n. 43 SENTENZA 10 gennaio - 24 febbraio 2017 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 30, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), promosso dal Tribunale di Como nel procedimento vertente tra M. G. ed altra e la Direzione territoriale del lavoro di Como ed altra, con ordinanza del 4 febbraio 2015, iscritta al n. 106 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 2015. Visti l'atto di costituzione di M. G. ed altra, nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 10 gennaio 2017 il Giudice relatore Marta Cartabia;

uditi l'avvocato Giorgio Albe' per M. G. ed altra e l'avvocato dello Stato Filippo Bucalo per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza del 4 febbraio 2015 e iscritta al n. 106 del registro ordinanze 2015, il Tribunale ordinario di Como ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 30, quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), lamentando la violazione degli artt. 3, 25, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 6 e 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (d'ora in avanti: CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848. 1.1.- La disposizione censurata prevede che la dichiarazione di illegittimita' costituzionale di una norma in applicazione della quale e' stata pronunciata sentenza irrevocabile di condanna comporta la cessazione della sua esecuzione e di tutti gli effetti penali a essa connessi. Ad avviso del giudice rimettente, l'illegittimita' costituzionale della disposizione deriverebbe dalla limitazione della sua portata normativa alle sole sentenze irrevocabili di condanna con le quali sia stata inflitta una sanzione penale nel significato proprio dell'ordinamento giuridico italiano, e non anche nel significato, piu' ampio, proprio del sistema convenzionale. 2.- Il giudice rimettente ritiene la questione rilevante e non manifestamente infondata. 2.1.- Oggetto del giudizio a quo e' un ricorso in opposizione, ai sensi dell'art. 615 codice di procedura civile, all'esecuzione di cartelle di pagamento emesse in conseguenza dell'accertamento della violazione di disposizioni in materia di orario di lavoro dei dipendenti e in applicazione dell'art. 18-bis, comma 4, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro), nel testo introdotto dall'art. 1, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 19 luglio 2004, n. 213 (Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, in materia di apparato sanzionatorio dell'orario di lavoro). Tale ultima disposizione e' stata dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza n. 153 del 2014, quando il rapporto obbligatorio era ormai esaurito per il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, con cio' escludendo, a dire del giudice rimettente, diversamente da quanto affermato dalle parti, l'applicabilita' del terzo comma dell'art. 30 della legge n. 87 del 1953. Tuttavia, il passaggio in giudicato non escluderebbe, secondo il giudice rimettente, l'applicabilita' al caso de quo del quarto comma del citato articolo, ritenendo a esso riconducibili anche le situazioni - come quella del caso di specie - in cui la sentenza divenuta irrevocabile sia stata pronunciata sulla base di una disposizione, poi dichiarata costituzionalmente illegittima, che prevede una sanzione amministrativa qualificabile come penale ai sensi della CEDU. La rilevanza discenderebbe, dunque, dalla considerazione che solo l'eventuale accoglimento della questione potrebbe consentire alla parte opponente di conseguire un petitum non altrimenti ottenibile: l'applicazione dell'art. 30, quarto comma, della legge n. 87 del 1953, e la conseguente non applicazione dell'art. 18-bis, comma 4, comporterebbe la reviviscenza di una disciplina sanzionatoria piu' favorevole di quella irrogata sulla base della disposizione annullata dalla Corte costituzionale. Ne' fungerebbe da limite all'ammissibilita' della questione la presenza di una sentenza passata in giudicato, avendo la prima «per oggetto proprio la norma che attribuisce definitivita' al rapporto dedotto in giudizio». 2.2.- La non manifesta infondatezza della questione, in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., discenderebbe, secondo il giudice rimettente, dal seguente percorso argomentativo. La giurisprudenza della Corte di Strasburgo in diverse occasioni (decisioni 8 giugno 1976, Engel e altri contro Paesi Bassi;

21 febbraio 1984, Öztürk contro Germania;

1 febbraio 2005, Ziliberberg contro Moldavia) ha affermato la natura sostanzialmente penale, ai fini dell'applicazione delle garanzie del giusto processo (di cui all'art. 6 CEDU), di sanzioni pur formalmente qualificate come amministrative nell'ordinamento interno degli Stati, purche' sia riscontrata la presenza di almeno uno dei criteri (cosiddetti "criteri Engel") elaborati dalla stessa giurisprudenza sovranazionale per tale riqualificazione. Perche' una sanzione debba considerarsi sostanzialmente penale ai sensi della CEDU occorre che presenti almeno uno di questi caratteri: la norma che commina la sanzione amministrativa deve rivolgersi alla generalita' dei consociati e perseguire uno scopo preventivo, repressivo e punitivo, e non meramente risarcitorio;

ovvero la sanzione suscettibile di essere inflitta deve comportare per l'autore dell'illecito un significativo sacrificio, anche di natura meramente economica e non consistente nella privazione della liberta' personale. La sanzione amministrativa inflitta ai sensi dell'art. 18-bis, comma 4, del d.lgs. n. 66 del 2003, alla luce dei suddetti criteri, potrebbe essere qualificata di natura sostanzialmente penale: sia perche' tale disposizione, rivolta alla generalita' dei consociati, persegue uno scopo non meramente risarcitorio, ma repressivo e preventivo rispetto al fenomeno del cosiddetto "sfruttamento del lavoro";

sia perche' la sanzione astrattamente irrogabile puo' raggiungere, come nel caso di specie, un importo rilevante. Il riconoscimento alla sanzione de qua della natura sostanzialmente penale implica l'applicabilita' alla stessa del principio di legalita' di cui all'art. 7 CEDU, ai sensi del quale i reati e le pene devono essere previsti dalla legge. Il giudice rimettente ritiene, richiamando la giurisprudenza della Corte EDU, che la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 18-bis, comma 4, avrebbe privato la sanzione irrogata della base legale, determinando cosi' una violazione dell'art. 7 CEDU. Di qui la necessita' che siano rimossi gli effetti di tale disposizione, nonostante il passaggio in giudicato dell'accertamento dell'illecito cui le sanzioni danno seguito. In sintesi, il giudice rimettente - reputata la natura sostanzialmente penale della sanzione di cui all'art. 18-bis, comma 4, ritenuta la necessita' che siano rimossi gli effetti prodotti da una sanzione divenuta priva di base legale (in quanto dichiarata costituzionalmente illegittima), richiamata la giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia di applicabilita' dell'art. 30, quarto comma, della legge n. 87 del 1953 anche alle ipotesi di dichiarazione d'illegittimita' costituzionale delle norme sul trattamento sanzionatorio (Corte di cassazione, sezioni unite penali, 14 ottobre 2014, n. 42858, e 7 maggio 2014, n. 18821) - chiede che sia dichiarata l'illegittimita' costituzionale di quest'ultima disposizione nella parte in cui, non applicandosi anche alle sanzioni amministrative qualificabili come "penali" ai sensi della CEDU, contrasta con gli artt. 6 e 7 CEDU e, per il loro tramite, con l'art. 117, primo comma, Cost. 2.3.- Sussisterebbe, secondo il giudice rimettente, altresi' la violazione degli artt. 3 e 25, secondo comma, Cost. Dalla qualificazione delle sanzioni de quibus come sostanzialmente penali discenderebbe l'estensione alle medesime delle garanzie previste dall'ordinamento giuridico per le sanzioni qualificate come penali dal diritto nazionale, tra le quali anche l'art. 30, quarto comma, della legge n. 87 del...

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