n. 2 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 14 novembre 2017 -

Ricorso del Presidente della Repubblica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato (c.f. 80224030587 - PEC roma@mailcert.avvocaturastato.it), presso i cui uffici ex lege e' domiciliato in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12, giusta decreto presidenziale in data 10 aprile 2017 (doc. 1), propone ricorso per conflitto di attribuzione, ai sensi dell'art. 134 Cost. e dell'art. 37 legge n. 87 del 1953, con contestuale richiesta di tutela cautelare, nei confronti della Corte dei conti, in persona del Presidente pro tempore in riferimento alla sentenza n. 1354/2016, depositata il 19 dicembre 2016 della Corte dei conti, della sez. II Giurisdizionale centrale d'appello (doc. 2), trasmessa dalla Procura Regionale per il Lazio della Corte dei conti con nota n. 0005627-22/03/2017-PR_LAZT61-P, del 22 marzo 2017 (doc. 3), riguardante l'esecuzione di tale decisione, recante condanna di alcuni dipendenti della Presidenza della Repubblica (Gianni Gaetano e Di Pietro Paolo) al risarcimento dei danni verificatisi per ammanchi di cassa presso la Tenuta di Castelporziano, nonche' alla sentenza n. 894/2012 del 25 settembre 2012, della sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio (doc. 4) e ad ogni altro atto presupposto e comunque connesso o collegato. Con la citata sentenza n. 1354/2016, la Corte dei conti, della sez. II giurisdizionale centrale d'appello, nel respingere l'appello proposto dal signor Paolo Di Pietro e nell'accogliere parzialmente l'appello proposto dal Procuratore generale, condannando i signori Gianni Gaetano e Paolo Di Pietro - gia' dipendenti del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica - al pagamento di somme in favore della Presidenza della Repubblica, ha confermato la propria «giurisdizione» gia' ritenuta in primo grado. E chiede l'annullamento della sentenza in epigrafe indicata, nonche' di ogni altro atto preordinato, o comunque connesso. In fatto La vicenda da cui origina il presente ricorso per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato nasce da accertamenti effettuati dal Segretariato generale della Presidenza della Repubblica sulla gestione della contabilita' della Tenuta presidenziale di Castelporziano, facente parte della dotazione del Presidente della Repubblica (ex art. 84 Cost. e art. 1 della legge n. 1077 del 1948), all'esito dei quali erano risultati ammanchi (relativamente al periodo compreso tra il 2002 ed il 2008) per alcuni milioni di Euro (poi quantificati in sede giudiziaria in €

4.631.691,96). Il Segretariato generale della Presidenza della Repubblica ha provveduto, a suo tempo, ad informare tempestivamente l'Autorita' giudiziaria trasmettendo, con nota del 27 marzo 2009, l'esposto dell'allora Capo del Servizio ragioneria e tesoreria del Segretariato generale. L'Autorita' giudiziaria, informata di quanto sopra, ha promosso procedimento penale per determinati reati nei confronti di alcuni dipendenti, conclusosi con la sentenza n. 8262/2013 del 23 aprile 2013 (doc. 5) di condanna in via definitiva di uno dei dipendenti coinvolti e, relativamente ad un altro dipendente imputato, con sentenza n. 921/2011 dell'11 aprile 2011 (doc. 6) di applicazione della pena su richiesta delle parti. La Presidenza della Repubblica ha agito tempestivamente in giudizio negli anni 2009-2010 dinanzi al giudice ordinario (Tribunale civile di Roma) ottenendo (previa riunione dei vari giudizi instaurati) la condanna di alcuni dipendenti, come si dira' appresso, con la favorevole sentenza n. 16997 del 4 agosto 2015 (doc. 7), avverso la quale pende, allo stato, appello proposto dall'Amministrazione in relazione al mancato accoglimento in primo grado della domanda proposta nei confronti di uno dei convenuti (la Corte d'appello ha fissato l'udienza di precisazione delle conclusioni per il giorno 20 novembre 2019). Con tale sentenza (n. 16997 del 2015) del Tribunale ordinario di Roma, seconda sezione civile, adito dalla Presidenza della Repubblica, sono stati condannati due dipendenti al pagamento, in solido fra loro, in favore della Presidenza della Repubblica, della somma di €

4.631.691,96, nonche' della ulteriore somma di €

100.000,00 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale (precisamente, di danno all'immagine, parimenti richiesto dalla Presidenza della Repubblica). Parallelamente, la Procura regionale del Lazio della Corte dei conti, ha avviato a suo tempo un'istruttoria sugli stessi illeciti correlati all'utilizzo di risorse della Tenuta presidenziale di Castelporziano. La Presidenza della Repubblica, venuta a conoscenza del procedimento per responsabilita' amministrativa instaurato dalla Procura regionale della Corte dei conti nei confronti di alcuni dipendenti per i medesimi fatti per i quali la Presidenza aveva gia' agito in sede civile e ritenendo che l'operato della Corte dei conti non fosse rispettoso delle prerogative connesse alla posizione di speciale autonomia del Presidente della Repubblica, ha proposto ricorso per regolamento di giurisdizione ex art. 41 codice di procedura civile comma 2 e art. 368 codice di procedura civile, di cui si dira' in seguito, chiedendo che la Corte di cassazione dichiarasse che la Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per il Lazio, con la sentenza n. 894/2012 (con la quale erano stati condannati un dipendente al pagamento della somma di €

954.222,00 ed un altro al pagamento della somma di €

477.000,00), aveva leso le prerogative presidenziali. Con ordinanza del 20 novembre 2013, n. 26035 (doc. 8), le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla Presidenza della Repubblica (ed inammissibile il ricorso incidentale proposto dal signor Di Pietro), rilevando, per quanto di maggiore interesse in questa sede, quanto segue: «(...) e' interessante ricordare la pronuncia n. 129 del 1981 emessa dalla Corte costituzionale che ha affermato che non spetta alla Corte dei conti il potere di sottoporre a giudizio contabile i tesorieri della Presidenza della Repubblica (e della Camera e del Senato);

con riferimento ai limiti della giurisdizione contabile nel conflitto con organi costituzionali di vertice fra i quali la Presidenza della Repubblica. E cio' perche' il fondamento normativo della giurisdizione contabile della Corte dei conti posto nell'art. 103 Cost., comma 2, non risulta dotato di un'assoluta ed immediata operativita' in tutti i casi. La capacita' espansiva del T.U. n. 1214 del 1934 - e' stato nuovamente rilevato -, incontra, infatti, i limiti dell'idoneita' oggettiva delle materie e del rispetto delle norme e dei principi costituzionali (v. anche sentenza n. 110 del 1970, sentenza n. 102 del 1977). E' stato, quindi, mediante il conflitto sollevato davanti alla Corte costituzionale ad essere stato risolto quel caso;

cio' dimostrando che quello e' lo strumento corretto per la denuncia di situazioni costituenti materia di conflitto fra poteri dello Stato. Il conflitto che sussiste, non solo nei casi in cui si controverte circa la spettanza di una stessa attribuzione, ma anche quando si discuta circa l'estensione della giurisdizione propria della Corte dei conti, nel rapporto con l'autonomia organizzativa e funzionale rivendicata dai tre organi costituzionali che hanno sollevato il conflitto» (v. Corte costituzionale n. 129 del 1981 in motiv.). Nelle more, la Presidenza della Repubblica provvedeva comunque, nei confronti dei singoli dipendenti interessati, ad adottare, in via amministrativa, ogni piu' opportuna iniziativa a tutela della garanzia patrimoniale delle proprie ragioni creditorie, mediante vari atti di fermo amministrativo, sequestro, pignoramento ed iscrizione di ipoteca. Con atto notificato il 20 novembre 2012 e depositato il 12 dicembre 2012, uno dei dipendenti condannato in primo grado ha proposto appello avverso la citata sentenza (n. 894/2012) della Sezione giurisdizionale per il Lazio della Corte dei conti. Con la sentenza n. 1354/2016, depositata il 19 dicembre 2016, in epigrafe indicata, la Corte dei conti, sez. II Giurisdizionale centrale d'appello, nel respingere l'appello proposto da uno dei due soggetti condannati in primo grado e nell'accogliere parzialmente l'appello proposto dal Procuratore generale, confermando la propria «giurisdizione» gia' ritenuta in primo grado, ha condannato uno dei soggetti gia' ritenuti responsabili in primo grado al pagamento dell'importo di €

4.631.691,96 (allineandosi, cosi', al quantum gia' liquidato in sede civile) e ha condannato l'altro dipendente - che era stato assolto sia in sede penale che civile - in solido, limitatamente al pagamento della somma di €

550.000,00 (cifra anch'essa superiore a quella ritenuta in primo grado) ricompresa nella predetta somma di €

4.631.691,96, in favore della Presidenza della Repubblica. In rito Dalle premesse in fatto e dalla sentenza qui impugnata in una ad ogni atto ad essa presupposto e collegato, si evince che la Corte dei conti si e' ritenuta pienamente legittimata ad agire in giudizio nell'interesse del Segretariato generale della Presidenza della Repubblica. Cio' sulla base di un'interpretazione radicalmente contrastante con la sentenza di codesta ecc.ma Corte n. 129 del 1981, che, come noto, ha escluso la competenza del giudice contabile nei confronti degli organi costituzionali. La decisione assunta dalla Corte dei conti con la sentenza impugnata (nonche' ogni atto ad essa presupposto e comunque connesso), alla stregua della giurisprudenza costituzionale che verra' anche in seguito richiamata, si ritiene palesemente lesiva della sfera di autonomia, costituzionalmente garantita, della Presidenza della Repubblica. In sostanza, la Corte dei conti si e' ritenuta legittimata ad agire ed a proseguire nella iniziativa autonomamente avviata, senza essere stata in proposito compulsata dalla Presidenza della Repubblica - che aveva tempestivamente adito il Tribunale civile di Roma - pur nella consapevolezza delle rispettive attribuzioni costituzionali, come delineate, in...

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