n. 218 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 maggio 2015 -

TRIBUNALE DI TREVISO Sezione Penale Il Giudice nel procedimento penale n. 1727/13 r.g. Trib. pronuncia la seguente ordinanza Cosentino Salvatore veniva tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 110 c.p. - 291-bis del d.p.r. 23 gennaio 1973 n. 43, per aver detenuto nel territorio dello Stato kg. 4.719 di tabacco lavorato estero (sigarette di diverse marche provenienti dalla Moldavia), reato accertato in Spresiano il 7 marzo 2013. L'istruttoria dibattimentale si esauriva nell'acquisizione della documentazione prodotta dalle parti, nell'escussione dei testimoni dalle stesse indicati e nell'esame dell'imputato. Le parti concludevano all'udienza del 31 marzo 2015, il Pubblico Ministero chiedendo la condanna alla pena di anni due di reclusione ed euro 8.125.234 di multa, la difesa chiedendo l'assoluzione, quantomeno ex art. 530, comma 2, c.p.p. Alla luce di quanto emerso dall'espletata istruttoria dibattimentale, il giudizio in ordine alla responsabilita' penale dell'imputato dipende, in sostanza, da un'unica questione: se si possa ritenere provato che lo stesso fosse a conoscenza che all'interno del capannone da lui locato era custodita l'imponente quantita' di tabacco lavorato estero di cui al capo d'imputazione. Dal materiale probatorio raccolto non sono emerse prove rappresentative in ordine alla suddetta circostanza di prova (va ricordato che nella c.d. prova rappresentativa o diretta il mezzo di prova rappresenta direttamente il fatto da provare, per esempio nessun testimone ha detto che l'imputato era a conoscenza del fatto che ci fosse il tabacco all'interno del capannone);

sono emersi, invece, degli elementi indiziari (va ricordato che nella c.d. prova indiziaria o indiretta, invece, il mezzo di prova non rappresenta il fatto da provare, ma un altro fatto, circostanza indiziante, dal quale si ricava l'esistenza del fatto da provare attraverso un percorso logico che prevede l'applicazione di massime di esperienza o leggi scientifiche). La valutazione di elementi indiziati e', come noto, particolarmente difficile e "rischiosa" in ordine alla correttezza dell'esito del giudizio probatorio, tant'e' che lo stesso legislatore, ben consapevole di cio', ha dettato una procedura aggravata per l'utilizzabilita' probatoria degli indizi che si e' concretizzata nella previsione dei requisitidi gravita', precisione e concordanza (art. 192 c.p.p.). Ora, proprio nei procedimenti nei quali i "risultati probatori" sono meramente indiziari - e quindi piu' difficile e "rischioso" e' il giudizio probatorio - si manifestano i riflessi negativi - e costituzionalmente illegittimi - della nuova disciplina delle responsabilita' civile dei magistrati introdotta con la legge 27 febbraio 2015, n. 18. Come si esporra' nel dettaglio, infatti, alcuni istituti introdotti dalla nuova disciplina finiscono per incidere sul principio del libero convincimento del giudice che, per essere indipendente, deve essere libero di valutare le prove avvalendosi della discrezionalita' che il legislatore gli attribuisce, senza temere conseguenze negative a seconda dell'esito del suo giudizio;

invece, la nuova disciplina, da un lato, espone il giudice a pressioni che possono provenire dalle parti in causa, dall'altro lato, prevedendo come possibile fonte di responsabilita' civile anche la valutazione dei fatti e delle prove, mina il cuore dell'attivita' giurisdizionale, atteso che il giudice, per forze di cose, se sa che la sua attivita' di valutazione potra' comportargli una responsabilita' civile per danni, sara' portato, quale essere umano, ad assumere, soprattutto nei casi piu' difficili (e quindi suscettibili per loro natura di essere rivisti nei diversi gradi di giudizio), la decisione meno rischiosa che, nel processo penale, e' quasi sempre identificabile nell'assoluzione dell' imputato. Pertanto ritiene il Tribunale che vada sollevata questione di legittimita' costituzionale delle specifiche norme della legge 13 aprile 1988, n. 117 - cosi' come modificate dalla legge 27 febbraio 2015, n. 18 - che di seguito verranno indicate, per contrasto con l'art. 101, comma 2 ("i giudici sono soggetti soltanto alla legge") e 104, comma 1 ("la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere"), nonche' art. 3 della Costituzione. In merito alla rilevanza nel presente procedimento della prefigurata questione di legittimita' costituzionale, la stessa emerge da quanto piu' sopra anticipato in ordine al fatto che la nuova disciplina della responsabilita' civile va ad incidere, in generale, sulla liberta' del giudice di valutare i fatti e le prove secondo la legge e, quindi, anche sulla valutazione che il Giudice e' chiamato ad operare nel presente processo. D'altro canto la Corte costituzionale si e' gia' pronunciata al riguardo chiarendo che, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, "debbono ritenersi influenti sul giudizio anche le norme che, pur non essendo direttamente applicabili nel giudizio a quo, attengono allo status del Giudice, alla sua composizione, nonche', in generale, alle garanzie e ai doveri che riguardano il suo operare;

l'eventuale incostituzionalita' di tali norme e' destinata ad influire su ciascun processo pendente davanti al giudice del quale regolano lo status, la composizione, le garanzie e i doveri: in sintesi la "protezione" dell'esercizio della funzione, nella quale i doveri si accompagnano ai diritti" (cosi' Corte costituzionale, sentenza 18 gennaio 1989, n. 18;

in tale sentenza e con questa motivazione la Consulta ha ritenuto rilevante, tra l'altro, proprio una questione di legittimita' costituzionale sollevata con riguardo alla disciplina della responsabilita' civile dei magistrati da parte del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia Sezione di Catania). Vi sono almeno tre profili di disciplina della "nuova responsabilita' civile dei magistrati" la cui illegittimita' costituzionale non appare manifestamente infondata. Prima si esporli e' necessario ricordare, in sintesi, come e' stata modellata tale responsabilita' dalla novella legislativa: il cittadino che ritiene di avere subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato per dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni puo' agire direttamente contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali;

la legge determina i casi di colpa grave statuendo che "costituisce colpa grave la violazione manifesta della legge...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT