n. 22 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 ottobre 2018 -

TRIBUNALE DI FERMO Il Giudice, letti gli atti del procedimento n. 2250/2013 rg. Mod 16 a carico di C. G. ha emesso la seguente ordinanza. Con provvedimento reso all'udienza del 29 settembre 2016 questo Giudice segnalava al Presidente del Tribunale una propria sentenza ex art. 425 c.p.p., in quanto la stessa, emessa successivamente alla presa in carico del presente procedimento dibattimentale, configurava un sopravvenuto motivo di astensione, ritenendo cosi' sussistente la fattispecie di astensione obbligatoria ex art. 37 codice di procedura penale cosi' come modificato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 283.2000). Le sentenza predetta, pur assolvendo il C per la carenza dell'elemento soggettivo a suo carico, riteneva pero' provata la commissione del reato sotto l'aspetto oggettivo. L'imputazione definita con sentenza ai sensi dell'art. 425 c.p.p riguardava una falsa testimonianza in un processo civile: si accusava il C di aver deposto in data 14 giugno 2013 come testimone in una causa civile in opposizione all'esecuzione avverso atto di precetto, affermando il falso, e cioe', con riferimento alla consegna, da parte sua, di un assegno bancario, per avere affermato di non aver mai consegnato a due avvocati, che invece avevano azionato in executivis, l'assegno in questione. L'imputazione relativa al presente procedimento riguarda invece una falsa denuncia di smarrimento del medesimo assegno, in realta' consegnato, al contrario, allo stesso legale, cosi' incolpandolo indirettamente di ricettazione. Non si tratta, invero, degli stessi fatti, ma di due fatti strettamente collegati: la mancata consegna, cosi' come dichiarata dal C nel processo civile nel 2013, non puo' che essere ricollegata alla falsa denuncia di smarrimento del 2009, oggetto dell'imputazione di calunnia per cui e' processo. Ragionevolmente, se il C non voleva ammettere di aver commesso un reato, dichiarando lo smarrimento, e comunque di aver dichiarato il falso con tale denuncia, non poteva che ribadire il (falso) fatto dello smarrimento nel processo civile. Di qui il pregiudizio in capo a questo giudice, vale a dire che quanto aveva affermato, in qualita' di GUP, nella sentenza ex art. 425 codice di procedura penale era ne' piu' ne' meno che l'odierno imputato aveva dichiarato il falso innanzi al giudice civile, dicendo di non aver consegnato alcun assegno al suo creditore, ma di averlo smarrito. E in questa sede si discute proprio della falsa dichiarazione di smarrimento, sotto il profilo della calunnia. Di qui la segnalazione, da parte di questo Giudice, della fattispecie di astensione obbligatoria ex art. 37 c.p.p., cosi' come modificata dalla Corte costituzionale (sentenza n. 283.2000), al Presidente del Tribunale il quale, peraltro «rigettava» la richiesta, con nota del 30 settembre 2016. A questo punto, il giudicante interloquiva ulteriormente e, preso atto del provvedimento del Presidente del Tribunale, inviava nota con la quale dichiarava di non poter condividere «...l'orientamento sul dovere obbligatorio di astensione segnalato per il procedimento in oggetto, espresso dalla SV in forma negativa nel provvedimento n. 30 settembre 2016 ...». Nella stessa nota, in via interlocutoria, si prospettavano in maniera articolata le ragioni per cui non veniva ritenuta sindacabile la dichiarazione del Giudice di ipotesi di astensione obbligatoria sia pure nella consapevolezza delle difficolta' oggettive che comportava tale interpretazione che, peraltro, questo decidente riteneva priva di alternative. E, laddove la posizione del capo dell'Ufficio fosse rimasta immutata, si chiedeva di inoltrare al CSM un quesito sul tema «...Sempre che permanga l'orientamento espresso dalla SV, la quale non intenda rivederlo neanche alla luce delle considerazioni proposte ....». Il coinvolgimento del Csm presupponeva, ovviamente, che il predetto organo di rilievo costituzionale avesse competenza a pronunciarsi, sotto il profilo attinente l'organizzazione degli uffici giudiziari. Competenza non del tutto pacifica, ma che comunque era stata accettata da questo decidente, anche perche' gia' il CSM si era espresso in passato su fattispecie analoghe. Sussistevano, infatti, da parte del CSM, due precedenti risposte a quesiti, invero non del tutto in termini in quanto, da un lato, riguardanti una componente strettamente «personale» del dovere di astensione, e relativa alla persona del magistrato che segnalava il proprio dovere di astensione obbligatoria, dall'altro riguardanti il processo civile. Nella «Risposta a quesito del 16 aprile 2009, Il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 16 aprile 2009, adottava la seguente delibera: «Il 20 agosto 2008 la dott.ssa Giudice della sezione lavoro della Corte d'appello di ... ha proposto un quesito al Consiglio superiore della magistratura relativo al rapporto tra il Giudice e il capo dell'ufficio nell'ipotesi in cui il primo, rispetto a una determinata controversia, dichiari di versare in una situazione di astensione obbligatoria ai sensi del codice di procedura civile. Era accaduto nel caso di specie che la dott.ssa ... si era trovata a dover giudicare in una causa in cui parte era un istituto di credito con il quale aveva stipulato un contratto di mutuo, e aveva ritenuto percio' di doversi astenere ai sensi dell'ultima parte dell'art. 51, comma 1, n. 3 codice di procedura civile che obbliga il Giudice ad astenersi, tra l'altro, quando abbia «... rapporti di credito o di debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori». Il Presidente della Corte d'appello, preso atto della dichiarazione di astensione anzidetta, aveva emesso un provvedimento motivato rappresentando le ragioni per le quali, a suo giudizio, nel caso concreto non sussistessero gli estremi per l'astensione obbligatoria prevista dalla norma citata, concludendo con un dispositivo che dichiarava «non fondata» la dichiarazione di astensione presentata dalla dott.ssa ... A seguito di tale provvedimento la dott.ssa ... ha chiesto al C.S.M. di sapere «se non sussista a suo carico il dovere di disattendere il provvedimento presidenziale ed in caso positivo di conoscerne le modalita' esecutive». Si osserva al riguardo che l'art. 51 codice di procedura civile prevede al primo comma i casi di astensione obbligatoria del Giudice, e al secondo comma i casi di astensione facoltativa. Soltanto per questi ultimi e' prevista una procedura incidentale che investe la competenza del capo dell'ufficio, al quale il Giudice infatti «puo' richiedere l'autorizzazione ad astenersi», mentre per i casi di astensione obbligatoria essa ha effetto in base alla sola dichiarazione del Giudice che ritenga di ravvisare una situazione che l'imponga. In tal senso, oltre alla chiara lettera della norma, versa anche la giurisprudenza di legittimita', che con sentenza Cassazione 23 febbraio 1981, n. 1093 ha precisato che «L'autorizzazione ad astenersi viene richiesta, e puo' essere concessa, solamente nell'ipotesi prevista dal secondo comma dell'art. 51 c.p.c, mentre nei casi elencati dal n. 1 al numero 5 dello stesso articolo il Giudice, obbligato ad astenersi, ha, tutt'al piu', l'onere di comunicare l'astensione al capo dell'ufficio, il quale non deve autorizzarla ma limitarsi a prender atto dell'astensione e a provvedere alla sostituzione del Giudice astenutosi». Tale principio risulta ripetuto anche in tempi successivi nella giurisprudenza di legittimita' nelle rare occasioni in cui si e' dovuta occupare della questione (v. Cassazione 20 febbraio 1998, n. 12842), e risulta certo conforme a diritto. Ne discende, pertanto, che e' responsabilita' esclusiva del Giudice quella di valutare la sussistenza delle ragioni di astensione obbligatoria previste dal primo comma dell'art. 51 codice di procedura penale (fra le quali vi e' quella dichiarata nel caso di specie dalla dott.ssa ...), non potendo il capo dell'ufficio disattenderne al riguardo le determinazioni ma dovendo esclusivamente prenderne atto e adottare i provvedimenti di conseguenza. E' altresi' evidente che le ragioni di sussistenza di tale tipo di astensione sono rigorosamente ancorate al modello astratto previsto dalla legge, e pertanto sul magistrato chiamato alle necessarie valutazioni e determinazioni incombe anche ogni responsabilita' che possa ravvisarsi in merito ad eventuali abusi che possa compiere nel far cio'. Osservava ancora questo Giudice nella sua nota al Presidente come la risposta data in questo caso fosse «sicuramente piu' netta rispetto all'altro precedente risalente, peraltro assai simile, che differisce, sembra, solo su un punto fondamentale e cioe' sulla mera presa d'atto da parte del capo dell'Ufficio, affermata nel 2009 e negata nel 2006»: Quesito posto con nota in data 9 marzo 2005 dalla dott.ssa ... consigliere della sezione lavoro della Corte di appello di rimesso con nota in data 12 marzo 2005 dal Presidente della stessa Corte, volto a conoscere gli ambiti del potere di sindacabilita', da parte del Capo dell'Ufficio, della dichiarazione di astensione formulata nel corso di una causa di lavoro. (Risposta a quesito del 31 maggio 2006) Il Csm, nella seduta del 31 maggio 2006, approvava la seguente delibera: «Il quesito e' formulato a seguito della reiezione di un'istanza di astensione della richiedente presentata in corso di causa in ragione della circostanza che la stessa era debitrice di un istituto di credito, parte in causa, per aver stipulato con lo stesso un contratto di mutuo garantito da ipoteca immobiliare. Il Presidente della Corte ha ritenuto che la causa di astensione obbligatoria di cui all'art. 51, comma 1, n. 3, codice di procedura civile (esistenza di rapporto di credito o debito tra il Giudice ed una delle parti) in questo caso non sussista, in quanto non ha ravvisato una rilevanza tale della posizione debitoria da rendere possibile in astratto la non parzialita' o la mancanza di serenita' del Giudice. Pertanto, ha rigettato l'istanza dichiarandola «non fondata»...

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