n. 257 SENTENZA 25 ottobre - 6 dicembre 2017 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 3, lettera a), del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, promossi dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Puglia, con due ordinanze del 28 luglio 2016, iscritte ai numeri 257 e 258 del registro ordinanze 2016 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell'anno 2016. Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 25 ottobre 2017 il Giudice relatore Aldo Carosi. Ritenuto in fatto 1.- Con due ordinanze di analogo contenuto, depositate entrambe in data 28 luglio 2016, la sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Puglia, in composizione monocratica, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 3, lettera a), del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, per violazione degli artt. 3, primo comma, e 25, primo comma, della Costituzione. Espone il rimettente che, con decreti emessi in data 7 aprile 2016, il Presidente della sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Puglia, su ricorso del Procuratore regionale, ha autorizzato con propri decreti il sequestro conservativo ante causam sui beni di presunti responsabili per danni cagionati all'erario, designando in entrambi i procedimenti il medesimo rimettente quale giudice per la successiva fase del giudizio di «conferma, modifica o revoca» ai sensi dell'art. 5 del d.l. n. 453 del 1993. All'esito di detta udienza il predetto giudice designato solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 3, lettera a), del d.l. n. 453 del 1993, nella parte in cui non prevede che la designazione del giudice sia effettuata sulla base di criteri oggettivi e predeterminati, per violazione degli artt. 3, primo comma, e 25, primo comma, Cost. 2.- Espone il giudice a quo che la questione di legittimita' costituzionale si presenta rilevante nei giudizi a quibus in quanto, essendo stata effettuata la designazione dal Presidente della sezione giurisdizionale, con decreto emesso in data 7 aprile 2016, sulla base di una valutazione assolutamente discrezionale, qualora fosse dichiarata l'incostituzionalita' della norma denunciata verrebbe meno la regolare costituzione del rimettente;

inoltre, evidenzia che l'interpretazione adeguatrice indicata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 272 del 1998, sarebbe smentita dal "diritto vivente", ossia da una immutata prassi che avrebbe perseverato nelle assegnazioni discrezionali. 2.1.- In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo prospetta le questioni come ipotesi di illegittimita' costituzionale sopravvenuta. 2.1.1.- Quanto alla violazione dell'art. 25, primo comma, Cost., il rimettente rammenta che, con ordinanza emessa in data 5 luglio 1996, era stata sollevata, sempre dal medesimo giudice, analoga questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 3, lettera a), del d.l. n. 453 del 1993, «sia pure limitatamente alla violazione dell'art. 25, primo comma, Cost.». La Corte costituzionale, con sentenza n. 272 del 1998, riteneva infondata la questione «nei sensi di cui in motivazione», osservando che esiste, in linea generale, inconciliabilita' fra precostituzione del giudice e discrezionalita' in ordine alla sua concreta designazione e che, pertanto, il potere discrezionale dei capi degli uffici nell'assegnazione degli affari deve essere rivolto unicamente al soddisfacimento di obiettive ed imprescindibili esigenze di servizio, allo scopo di rendere possibile il funzionamento dell'ufficio e di agevolarne l'efficienza, restando esclusa qualsiasi diversa finalita'. La Corte, nel motivare il rigetto, affermava che la risposta ai dubbi prospettati dal remittente non passava per la via della declaratoria di incostituzionalita', ma andava ricercata sul piano della organizzazione giudiziaria, nel senso che i poteri organizzativi dei dirigenti degli uffici giudiziari si esercitassero non in modo discrezionale, ma sulla base di criteri oggettivi e predeterminati e senza necessita' di una specifica previsione legislativa, ne' tanto meno di un intervento additivo della Corte costituzionale, purche' le modalita' adottate «siano tali da garantire, comunque, la verifica ex post della loro osservanza». Secondo il giudice a quo si dovrebbe supporre che la Corte, avendo richiamato a termine di paragone la prassi del Consiglio superiore della magistratura (CSM) nel settore degli affari civili, intendesse riferirsi al potere di autoregolamentazione interno del Consiglio di presidenza della Corte dei conti. Sennonche', si prosegue, nei venti anni trascorsi dalla ordinanza emessa in data 5 luglio 1996, il Consiglio di presidenza della Corte dei conti non avrebbe deliberato in materia, a differenza di quanto ha fatto il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa (CPGA), in applicazione dell'art. 13, comma 1, numeri 5), 6) e 6-bis), della legge 27 aprile 1982, n. 186 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliario del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali), nel testo novellato dall'art. 19 della legge 21 luglio 2000, n. 205 (Disposizioni in materia di giustizia amministrativa), laddove e' stato affidato al CPGA il compito di stabilire i criteri di massima per la ripartizione degli affari consultivi e dei ricorsi, rispettivamente, tra le sezioni consultive e quelle giurisdizionali del Consiglio di Stato e i criteri di massima per la ripartizione dei ricorsi nelle sezioni di cui i tribunali amministrativi regionali si compongono;

ed altresi' di quanto avvenuto per la giustizia tributaria, laddove egualmente l'art. 24, comma 1, lettere f) e g), del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545 (Ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) ha assegnato al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria (CPGT) il compito di dettare i criteri di massima per la formazione delle sezioni e dei collegi giudicanti e per la ripartizione dei ricorsi nell'ambito delle commissioni tributarie divise in sezioni. Inoltre, l'art. 6 del d.lgs. n. 545 del 1992 prescrive che il presidente di ciascuna commissione tributaria, all'inizio di ogni anno, stabilisca con proprio decreto la composizione delle sezioni in base ai criteri fissati dal CPGT per assicurare l'avvicendamento dei componenti tra le stesse. Rammenta, infine, quanto disposto dalla raccomandazione (recte: dall'allegato alla raccomandazione) CM/Rec. (2010)12 del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, adottata il 17 novembre 2010, al punto 24, secondo il quale «la distribuzione degli affari all'interno di un tribunale deve seguire criteri oggettivi predeterminati, al fine di garantire il diritto a un giudice indipendente e imparziale. [...]». Sebbene dunque, prosegue il giudice rimettente, il quadro normativo preso in considerazione nell'ordinanza di rimessione del 1996, con esclusivo riferimento al CSM, si sia arricchito in epoca successiva, nondimeno, il Consiglio di...

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