n. 119 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 aprile 2017 -

IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI VENEZIA Il tribunale di Sorveglianza, riunito in camera di consiglio il giorno 5 aprile 2017 nelle persone di: dott. Giovanni Maria Pavarin Presidente, dott. Marcello Bortolato magistrato di sorveglianza, dott.ssa Sabrina Camera esperta, dott.ssa Maria Pia Piva esperta;

sentito il sostituto procuratore generale dott. Giovanni Francesco Cicero, che si e' rimesso, nonche' il difensore avv. Annamaria Marin;

a scioglimento della riserva assunta all'udienza, ha emesso la seguente ordinanza. Visti ed esaminati gli atti relativi alla procedura di sorveglianza nei confronti di D. D. nato a - il -, detenuto nella casa di reclusione di Padova in esecuzione della pena dell'ergastolo di cui alla sentenza 9 novembre 1999 della corte d'assise di Potenza, avente ad oggetto: semiliberta'. Ritenuto in fatto D. D. e' detenuto dal 12 novembre 1997 in espiazione di una condanna all'ergastolo per sequestro di persona a scopo di estorsione aggravato dalla morte del sequestrato (art. 630, comma 3 c.p.). Ad oggi ha espiato, considerata anche la liberazione anticipata, anni 22, mesi 11 e giorni 22. Con ordinanza 28 maggio 2014 il Tribunale di sorveglianza di Venezia ha riconosciuto l'impossibilita' della collaborazione ex articoli 58-ter o.p. e 4-bis, comma 1-bis. Dal 2012 il condannato e' stato declassificato dalla categoria AS e dal 2014 lavora in istituto presso il call center della cooperativa Giotto. Ha chiesto la concessione della semiliberta': l'offerta lavorativa riguarda un contratto «part time» con la cooperativa Venchiarutti di Osoppo (Udine). Dall'ultimo aggiornamento della sintesi (6 ottobre 2016) emerge un'ipotesi favorevole alla misura richiesta. In capo al condannato, e' affiorata nel tempo una sufficiente rivisitazione critica in ordine al grave fatto commesso nonche' il tentativo, piu' volte attuato, di contattare i familiari della vittima (anche attraverso un'opera di mediazione assistita per il tramite dell'Osservatorio istituito presso il DAP, iniziativa poi prematuramente cessata, e tramite l'offerta di una somma di denaro di euro 25.000, non accolta dagli interessati, a parziale ristoro del danno). Il detenuto ha comunque ammesso di aver affrontato la riflessione su quanto accaduto addentrandosi negli studi di criminologia proprio allo scopo di riuscire a capire le motivazioni alla base delle proprie azioni, colpite da una sorta di «rimozione» psicologica, riuscendo ad analizzare gli eventi quasi dal punto di vista dello studioso stante l'incapacita' di accettare l'estrema gravita' del male cagionato;

egli si e' pienamente riconosciuto responsabile del reato pur in un quadro (rilevato dall'indagine psicologica) di percezione megalomanica di se' e di accertato bisogno di costante accettazione sociale. E' in atti l'eccezionale impegno negli studi universitari e la condotta sempre regolare (se si eccettuano due lievi episodi nel 2009 per una lite con un compagno e, nel 2010, per il rinvenimento sul suo computer di un film pornografico). Il condannato mantiene contatti con un'associazione delle vittime dei sequestri di persona del Venezuela. Partecipa alla catechesi ed agli incontri di scrittura e lettura della cooperativa Altracitta', ed ha preso parte al master di criminologia critica nel febbraio 2014. E' necessario brevemente riepilogare il fatto per il quale il condannato sta espiando la pena dell'ergastolo. Si tratta del sequestro a scopo di estorsione, con richiesta di riscatto di 400 milioni di lire, di un ragazzo di diciassette anni, ucciso poco dopo l'esecuzione del rapimento;

la vittima era il figlio di amici di famiglia del condannato quale, unitamente ad altri correi, dopo averlo prelevato da un luogo pubblico, aveva inscenato una rapina;

il ragazzo veniva prima legato alle braccia, poi gli autori tentavano di strangolarlo per evitare che continuasse a strillare ed infine veniva legato con del nastro adesivo alla bocca ed al collo fino a provocare un'asfissia e solo da ultimo veniva colpito da un colpo di pistola esploso al capo che ne cagionava il decesso. Il D. ha sempre reclamato la propria responsabilita' unicamente in relazione al sequestro, pur con conseguenze fatali per la vittima, negando l'effettiva partecipazione all'omicidio doloso: cio' gli e' valso anche la negazione delle circostanze attenuanti generiche e della diminuente di cui al comma quinto dell'art. 630 c.p. Peraltro la perizia medico-legale sul punto aveva attestato che la morte, anche in assenza del colpo di pistola, sarebbe sopraggiunta comunque per soffocamento e il dato della materiale esplosione del colpo non veniva ritenuto in sentenza di particolare rilievo, posto che la responsabilita' piena per l'omicidio era appurata sulla base della sua fattiva partecipazione alle precedenti azioni, idonee comunque a «cagionare» la morte del ragazzo. D'altra parte si osservava che il porto di una pistola con il colpo in canna e l'aver agito a volto scoperto dimostravano che i due complici avevano gia' in precedenza programmato la morte del sequestrato sicche', a giudizio della Corte, a nulla rilevava il dato materiale dell'esplosione del colpo di pistola che non avrebbe nulla modificato sia sul piano della responsabilita' che su quello del quantum di pena da infliggere a ciascuno dei due imputati principali (D. e V.). Si deve pacificamente escludere la fattiva collaborazione, in senso «effettivo», da pane del D. che non ha offerto alcun determinante elemento all'accertamento dei fatti durante le fasi processuali e cio' per quanto gia' compiutamente sancito nella stessa sentenza di condanna, e nemmeno dopo la condanna (tant'e' che la collaborazione ex art. 58-ter o.p. e' stata riconosciuta solo nella forma cosiddetta «impossibile» in quanto il sequestro e l'omicidio della vittima sono fatti ormai compiutamente accertati, anche quanto al numero e all'identita' dei compartecipi). Cio' premesso in fatto, si deve affrontare la preliminare questione di ammissibilita' dell'istanza alla stregua di quanto previsto dall'art. 58-quater, comma 4 o.p. Tale disposizione prevede infatti che i condannati per i delitti di cui all'art. 289-bis e 630 c.p. «che abbiano cagionato la morte del sequestrato» non sono ammessi ad alcuno dei benefici indicati nel comma 1 dell'art. 4-bis se non abbiano effettivamente espiato almeno i due terzi della pena irrogata o, nel caso dell'ergastolo, almeno ventisei anni. Poiche' il D. e' stato condannato alla pena dell'ergastolo per il reato di cui all'art. 630, comma 3 c.p. (sequestro di persona a scopo di estorsione nell'ipotesi aggravata di...

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