sia consentita pero' qualche ulteriore riflessione. Se non sbagliamo, il conflitto qui promosso sarebbe inquadrabile, secondo la tipologia descritta dalla legge e dalle norme integrative 2008 della Giustizia Costituzionale, nella tipologia del conflitto di attribuzione (vindicatio potestatis) tra enti. Il ricorso in questione sembra avere un tratto che, nell'ambito di tale tipologia per la quale soltanto vale il termine decadenziale dei sessanta giorni dalla comunicazione o...

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