n. 200 SENTENZA 31 maggio - 21 luglio 2016 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 649 del codice di procedura penale, promosso dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Torino, nel procedimento penale a carico di S.S.E., con ordinanza del 24 luglio 2015, iscritta al n. 262 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 2015. Visti gli atti di costituzione di S.S.E., dei Comuni di Casale Monferrato, Ponzano Monferrato, Rosignano Monferrato, Cella Monte e di Ozzano Monferrato, di M.G. ed altri, nella qualita' di eredi, dell'AIEA - Associazione italiana esposti amianto, dell'AFeVA - Associazione Familiari Vittime Amianto, di G.M.G. ed altri, nella qualita' di eredi, nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 31 maggio 2016 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi;

uditi gli avvocati Astolfo Di Amato per S.S.E., Marco Gatti per i Comuni di Casale Monferrato, Ponzano Monferrato, Rosignano Monferrato, Cella Monte e di Ozzano Monferrato, Maurizio Riverditi per M.G. ed altri, nella qualita' di eredi, Sergio Bonetto per l'AIEA - Associazione italiana esposti amianto e per G.M.G. ed altri, nella qualita' di eredi, Laura D'Amico per l'AFeVA - Associazione Familiari Vittime Amianto e l'avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.- Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Torino, con ordinanza del 24 luglio 2015 (r.o. n. 262 del 2015), ha sollevato una questione di legittimita' costituzionale dell'art. 649 del codice di procedura penale, nella parte in cui tale disposizione «limita l'applicazione del principio del ne bis in idem all'esistenza del medesimo "fatto giuridico", nei suoi elementi costitutivi, sebbene diversamente qualificato, invece che all'esistenza del medesimo "fatto storico"», con riferimento all'art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (d'ora in avanti «Protocollo n. 7 alla CEDU»), adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con la legge 9 aprile 1990, n. 98. Il rimettente premette di dover decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio per omicidio doloso di un imputato, che e' gia' stato giudicato in via definitiva per il medesimo fatto storico ed e' gia' stato prosciolto per prescrizione dai reati di disastro doloso (art. 434 del codice penale) e di omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro (art. 437 cod. pen.), in danno di numerose persone. Ben 186 di queste figurano tra le 258 vittime dei delitti di omicidio, per i quali e' stata nuovamente esercitata l'azione penale. Il giudice a quo osserva che, sotto il profilo storico-naturalistico, i fatti devono ritenersi identici. Le imputazioni si incentrano sulle attivita' svolte dall'imputato, nella qualita' di responsabile di alcuni stabilimenti ove veniva impiegato l'amianto, e riguardano l'omissione di misure idonee a prevenire la lesione dell'integrita' fisica dei lavoratori e la diffusione di materiali contaminati dalla sostanza cancerogena, con conseguente morte di 258 persone. Le sentenze dichiarative dell'estinzione dei reati previsti dagli artt. 434 e 437 cod. pen. per prescrizione confermano, a parere del rimettente, che identico deve ritenersi il nesso causale, gia' verificato positivamente, e le ulteriori condotte descritte nel nuovo capo di imputazione per rafforzare l'ipotesi accusatoria, ma gia' oggetto di valutazione da parte dei primi giudici. Nonostante tale acclarata identita' dei fatti storici il giudice a quo esclude di poter dichiarare non doversi procedere ai sensi dell'art. 649 cod. proc. pen., come e' stato richiesto dalla difesa, perche', sulla base del diritto vivente, questa disposizione vieta di procedere nuovamente per uno stesso fatto, solo in presenza di condizioni che non ricorrono nel caso di specie. Con ampia disamina della giurisprudenza di legittimita' il rimettente ritiene che il divieto di bis in idem esiga, ai sensi dell'art. 649 cod. proc. pen., l'identita', secondo criteri giuridici, della triade "condotta-evento-nesso di causa". E' possibile che ad una medesima azione od omissione storica corrisponda una pluralita' di "eventi giuridici", per la diversita' della natura dei reati e degli interessi che essi tutelano, con la conseguenza che, in tal caso, il fatto, pur identico nella sua dimensione naturalistica, non puo' considerarsi tale ai fini della preclusione del bis in idem. In particolare quest'ultima non potrebbe operare in caso di concorso formale di reati, ovvero quando con un'unica azione od omissione si commettono piu' illeciti penali. Il giudice a quo osserva che nel caso sottoposto al suo scrutinio il delitto di omicidio doloso appartiene a un "tipo legale" diverso dai reati di disastro doloso e di omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, per i quali e' gia' stata dichiarata la prescrizione. Questi ultimi sono reati di pericolo, e non di danno;

la morte non e' elemento costitutivo della fattispecie, come nell'omicidio;

e' tutelato il bene giuridico dell'incolumita' pubblica anziche' quello della vita. Gli eventi giuridici cagionati dalla condotta omissiva dell'imputato sarebbero percio' plurimi e tale circostanza non permetterebbe di applicare l'art. 649 cod. proc. pen. A questo punto sorge il dubbio di legittimita' costituzionale del rimettente, il quale, anche qui con ampie citazioni della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (d'ora in avanti «Corte EDU»), reputa che il divieto di bis in idem in materia penale enunciato dall'art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU abbia carattere piu' ampio della corrispondente regola prevista dall'art. 649 cod. proc. pen. Dalla sentenza della Grande Camera, 10 febbraio 2009, Zolotoukhine contro Russia, osserva il giudice a quo, si e' consolidato il principio secondo cui ha rilievo solo l'identita' del fatto storico, valutato con esclusivo riguardo alla condotta dell'agente, senza che in senso contrario si possa opporre il difetto di coincidenza tra «gli elementi costitutivi degli illeciti», con particolare riguardo alla pluralita' degli eventi giuridici. In applicazione di tale criterio, si dovrebbe adottare nel processo principale una sentenza di non luogo a procedere;

a cio' tuttavia sarebbe di ostacolo il diritto vivente formatosi sull'art. 649 cod. proc. pen, che andrebbe percio' dichiarato illegittimo allo scopo di recepire la piu' favorevole nozione di bis in idem accolta dalla Corte EDU. Tale nozione non solo non contrasterebbe con alcun parametro costituzionale, ma sarebbe altresi' in armonia con l'art. 111, secondo comma, Cost., che enuncia il principio di ragionevole durata del processo. Si eviterebbe, infatti, che una persona possa conservare la posizione di imputato per lo stesso fatto, «oltre il tempo "ragionevolmente" necessario a definire il processo». 2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile. La questione sarebbe irrilevante, perche' il rimettente non ha indicato la data di morte delle persone offese, e perche', in ogni caso, sarebbe stato omesso un tentativo di interpretazione adeguatrice della disposizione impugnata. Inoltre, il giudice a quo sarebbe carente di "legittimazione" attiva, perche' la decisione che deve adottare non avrebbe i caratteri della definitivita'. 3.- Si e' costituito in giudizio l'imputato del processo principale, chiedendo che la questione sia dichiarata fondata. La parte privata sostiene che vi e' una «sovrapposizione pressoche' totale» tra i fatti addebitati e quelli per i quali e' gia' stata dichiarata l'estinzione dei reati per prescrizione, e che cio' dovrebbe comportare, ai sensi dell'art. 4 del Protocollo n. 7 alla CEDU, l'applicazione del divieto di bis in idem, che ha vigore anche rispetto alle sentenze di non doversi procedere conseguenti alla prescrizione. Si aggiunge che la giurisprudenza europea e' senza dubbio consolidata nel senso che il fatto deve essere «ricostruito avendo riferimento alla condotta e non gia' anche all'evento». La parte privata si sofferma, poi, sulla compatibilita' con la Costituzione del divieto di bis in idem, nella versione recepita dalla Corte EDU, e osserva che nella tradizione giuridica italiana questo divieto, che non trova un esplicito riconoscimento nella Carta, ha vissuto in «una prospettiva processualistica», quale «presidio apprestato dall'ordinamento per assicurare la funzionalita' del processo». Per questa ragione «l'ampiezza dell'operativita' del concetto di "fatto", rispetto al quale va verificata la identita' o no del procedimento, e' frutto di una decisione del legislatore di carattere del tutto convenzionale non esistendo, sul piano logico-giuridico, la possibilita' di giungere ad una sola conclusione ammissibile». La Corte EDU avrebbe pero' «rovesciato completamente la prospettiva», valorizzando il divieto di bis in idem come «diritto (fondamentale) dell'individuo a non essere giudicato due volte». In questa ottica, «il criterio di determinazione dell'identita' del fatto non puo' che spostarsi su una valutazione non formalistica, ma sostanzialistica, centrata essenzialmente sulla condotta meritevole di censura». Sarebbe percio' necessario avere riguardo alla sola identita' della condotta, anziche' a «dati di carattere giuridico-formale». Questo assetto si collegherebbe anzitutto agli artt. 25, secondo comma, e 27, secondo comma, Cost., dai quali dovrebbe ricavarsi un interesse dell'imputato ad essere sottratto indefinitamente all'azione penale per il medesimo fatto, ovvero alla «quiete penalistica», posto che, in caso contrario, vi sarebbe «una...

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