n. 30 ORDINANZA (Atto di promovimento) 23 ottobre 2018 -

LA CORTE DEI CONTI Sezione giurisdizionale d'appello per la regione siciliana Composta dai magistrati: dott. Giovanni Coppola - Presidente;

dott. Vincenzo Lo Presti - consigliere;

dott. Tommaso Brancato - consigliere;

dott. Valter Del Rosario - consigliere-relatore;

dott. Guido Petrigni - consigliere;

Ha emesso la seguente ordinanza m. 42/A/2018 nel giudizio d'appello inmateria pensionistica iscritto al n. 5805/AC del registro si segreteria, promosso da: Di Maggio Piero, nato a Tusa (ME) il 13 marzo 1944, difeso dall'avv. Francesco Castaldi (con domicilio eletto presso il suo studio legale, in via Littore Ragusa n. 22 Palermo);

Avverso il Fondo Pensioni Sicilia, difeso dagli avvocati Vincenzo Farina e Beniamino Lipani (domiciliati presso l'Ufficio Legislativo e Legale della Regione Siciliana, in via Caltanissetta n. 2/E, Palermo), per ottenere la riforma della sentenza n. 829/2016, emessa dalla Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Siciliana in data 18 novembre 2016;

Visti tutti gli atti e documenti di causa;

Uditi nella pubblica udienza del 14 giugno 2018 il consigliere-relatore dott. Valter Del Rosario, l'avv. Francesco Castaldi per il sig. Di Maggio e l'avv. Beniamino Lipani per il Fondo Pensioni Sicilia. Fatto Nel ricorso inoltrato alla Sezione di primo grado nell'ottobre 2014, Di Maggio Piero (ex dirigente della Regione Siciliana, in quiescenza dal 26 maggio 2010, titolare di pensione d'ammontare superiore ad €

160.000,00 annui lordi) riferiva che, a partire dal mese di luglio 2014, la sua pensione era stata decurtata in applicazione dell'art. 13, comma 2, della legge regionale 11 giugno 2014, n. 13, secondo cui: «Al fine di conseguire risparmi di spesa attraverso la razionalizzazione della spesa pubblica regionale nonche' al fine della salvaguardia degli equilibri di bilancio, per il periodo 1° luglio 2014 - 31 dicembre 2016 i trattamenti onnicomprensivi di pensione, compresi quelli in godimento, in tutto od in parte a carico dell'Amministrazione regionale e del Fondo Pensioni Sicilia, non possono superare il tetto di €

160.000,00 annui». Considerato che, a suo avviso, tale norma presentava vari profili d'incostituzionalita', il Di Maggio chiedeva al Giudice di primo grado di deferire le relative questioni alla Corte costituzionale, al fine d'ottenere, previa declaratoria d'illegittimita' costituzionale della disposizione contestata, la condanna del Fondo Pensioni Sicilia a ripristinare l'erogazione della sua pensione nell'originario ammontare ed a corrispondere le relative somme arretrate a lui spettanti, maggiorate degli accessori di legge. Con la sentenza n. 829/2016 il Giudice di primo grado reputava manifestamente infondate tutte le questioni di legittimita' costituzionale prospettate dal Di Maggio nei riguardi dell'art. 13, i comma 2, della legge regionale 11 giugno 2014, n. 13, e, conseguentemente, rigettava il ricorso giurisdizionale proposto dal medesimo. Avverso tale sentenza ha proposto appello il Di Maggio, affermando che il Giudice di primo grado avrebbe erroneamente ritenuto che fossero manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale, che erano state da lui prospettate avverso la norma che aveva fissato, per il periodo 1° luglio 2014 - 31 dicembre 2016, ad €

160.000,00 annui il tetto delle pensioni dovute agli ex dipendenti della Regione Siciliana. In particolare, la parte appellante ha, preliminarmente, riferito d'aver ricoperto il ruolo di dirigente di prima fascia della Regione Siciliana e d'essere stato assunto in servizio in epoca anteriore all'entrata in i vigore della legge regionale n. 21 del 9 maggio 1986, venendo cosi' a far parte della schiera degli ex dipendenti regionali rientranti nell'ambito del cosiddetto «contratto 1», le cui pensioni vengono materialmente pagate dal Fondo Pensioni Sicilia, con l'utilizzo di fondi integralmente provenienti dal bilancio della Regione Siciliana. Cio' in conformita' all'art. 15 della legge regionale 14 maggio 2009, n. 6 (istitutiva del «Fondo Pensioni Sicilia»), che dispone espressamente, al comma 8, che: «L'onere del trattamento di quiescenza per personale di cui ai i commi 2 e 3 dell'art. 10 della legge regionale n. 21/1986 (ossia i soggetti rientranti nell'ambito del cosiddetto «contratto 1») e' totalmente a carico del bilancio della Regione, che provvede ai relativi pagamenti tramite il Fondo Pensioni, attraverso appositi trasferimenti delle risorse finanziarie occorrenti». Cio' premesso, la parte appellante ha sostenuto quanto segue. Come si evince dal testo dell'art. 13, comma 2, della legge regionale n. 13/2014 e com'e' stato, peraltro, confermato dal Fondo Pensioni Sicilia (v. la nota n. 7835 del 2 marzo 2016, in risposta a specifici quesiti formulati dalla locale Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti con apposita ordinanza istruttoria), i risparmi di spesa, scaturenti dall'imposizione del tetto di €

160.000,00 annui alle pensioni degli ex dipendenti regionali rientranti nel cosiddetto «contratto 1», non restano affatto nell'ambito del circuito previdenziale per il perseguimento di finalita' solidaristiche e/o perequative, ma vengono a configurarsi come mere «economie di bilancio» a vantaggio della Regione Siciliana, come tali finalizzate alla razionalizzazione della spesa pubblica regionale ed alla salvaguardia dei relativi equilibri di bilancio e rientranti, dunque, nel piu' ampio contesto della «fiscalita' generale». In pratica, l'art. 13, comma 2, della legge regionale n. 13/2014, determinando una decurtazione definitiva della pensione, con acquisizione al bilancio regionale del relativo ammontare, presenta tutti i requisiti individuati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale (v., ex plurimis, le sentenze: n. 223/2012, n. 141/2009, nn. 64, 102, 335 del 2008, n. 334/2006, n. 73/2005) come denotanti la natura tributaria del prelievo, ossia: la doverosita' della prestazione in mancanza di un rapporto sinallagmatico tra le parti;

il collegamento della prestazione alla spesa pubblica, in relazione ad un presupposto economicamente rilevante. D'altronde, tale prelievo viene a gravare, senz'alcuna ragione giuridicamente apprezzabile, esclusivamente su una ben determinata ed assai ristretta categoria di soggetti, quali i pensionati della Regione Siciliana titolari di trattamenti di quiescenza di elevato ammontare, restando, invece, esclusi tutti gli altri cittadini, ivi compresi gli ex dipendenti dell'Assemblea Regionale Siciliana. Orbene, ad avviso della parte appellante, in tale peculiare contesto vanno tenute ben presenti le fondamentali argomentazioni contenute nelle sentenze della Corte costituzionale n. 116/2013 e n. 173/2016, secondo cui se il prelievo a carico delle pensioni viene acquisito «tout court» al bilancio di Stato (o, come avviene nel caso di specie, della Regione Siciliana) ed e', dunque destinato alla fiscalita' generale esso si configura come un tributo di natura speciale e, quindi, va ritenuto costituzionalmente illegittimo per violazione degli articoli 3 e 53 della Costituzione. In sostanza, secondo la Consulta (v. la sentenza n. 173/2016), «il prelievo sulle pensioni, per superare lo scrutinio stretto di costituzionalita' e palesarsi, dunque, come misura improntata effettivamente alla solidarieta' previdenziale (articoli 2 e 38 della Costituzione), deve operare all'interno del complessivo sistema della previdenza, come misura di solidarieta' forte, mirata a puntellare il sistema pensionistico, e di sostegno previdenziale alle categorie piu' deboli, in un'ottica di mutualita' intergenerazionale, siccome imposta da una grave crisi del sistema stesso, indotta da vari fattori, che debbono essere accuratamente ponderati dal legislatore, in modo da conferire all'intervento quella incontestabile ragionevolezza, a fronte della quale soltanto puo' consentirsi di derogare al principio...

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