n. 233 SENTENZA 21 ottobre - 19 novembre 2015 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 25, 26, 27, 207 e 208 della legge della Regione Toscana 10 novembre 2014, n. 65 (Norme per il governo del territorio), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 9-15 gennaio 2015, depositato in cancelleria il 13 gennaio 2015 ed iscritto al n. 3 del registro ricorsi 2015. Visto l'atto di costituzione della Regione Toscana;

udito nell'udienza pubblica del 20 ottobre 2015 il Giudice relatore Nicolo' Zanon;

uditi l'avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Silvia Fantappie' per la Regione Toscana. Ritenuto in fatto 1.- Con ricorso spedito per la notifica il 9 gennaio 2015 e depositato nella cancelleria di questa Corte il successivo 13 gennaio 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all'art. 117, primo comma e secondo comma, lettera e), della Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 25, 26 e 27 della legge della Regione Toscana 10 novembre 2014, n. 65 (Norme per il governo del territorio), e, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost., questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 207 e 208 della medesima legge. 1.1.- Con il primo motivo di ricorso, l'Avvocatura generale dello Stato osserva che gli artt. 25, 26 e 27 della legge della Regione Toscana n. 65 del 2014, ponendosi in contrasto con le norme di liberalizzazione contenute nell'art. 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equita' e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, e nell'art. 1, comma 1, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitivita'), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27, violerebbero l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. che assegna allo Stato «la tutela della concorrenza». Il ricorrente lamenta che, in base alle disposizioni impugnate, siano subordinate al parere favorevole della cosiddetta conferenza di copianificazione le previsioni di trasformazione che comportano impegno di suolo non edificato all'esterno del perimetro del territorio urbanizzato (art. 25), e quelle relative alle aggregazioni di medie strutture di vendita aventi effetti assimilabili a quelli delle grandi strutture (art. 26, comma 1). Inoltre, ricorda che, secondo quanto disposto dall'art. 27 della medesima legge, sono subordinate al parere della predetta conferenza le previsioni di medie strutture di vendita che comportano impegno di suolo non edificato al di fuori del perimetro del territorio urbanizzato, sempre che «risultino: a) non inferiori a 2.000 metri quadrati di superficie di vendita per i comuni di cui all'articolo 15, comma 1, lettera e), numero 2), della legge regionale 7 febbraio 2005, n. 28 (Codice del Commercio. Testo unico in materia di commercio in sede fissa, su aree pubbliche, somministrazione di alimenti e bevande, vendita di stampa quotidiana e periodica e distribuzione di carburanti);

  1. non inferiori a 1.000 metri quadrati di superficie di vendita per i comuni diversi da quelli di cui all'articolo 15, comma 1, lettera e), numero 2), della l.r. 28/2005» (art. 27). Nell'esprimere il proprio parere - sottolinea ancora l'Avvocatura generale dello Stato - la conferenza di copianificazione deve verificare dette previsioni, tenendo conto dei seguenti criteri: «a) la capacita' di assorbimento, da parte dell'infrastrutturazione stradale e ferroviaria presente nel territorio del comune e in quello dell'ambito di interesse sovracomunale, del carico di utenze potenziali connesso al nuovo esercizio;

  2. il livello di emissioni inquinanti, comprensivo dell'incremento dovuto alla movimentazione veicolare attesa dalla nuova struttura di vendita;

  3. la sostenibilita' rispetto alla tutela del valore paesaggistico dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell'Organizzazione delle Nazioni unite per l'educazione, la scienza e la cultura (UNESCO) [...];

  4. le conseguenze attese sulla permanenza degli esercizi commerciali di prossimita', al fine di garantire i servizi essenziali nelle aree piu' scarsamente popolate;

  5. le conseguenze attese sui caratteri specifici e sulle attivita' presenti nei centri storici compresi nell'ambito sovracomunale, e le necessarie garanzie di permanenza delle attivita' commerciali d'interesse storico, di tradizione e di tipicita'» (art. 26, comma 2). All'esito della propria verifica, la conferenza di copianificazione «indica gli eventuali interventi compensativi degli effetti indotti sul territorio» (art. 25, comma 5). Cosi' ricostruito il quadro normativo, l'Avvocatura generale dello Stato ritiene che le disposizioni impugnate, pur se relative a motivazioni di tipo urbanistico, aggraverebbero il procedimento autorizzatorio per le medie strutture di vendita in forma aggregata, anche attraverso la previsione di interventi compensativi, «creando, di fatto, ulteriori tipologie di strutture commerciali». Osserva, inoltre, che, con tali disposizioni, la Regione Toscana si proporrebbe di tutelare gli esercizi di vicinato con strumenti non conformi al diritto dell'Unione europea. A tal fine, richiama la sentenza n. 165 del 2014 di questa Corte, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 20 della legge della Regione Toscana 28 settembre 2012, n. 52 (Disposizioni urgenti in materia di commercio per l'attuazione del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 e del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1. Modifiche alla legge regionale n. 28 del 2005 e alla legge regionale n. 1 del 2005), per contrasto con le norme di liberalizzazione contenute nel gia' citato d.l. n. 201 del 2011. Allega, in particolare, che le disposizioni oggetto del presente giudizio non siano in linea con quanto affermato nella pronuncia richiamata, poiche' l'introduzione di requisiti ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legislazione vigente, in considerazione delle dimensioni e della tipologia di esercizio commerciale, rappresenterebbero un ostacolo effettivo alla libera concorrenza. Nel caso di specie, dette restrizioni deriverebbero anche dalla distanza tra le varie strutture di vendita, cio' che sarebbe insito nel richiamo al concetto di «aggregazione». In conclusione, l'Avvocatura generale dello Stato assume che le restrizioni contenute nella disciplina impugnata non siano adeguate ne' proporzionate alle finalita' perseguite, ponendosi in contrasto con la direttiva 12 dicembre 2006, n. 2006/123/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno), e con l'art. 31, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, e violando, per queste ragioni, l'art. 117, primo comma e secondo comma, lettera e), Cost. 1.2.- Con un secondo motivo di ricorso, l'Avvocatura generale dello Stato lamenta che gli artt. 207 e 208 della legge della Regione Toscana n. 65 del 2014, non risultando conformi alla normativa statale di principio contenuta nella Parte I, Titolo IV, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia - Testo A), violerebbero l'art. 117, terzo comma, Cost., con riferimento alla materia «governo del territorio». Sarebbe inoltre violato l'art. 117, secondo comma, lettera s) (rectius: lettera l), Cost., in quanto, incidendo sul sistema di sanzioni civili e penali previste dal testo unico sull'edilizia, le disposizioni impugnate invaderebbero la potesta' legislativa esclusiva statale nella materia «ordinamento civile e penale». In particolare, il ricorrente censura l'art. 207, rubricato «Sanzioni per opere ed interventi edilizi abusivi anteriori al 1° settembre 1967». Il comma 1 di tale articolo - con riferimento ad opere ed interventi edilizi eseguiti ed ultimati in data anteriore al 1° settembre 1967, in assenza di titolo abilitativo o in difformita' dal medesimo, e ricadenti, all'epoca, all'interno della perimetrazione dei centri abitati - prevede che il Comune possa valutare la persistenza dell'interesse pubblico al ripristino della legalita' urbanistica mediante rimessione in pristino, applicando, se tale scrutinio ha esito positivo, e a seconda dei casi, le sanzioni ripristinatorie e pecuniarie previste dagli artt. 196, 199, 200 e 206 della stessa legge regionale. Il successivo comma 2 disciplina, invece, le ipotesi in cui il Comune ritenga insussistente l'interesse pubblico alla rimessione in pristino, prevedendo che, oltre al versamento dei contributi ordinariamente previsti per gli interventi edilizi, sia irrogata una sanzione pecuniaria, la cui entita' varia a seconda che le opere e gli interventi siano o non in contrasto con i vigenti strumenti urbanistici comunali. Il comma 3 specifica che la corresponsione delle indicate somme non determina «la legittimazione dell'abuso». Le opere e gli interventi, sempre eseguiti ed ultimati in data anteriore al 1° settembre 1967 e in assenza di titolo abilitativo o in difformita' dal medesimo, ma ricadenti all'esterno della perimetrazione dei centri abitati, sono poi considerati, dal comma 4, «consistenze legittime dal punto di vista urbanistico-edilizio». Infine, il comma 7 prevede che, a mezzo di apposito piano operativo, si possano assoggettare a specifica disciplina le consistenze edilizie oggetto delle descritte sanzioni, onde consentire interventi comportanti demolizione e ricostruzione, mutamento della destinazione d'uso, aumento del numero delle unita' immobiliari, incremento di superficie o di volume. Viene impugnato anche il successivo art. 208 della legge regionale n. 65 del 2014, rubricato «Sanzioni per opere ed interventi edilizi abusivi anteriori...

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