n. 219 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 maggio 2016 -

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA Sezione sesta civile Il Tribunale, in persona del giudice dott.ssa Alessandra Imposimato, sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 12 maggio 2016, visti gli atti e i documenti allegati al fascicolo della causa iscritta al n. 9892/2016 R.G., avente ad oggetto «pagamento del corrispettivo», e pendente tra Modena Dario (parte attrice) e Loreto Paola (parte convenuta). Osserva 1. Sussistono le condizioni per rimettere, alla Corte costituzionale, la questione di legittimita' dell'art. 13, comma 5, della legge 9 dicembre 1998, n. 431, cosi' come novellato dall'art. 1, comma 59, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato», Legge di stabilita' 2016), per violazione degli articoli 3 e 136 Cost., apparendo questa non manifestamente infondata, nonche' rilevante ai fini del decidere. Cio' per quanto di seguito esposto. 2. Con il ricorso introduttivo della lite (art. 447-bis, codice di procedura civile) il sig. Modena Dario, evocando in giudizio la sig.ra Loreto Paola, ha chiesto al Tribunale di: accertare e dichiarare l'intervenuta cessazione del contratto di locazione alla sua prima scadenza, avendone denegato il rinnovo ai sensi dell'art. 3, comma primo, lettera a), legge n. 341/1998;

condannare la parte convenuta al pagamento della differenza tra le somme versate, a titolo di canone locativo, dal mese di aprile 2013 alla domanda, nonche' invocando applicazione dell'art. 3, comma 8, lettera c) del decreto legislativo n. 23/2011 (cedolare secca sugli affitti), e il canone convenzionale indicato nel documento contrattuale, portato tardivamente a registrazione. All'esito della separazione (art. 104, comma secondo, codice di procedura civile) della causa di «finita locazione» dalla causa di condanna al pagamento di somme, essendo la prima definibile allo stato degli atti (ed infatti decisa con separata sentenza), e necessitando invece, la seconda, di ulteriore trattazione ed istruttoria, le parti venivano invitate ad interloquire in merito alla non manifesta infondatezza ed alla rilevanza della questione attinente all'art. 13, comma quinto, legge n. 431/1998, nel testo riformulato dall'art. 1, comma 59 della legge n. 208/2015 (Legge di stabilita' 2016). La difesa attrice ha richiesto, dunque, di rimettere alla Corte costituzionale la questione attinente alla legittimita' costituzionale della norma sopra indicata, ipotizzando la violazione del parametro di cui all'art. 136 Cost. Ad avviso del Tribunale, la questione profilata dalla difesa eccipiente e' rilevante e non manifestamente infondata, per quanto di seguito esposto. 3. Quanto al profilo della rilevanza della questione qui esaminata, si osserva che l'attore deduceva, nell'atto introduttivo della lite, che: le parti concludevano, in data 7 dicembre 2010, un contratto di locazione abitativa, per il corrispettivo annuale di €

9.000,00, da versare in dodici rate mensili anticipate di €

750,00 ciascuna (vedi allegato 1 al ricorso);

tale contratto, che avrebbe dovuto esser registrato a cura del locatore (vedi la clausola n. 18), veniva invece registrato, dalla parte convenuta, in data 28 marzo 2013, presso l'Agenzia delle entrate - Ufficio Roma 3 (vedi allegati 2 e 3 al ricorso) ed il conduttore, a decorrere dal successivo mese di aprile 2013, principiava a versare la minor somma di 1/12 del canone (legale) annuo calcolato ex art. 3, comma ottavo, lettera c) del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (1/12 di €

1.882,50 = €

156,88 mensili);

la disposizione che aveva legittimato il conduttore a tale autoriduzione (art. 3, comma 8, lettera c) del decreto legislativo n. 23/2011) veniva, peraltro, dichiarata incostituzionale con sentenza Corte costituzionale n. 50/2014, talche' la convenuta avrebbe dovuto versare la differenza tra la somma effettivamente pagata, all'esponente attore, in corrispettivo della locazione, dal mese di aprile 2013, ed il canone mensile indicato nel contratto scritto (e infine registrato). In breve l'attore chiedeva la condanna della convenuta al pagamento della differenza tra canone convenuto in contratto (€

750,00 mensili) e le inferiori somme effettivamente pagate, a titolo di corrispettivo contrattuale, dal mese di aprile 2013 in avanti (€

156,88 mensili). Oggi, il Tribunale e' chiamato a stabilire se la convenuta sia tenuta a pagare, alla controparte locatrice, quanto dovuto per contratto, ma non versato avvalendosi delle disposizioni di cui all'art. 3, comma 8, lettera c) del decreto legislativo sul federalismo fiscale, come (precariamente) prorogate, negli effetti, dall'art. 5, comma 1-ter del decreto-legge 24 marzo 2014, convertito con modificazioni in legge n. 80/2014. Cio' posto, all'esito della declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 5, comma 1-ter del decreto-legge 24 marzo 2014 (sentenza Corte costituzionale n. 169/2015, su cui oltre), e dell'entrata in vigore della norma contenuta nell'art. 1, comma 59, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilita' 2016), di cui si dira' appresso, dovrebbe nuovamente negarsi, all'attore, il diritto di pretendere la differenza tra il canone convenzionale (indicato nel contratto scritto e registrato) e il canone sanzionatorio (mensile, pari ad 1/12 del triplo della rendita catastale dell'immobile) calcolato in base alla norma da ultimo menzionata (art. 13, comma quinto, testo novellato);

giacche', peraltro, la conformita' di tale disposizione di legge alla Costituzione e' dubbia, che parrebbero profilarsi - nuovamente - le questioni gia' esaminate e ritenute fondate, dalla Corte costituzionale, nella recente sentenza 16 luglio 2015, n. 169 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale del 22 luglio, n. 29), sopra nominata, sussistono le condizioni per sollevare, nel presente giudizio, questione incidentale di legittimita' costituzionale in riferimento alla norma da ultimo richiamata, e per rimettere alla Corte costituzionale la valutazione dell'eventuale violazione dei parametri costituzionali appresso indicati. 4. Sotto il profilo della non manifesta infondatezza delle questioni qui sollevate, merita ripercorrere brevemente la successione delle disposizioni di legge intervenute a regolare la fattispecie - dedotta in giudizio - del contratto di locazione abitativa che non sia portato a registrazione, presso l'Agenzia delle entrate, nel rispetto del termine di cui all'art. 17 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, recante «Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro». 4.1. Si rammenta che: l'art. 3 del decreto legislativo n. 23/2011, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 67 del 23 marzo 2011, introduttivo di un sistema, alternativo al regime ordinario vigente, di tassazione del reddito ritratto dalla locazione di immobili destinati ad uso abitativo (c.d. cedolare secca sugli affitti), al comma 8 cosi' testualmente prescriveva: «8. Ai contratti di locazione degli immobili ad uso abitativo, comunque stipulati, che ricorrendone i presupposti, non sono registrati entro il termine stabilito dalla legge, si applica la seguente disciplina: a) la durata della locazione e' stabilita in quattro anni a decorrere dalla data della registrazione, volontaria o d'ufficio;

b) al rinnovo si applica la disciplina di cui all'art. 2, comma 1, della citata legge n. 431 del 1998;

c) a decorrere dalla registrazione il canone annuo di locazione e' fissato in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l'adeguamento, dal secondo anno, in base al 75 per cento dell'aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai. Se il contratto prevede un canone inferiore, si applica comunque il canone stabilito dalle parti». Intuibile l'esigenza di «colmare» il vuoto normativo lasciato dall'art. 1, comma 346 della legge n. 311/2004, tuttora vigente, a tenore del quale: «I contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unita' immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati». Nell'interpretazione ed applicazione data, dalla giurisprudenza di merito, della norma da ultimo riportata (art. 1, comma 346, legge n. 311/2004) sta infatti, secondo chi scrive, buona parte delle ragioni della nascita delle disposizioni sanzionatore contenute nell'art. 3 del decreto legislativo n. 23/2011, che e' oggetto di esame. Cio' in quanto: l'art. 1, comma 346, legge n. 311/2004, tutt'oggi operante, collega la nullita' del contratto esclusivamente alla sua omessa registrazione, tacendo con riguardo all'ipotesi in cui il contratto sia registrato oltre il termine (trenta giorni) prescritto dall'art. 17, decreto del Presidente della Repubblica n. 131/1986 (di approvazione del «Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro»);

in assenza di esplicita sanzione di nullita' per il caso di registrazione tardiva (oggi regolata dal novellato testo dell'art. 13 della legge n. 431/1998, nella formulazione introdotta dall'art. 1, comma 59 della Legge stabilita' 2016), nella giurisprudenza di merito (non ricorrendo precedenti specifici della corte di nomofilachia), si era argomentato (ubi lex tacuit, noluit) che il contratto comunque registrato (presto o tardi) fosse in ogni caso esente da nullita', e quindi valido, efficace e vincolante, e cio' anche in applicazione del principio generale contenuto nell'art. 10, comma terzo dello statuto dei diritti del contribuente;

il giudice civile aveva quindi relegato la registrazione tardiva del contratto nell'ambito di una «violazione di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario», di per se' inidonea a produrre la nullita' del contratto;

d'altronde il giudice civile, ricordando che la convalida del contratto affetto da nullita' (art. 1423 del codice civile), nei casi in cui e' ammessa dalla legge, ha tipicamente effetto retroattivo (si veda ad esempio Cass. n. 6773.2013), e...

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