n. 12 SENTENZA 12 - 29 gennaio 2016 -

ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 538 del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale ordinario di Firenze nel procedimento penale a carico di C.E. con ordinanza del 15 gennaio 2015, iscritta al n. 71 del registro ordinanze 2015 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell'anno 2015. Visti l'atto di costituzione di B.P.I., nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 12 gennaio 2016 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;

uditi l'avvocato Michele Passione per B.P.I. e l'avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.- Con ordinanza del 15 gennaio 2015, il Tribunale ordinario di Firenze, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 538 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice possa decidere sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno, proposta a norma degli artt. 74 e seguenti del medesimo codice, anche quando pronuncia sentenza di assoluzione dell'imputato in quanto non imputabile per essere, nel momento in cui ha commesso il fatto, in tale stato di mente da escludere la capacita' di intendere e di volere. Il giudice a quo riferisce che, all'esito dell'istruzione dibattimentale, tutte le parti del processo principale avevano concluso per l'assoluzione dell'imputato, in quanto incapace di intendere e di volere al momento del fatto per vizio totale di mente: circostanza che apparirebbe, in effetti, pacifica alla luce delle risultanze processuali. La parte civile aveva chiesto, peraltro, che l'imputato fosse condannato a corrisponderle un'equa indennita' ai sensi dell'art. 2047 del codice civile. Tale richiesta, ad avviso del rimettente, non potrebbe essere allo stato accolta. Vi osterebbe, infatti - secondo quanto affermato dalla Corte di cassazione (sezione prima penale, sentenza 8 ottobre-8 novembre 2013, n. 45228) - il chiaro disposto dell'art. 538 cod. proc. pen., a mente del quale il giudice penale decide sulle questioni civili solo nel caso di condanna dell'imputato. Con la conseguenza che, quando quest'ultimo sia assolto per totale infermita' di mente, il danneggiato, costituitosi parte civile, non avrebbe altra via, per far valere i suoi diritti, che quella di promuovere un autonomo giudizio davanti al giudice civile. Il giudice a quo dubita, tuttavia, della legittimita' costituzionale di tale disciplina, escludendo che il dubbio possa essere superato con lo strumento dell'interpretazione costituzionalmente orientata, preclusa dall'univocita' del dettato della norma censurata. Osserva, in specie, il Tribunale fiorentino che - contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di cassazione - la disciplina in esame non potrebbe essere ritenuta un coerente corollario della «cessazione, con il vigente codice di procedura penale, del pregresso sistema di unitarieta' della funzione giurisdizionale e di generale prevalenza dell'accertamento in sede penale». Nella dinamica dei rapporti tra azione civile e azione penale - ispirata, in base al vigente codice di rito, al principio di autonomia dei giudizi e al favor separationis - e' lasciata alla persona danneggiata dal reato la scelta tra chiedere la tutela dei suoi interessi nella sede propria o nel processo penale. E' ben vero che, in caso di opzione per la seconda via, l'azione civile deve necessariamente adattarsi alla struttura e alla funzione del processo penale in cui si innesta: ma tali adattamenti non potrebbero andare comunque al di la' di quanto richiesto dalle esigenze di salvaguardia dei diritti dell'imputato e di osservanza delle regole sulla formazione della prova. Le legittime aspettative del danneggiato non potrebbero, in particolare, rimanere deluse per la semplice eventualita' che, all'esito del giudizio penale, si accerti che l'imputato era affetto da vizio totale di mente al momento del fatto. Impedendo al giudice penale di decidere sulla domanda civile in tale evenienza, l'art. 538 cod. proc. pen. violerebbe quindi il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), generando una ingiustificata disparita' di trattamento tra il danneggiato costituitosi parte civile in un processo che si concluda con l'assoluzione dell'imputato per vizio totale di mente e il danneggiato che veda invece esaminata la sua domanda risarcitoria all'esito della condanna dell'imputato «sano di mente». Risulterebbe compromesso, altresi', il pieno esercizio del diritto di difesa del danneggiato costituitosi parte civile (art. 24 Cost.). La lesione non sarebbe evitata dalla possibilita' di riproporre la domanda risarcitoria in sede civile, giacche', in questo modo, il danneggiato si trova costretto ad agire nuovamente in giudizio, con totale vanificazione della precedente scelta di far valere le proprie ragioni in sede penale: e cio' anche quando - come nel caso di specie - l'infermita' mentale dell'imputato non risultasse affatto comprovata al momento della costituzione di parte civile. La moltiplicazione dei giudizi per il conseguimento della tutela risarcitoria sarebbe, d'altronde, foriera di nocumento non solo patrimoniale, ma anche morale per la vittima del reato, costretta a rievocare, a distanza di tempo, davanti a giudici diversi i fatti posti a base della domanda. Apparirebbe violato, infine, anche il principio di ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.), in quanto l'esigenza di trasferire l'azione civile «da una giurisdizione ad un'altra» proietterebbe «in un tempo certamente lontano» la pronuncia definitiva sulla domanda risarcitoria. Il vulnus al principio di ragionevole durata si apprezzerebbe, peraltro, non soltanto nella prospettiva dell'interesse del danneggiato ad ottenere giustizia in tempi brevi, ma anche - alla luce di una concezione che andrebbe acquisendo sempre maggiori consensi in ambito europeo - sulla base di criteri di proporzionalita' che tengano conto della intrinseca limitatezza della «risorsa "giustizia"». Rendendo necessaria, nel caso in esame, l'instaurazione di un altro processo davanti a un'altra giurisdizione, la norma censurata mobiliterebbe, infatti, ulteriori risorse giudiziarie per un tempo non definito e imporrebbe la ripetizione dell'attivita' istruttoria, senza che tale duplicazione trovi giustificazione nell'eventuale specializzazione del nuovo giudice o nell'inidoneita' del giudice penale a statuire sulle domande civili. Non potrebbe trascurarsi, inoltre, la circostanza che il principio di ragionevole durata del processo risulta applicato in modo specifico a tutela delle vittime di reato dall'art. 16 della direttiva 25 ottobre 2012, n. 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI. Ivi si stabilisce, infatti, che «Gli Stati membri garantiscono alla vittima il diritto di ottenere una decisione in merito al risarcimento da parte dell'autore del reato nell'ambito del procedimento penale entro un ragionevole lasso di tempo, tranne qualora il diritto nazionale preveda che tale decisione sia adottata nell'ambito di un altro procedimento giudiziario». La questione sarebbe, altresi', rilevante nel giudizio a quo, giacche', in caso di suo accoglimento, una volta accertata la riferibilita' del fatto all'imputato, ancorche' infermo di mente, egli potrebbe essere condannato al pagamento dell'equa indennita' richiesta dalla parte civile in base al secondo comma dell'art. 2047 cod. civ. All'epoca, l'imputato non era sottoposto, infatti, alla sorveglianza di alcun soggetto, sicche' la parte civile non avrebbe potuto chiedere la citazione a giudizio di un responsabile civile ai sensi del primo comma del medesimo articolo. 2.- E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. A parere della difesa dello Stato, la denunciata violazione dell'art. 3 Cost. non...

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