n. 16 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 20 febbraio 2017 -

Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato presso cui e' domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

Contro Regione Veneto in persona del Presidente pro tempore;

Per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della intera legge regionale 13 dicembre 2016, n. 28, pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Veneto del 13 dicembre 2016, n. 120. Fatto La legge regionale in epigrafe ha inteso disciplinare l'«Applicazione della convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali». Essa consiste di cinque articoli, di cui il quinto riguarda l'entrata in vigore, mentre i primi quattro contengono le previsioni normative di sostanza. L'art. 1 dichiara che al «popolo veneto» spettano i diritti di cui alla convenzione quadro del Consiglio d'Europa per la protezione delle minoranze nazionali ratificata con legge statale n. 302/1997 (comma 1). Prosegue estendendo la qualifica di «minoranza nazionale» anche alla comunita' che si trovano al di fuori del territorio regionale veneto, legate storicamente e culturalmente al «popolo veneto» (comma 2). Precisa che anche le comunita' cimbre e ladine, oggetto della tutela quali minoranze etniche e linguistiche di cui alla legge regionale n. 73/1994 (in realta', di cui alla legge statale n. 482/1999) fanno parte del «popolo veneto» (comma 3). L'art. 2 prevede (testualmente) che la legge «si attua a tutti gli ambiti previsti dalla convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali» (comma 1);

e che spetta alla Giunta stabilire le modalita' di applicazione della convenzione, senza oneri a carico della regione (comma 2). L'art. 3, nel congiunto disposto dei suoi due commi, sembra prefigurare la creazione «presso la giunta regionale», non si dice ad iniziativa di chi ne' in quale forma, di un «soggetto», denominato «aggregazione delle associazioni maggiormente rappresentative degli enti e associazioni di tutela della identita', cultura e lingua venete» (in breve, «una aggregazione di associazioni di associazioni»). Tale «soggetto» dovra' raccogliere e valutare le «dichiarazioni spontanee» di essere «appartenente minoranza nazionale veneta»;

dichiarazioni, di cui non si precisano i soggetti, la forma, gli effetti;

ne' il rapporto con l'attribuzione ope legis fatta dall'art. 1 della qualita' di «minoranza nazionale» all'intera popolazione compresa nel territorio veneto, e anche alle comunita' «venete» che si asseriscono esistenti fuori da quel territorio. Infine, l'art. 4, ricollegandosi al fatto che l'applicazione della legge non dovra' comportare «oneri a carico della regione» (art. 2, comma 2), prevede che le spese di attuazione della legge staranno a carico delle amministrazioni centrale e periferiche (che dovranno non solo «sostenerle», ma prima anche «deliberarle»), si dice in conformita' alla carta europea dell'autonomia locale ratificata con legge n. 439/1989. La legge regionale, che presenta contenuto omogeneo, e' nella sua interezza costituzionalmente illegittima e, giusta delibera del Consiglio dei ministri del 10 febbraio 2017, prodotta unitamente al presente ricorso, viene impugnata per i seguenti Motivi Per chiarezza di esposizione e per evitare ripetizioni, nello svolgimento del presente ricorso si premetteranno le censure di ordine sostanziale (in particolare contenute nel primo e nel secondo motivo) rispetto alle censure di incompetenza del legislatore regionale. Resta ovviamente fermo che tali ultime censure rivestono carattere preliminare e assorbente. 1. - Violazione degli articoli 5, 6, 114 Cost. 1.1. L'art. 1 della legge impugnata, come si e' visto, erige l'intera popolazione compresa nel territorio regionale del Veneto, in «minoranza nazionale», ai sensi della convenzione quadro omonima. Cio' si desume dal rinvio agli artt. 1 e 2 dello statuto regionale operato dall'art. 1 della legge al fine di determinare l'estensione di tale presunta minoranza. L'art. 1 dello statuto, nei commi 2 e 3, prevede infatti che «2. Il Veneto e' costituito dal popolo veneto e dai territori delle province di Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Venezia, Verona e Vicenza. 3. Venezia, citta' metropolitana, e' il capoluogo del Veneto.». Sicche', in sostanza, il «popolo veneto», che si vorrebbe identificare nella «minoranza nazionale» contemplata dalla legge impugnata, coincide con la popolazione vivente nel territorio delle suddette province e citta' metropolitana. Cio' viola chiaramente le disposizioni costituzionali in epigrafe. Invero, l'art. 114, comma 1 Cost., nel prevedere che la Repubblica e' costituita da comuni, province, regioni, citta' metropolitane e Stato, va inteso nel senso che la popolazione riferibile ad uno di tali enti territoriali esponenziali non puo', per definizione, essere altresi' identificata per cio' solo con una minoranza nazionale. Proprio perche' quegli enti esponenziali, nella loro componente territoriale e nella loro componente personale, concorrono a formare la Repubblica, i territori e le popolazioni identificate con riferimento ad essi (qui, alla regione veneta) sono tutti parte integrante e sostanziale del territorio e della popolazione della Repubblica. Repubblica, precisa l'art. 5, parimenti violato dalla legge impugnata, che proprio perche' fondata sul riconoscimento delle autonomie locali e' una e indivisibile. Insomma, gli enti esponenziali in cui si manifesta l'autonomia locale, cioe' comuni, province, citta' metropolitane, regioni, concorrono appunto, con la loro popolazione e con i loro territori, a comporre l'unita' territoriale e personale della Repubblica;

il che esclude che il popolo di una regione, identificato sol perche' tale, possa costituire una «minoranza nazionale», staccata e contrapposta rispetto alla maggioranza della popolazione della Repubblica;

e per questo meritevole di protezione ai sensi della convenzione quadro sulle minoranze nazionali. Ritenere il contrario, comporterebbe infrangere il principio di unita' e indivisibilita' della Repubblica, perche' finirebbe per rappresentare quest'ultima non come una comunita' tutta dotata di una propria identita' (lo «Stato comunita'») giuridicamente unificatasi nell'ordinamento costituzionale, bensi' come una somma materiale di minoranze autopostesi come tali, l'una estranea all'altra e coesistenti tra loro su una base giuridicamente non definita ma comunque precaria. Ripetiamo che l'articolazione della Repubblica nelle autonomie locali espresse esponenzialmente da regioni, province, comuni e citta' metropolitane, e' appunto la condizione della sua esistenza come comunita' generatrice di un ordinamento unitario. Non vi e', insomma, contraddizione, ma implicazione reciproca tra articolazione autonomistica e unita' della Repubblica. Codesta Corte nella sentenza n. 118/2015 ha gia' spiegato alla regione Veneto che «L'unita' della Repubblica e' uno di quegli elementi cosi' essenziali dell'ordinamento costituzionale da essere sottratti persino al potere di revisione costituzionale (sentenza n. 1146 del 1988). Indubbiamente, come riconosciuto anche da questa Corte, l'ordinamento repubblicano e' fondato altresi' su principi che includono il pluralismo sociale e istituzionale e l'autonomia territoriale, oltre che l'apertura all'integrazione sovranazionale e all'ordinamento internazionale;

ma detti principi debbono svilupparsi nella cornice dell'unica Repubblica: «La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali» (art. 5 Cost.). Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, pluralismo e autonomia non consentono alle Regioni di qualificarsi in termini di sovranita', ne' permettono che i loro organi di governo siano assimilati a quelli dotati di rappresentanza nazionale (sentenze n. 365 del 2007, n. 306 e n. 106 del 2002). A maggior ragione, gli stessi principi non possono essere estremizzati fino alla frammentazione dell'ordinamento». Poiche', invece, il concetto di «minoranza nazionale», anche se, prudentemente, non definito dalla convenzione quadro, si pone indubbiamente in relazione di distinzione rispetto alla «nazione», cioe' all'ordinamento unitario «maggiore» in cui la «minoranza» si inserisce distinguendosene, e' evidente che la comunita' costitutiva di un ente di autonomia territoriale, come una regione, non puo' di per se' rappresentare una «minoranza»;

essa non puo' essere una frazione proprio perche' e' una parte integrante della comunita' «maggiore», vale a dire della Repubblica. Che le minoranze siano realta' personali che la Repubblica considera come ulteriori rispetto alle proprie componenti costitutive di tipo personale, e proprio per questo meritevoli di una tutela specifica alla luce dei principi fondamentali di tutela della persona e di uguaglianza sostanziale (artt. 2 e 3 Cost.), e' comprovato dall'art. 6 Cost. Qui si prevede che la Repubblica (non il solo «Stato ordinamento») tutela con apposite norme le minoranze linguistiche;

e cio' implica che la Repubblica in tutte le sue articolazioni, comprese le regioni, identifichi tali minoranze, che dunque non possono coincidere con le suddette articolazioni;

p. es. con una regione (o meglio, con la sua componente personale). In proposito, codesta Corte costituzionale ha gia' chiarito in modo definitivo nella sentenza n. 170/2010: «Il quadro concettuale di riferimento implica, da un lato, evidentemente, la nozione di "Repubblica", nel senso di istituzione complessiva, orientata, nella pluralita' e nella molteplicita' delle sue componenti, ad esprimere e tutelare elementi identitari, oltre che interessi, considerati storicamente comuni o, almeno, prevalentemente condivisi all'interno della vasta e composita comunita' "nazionale";

e, dall'altro lato, la nozione di "minoranze linguistiche", considerate, invece, come comunita' necessariamente ristrette e differenziate, nelle quali possono spontaneamente raccogliersi persone che, in quanto parlanti tra loro una stessa "lingua", diversa da...

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