Micropermanenti e incostituzionalità dell’art. 139 Cod. Ass. Priv. (in attesa di risposte precise da parte della Consulta)

AutoreMarco Bona
Pagine669-685

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@1. Il ritorno alla Corte costituzionale della disciplina settoriale sulle micropermanenti da sinistri stradali

Il Giudice di Pace di Torino, con ordinanza del 30 novembre 20091, ha rimesso alla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 139 Cod. Ass. Priv.2.

In particolare, sono state sollevate le seguenti questioni:

- “violazione dell’articolo 2 della Costituzione per la fissazione di un limite al risarcimento del danno alla persona senza un adeguato contemperamento degli interessi in gioco”; più nello specifico, il Giudice di Pace ha posto alla Consulta una questione fondamentale e di portata generale, ovvero “se il legislatore possa stabilire che la vittima di un illecito aquiliano non possa pretendere più di una somma predeterminata a titolo di risarcimento indipendentemente dall’effettiva consistenza del pregiudizio subito”;

- “violazione dell’articolo 3 comma 1 della Costituzione con riferimento all’eziologia del danno ed al soggetto danneggiante”: “se la salute è un bene dell’individuo e tutti gli individui sono uguali non si comprende perché una stessa lesione debba essere risarcita in modo diverso a seconda che derivi da una caduta dal motorino piuttosto che da una caduta da cavallo”3;

- “violazione dell’articolo 3 della Costituzione come principio di uguaglianza dinanzi alla legge sotto il profilo dell’uguale trattamento di situazioni di fatto diverse, dell’articolo 2 per la limitazione all’effettiva tutela giurisdizionale conseguente alla limitazione al risarcimento e dell’articolo 24”: adducendo siffatte violazioni il Giudice di Pace ha ritenuto censurabile il comma 3 dell’art. 139 Cod. Ass. Priv., laddove stabilisce che l’ammontare del danno biologico, liquidato a sensi di detta norma, possa essere aumentato dal giudice in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato4; in particolare, è stato correttamente posto in luce dal magistrato torinese che nei casi, “nei quali le conseguenze delle lesioni influiscono pesantemente sulle condizioni soggettive dei danneggiati, si vengono ad avere liquidazioni in forza dell’art. 139 … che non coprono la reale entità del danno ...”; l’ordinanza, sempre a sostegno dell’illegittimità costituzionale del limite del 20% (sotto il profilo della violazione dell’art. 2 Cost., “determinandosi un’irragionevole compressione del diritto ad un’effettiva tutela giurisdizionale il che porta anche ad una violazione dell’articolo 24 della Costituzione”) ha rilevato come questa si sia venuta ad aggravare in conseguenza della reductio ad unum perorata dalle Sezioni Unite dell’11 novembre 2008, che hanno sostenuto l’assorbimento del danno morale entro la personalizzazione del danno biologico;

- “violazione dell’articolo 76 della Costituzione per la previsione di un limite non previsto dalla legge delega 23 luglio 2003 n. 229”: “l’articolo 139 del d.l.vo n. 209/2005 risulta costituzionalmente illegittimo difettando della necessaria autorizzazione parlamentare e ponendosi quindi in contrasto con l’articolo 76 della Costituzione”.

Ciò illustrato per sommi capi, l’ordinanza è senz’altro condivisibile quanto al risultato finale che si è prefissa (innanzitutto dei chiarimenti da tempo attesi da parte della Consulta in merito alla disciplina settoriale del danno biologico da “sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti”5); nondimeno molteplici sono i punti critici che la connotano e che vanno qui debitamente rettificati.

@2. I “vizi” d’origine della disciplina settoriale, di cui agli artt. 138 e 139 Cod. Ass. Priv., ed i “vizi” aggiunti dal legislatore delegato

Prima di scendere ad esaminare i motivi della rimessione operata dall’ordinanza torinese occorre preliminarmente ricordare il seguente incontrovertibile dato: l’art. 139 Cod. Ass. Priv. è norma invero viziata sin dalle sue origini, essendo il frutto di precedenti disposizioni che già da tempo avrebbero meritato una netta censura sul piano della loro legittimità costituzionale. I vizi, che sono confluiti nell’art. 139, meritano qui di essere debitamente approfonditi, giacché il legislatore delegato, nel trasporli in seno al Codice delle Assicurazioni Private, non ha fatto altro che reiterarli6.

Punto di partenza di questo excursus è l’art. 5 della legge 5 marzo 2001 n. 57 («Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati»)7.

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I criteri dettati da questa norma per la liquidazione del danno biologico nei casi di lesioni di lieve entità da r.c.a. erano lungi dal potersi condividere, ciò non solo per mere ragioni di politica del diritto (senza ombra di dubbio erano stati favoriti gli interessi delle compagnie a tutto discapito di quelli dei danneggiati), bensì, primariamente, per motivi di tecnica legislativa, d’opportunità giuridica e soprattutto di conformità della detta norma ai principi fondamentali sanciti dalla Costituzione (in particolare, gli artt. 2, 3, 32 Cost.). In particolare, la novella disciplina, affetta da plurime imprecisioni lessicali e presentata come transitoria (… “in attesa di una disciplina organica sul danno biologico”!8), rispondeva sicuramente all’esigenza della predisposizione di parametri uniformi di base per la liquidazione del danno biologico valevoli su tutto il territorio nazionale (necessità da tempo avvertita e perorata da tutti gli operatori); tuttavia, ciò non bastava in alcun modo a compensare i molteplici punti di demerito delle nuove regole, tra i quali sicuramente i seguenti:

- la predisposizione di una disciplina settoriale per il danno biologico da r.c.a. (peraltro limitata ad una fascia, artificialmente circoscritta, di lesioni), e, dunque, di una norma palesemente discriminatoria (in violazione degli artt. 2, 3 e 32 Cost.), pur avendo la comunità degli interpreti sostenuto con convinzione l’esigenza di una riforma organica sul danno alla persona valida per tutte le tipologie di eventi lesivi dell’integrità psicofisica9;

- l’irrazionalità e ascientificità dell’idea (sempre discriminatoria), per cui sarebbe stato possibile costruire (sia a livello medico legale e sia giuridicamente) una categoria ad hoc per le lesioni inferiori ad una certa soglia (nella specie il 10% di I.P.), e conseguentemente dotare di regole proprie le invalidità di questo tipo;

- l’individuazione di parametri uniformi per la liquidazione del danno biologico notevolmente inferiori rispetto ai valori monetari usualmente applicati dalle corti (svalutazione del danno biologico)10, con ingiustificata ed irrazionale11 riduzione del quantum dei risarcimenti nel settore r.c.a.;

- la sostanziale rigidità dei parametri individuati dalla legge;

- l’estrema ambiguità della precisazione, in punto personalizzazione del danno biologico, di cui al comma 4 dell’art. 5 (“il danno biologico viene ulteriormente risarcito tenuto conto delle condizioni soggettive del danneggiato”);

- l’introduzione di un elemento inedito nella definizione del danno biologico, ossia l’esigenza, imprescindibile, dell’“accertamento” medico legale (art. 5, terzo comma: “per danno biologico si intende la lesione all’integrità psicofisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale”), quando, al contrario, la giurisprudenza, pur riconoscendo l’indubbia matrice medico legale di questa categoria, mai ebbe a spingersi a richiedere siffatto requisito12, il che è stato pure confermato dalle Sezioni Unite dell’11 novembre 200813; tale requisito, dunque, ha comportato un’ulteriore discriminazione fra le vittime soggette a questa disciplina ed i danneggiati risarciti secondo il “diritto comune”, dovendosi altresì ricordare come la divergenza fra quanto affermato dall’art. 5 della legge n. 57/2001 e l’art. 13 del decreto legislativo del 23 febbraio 2000 n. 38 (in cui non si esige l’accertamento medico-legale, bensì la suscettibilità a “valutazione medicolegale”);

- il rinvio, senza particolari indicazioni (un’autentica delega in bianco), ad un successivo decreto ministeriale per la predisposizione sia delle tabelle medico legali e sia per i criteri dettati per la loro applicazione, non passati attraverso alcun vaglio parlamentare (rinvio che, tra l’altro, come posto in luce dai primi commentatori della riforma14, rendeva impossibile la valutazione ed interpretazione della disciplina15); in particolare, così si criticò la disciplina sotto questo profilo: “la legge non stabilisce alcuna indicazione sulla costruzione ed articolazione del baréme e si limita a rinviare al decreto ministeriale”; “ora, avendo la nuova legge omesso del tutto di orientare e disciplinare il potere attribuito all’esecutivo in punto di principi, criteri e direttive le tabelle di valutazione medico-legale ministeriale, il controllo sulla legge in relazione alla quale il regolamento è emanato può essere esercitato e, nel caso, non soddisfa le esigenze di completezza imposte dal principio di legalità sostanziale (artt. 2, 32 e 113 Cost.) e della riserva di legge (assoluta o relativa)”16.

Fra le numerose reazioni avverso la disciplina, di cui all’art. 5 della legge 57/2001, va qui segnalata l’ordinanza resa dal Giudice di Pace di Roma del 14 gennaio 200217, in cui furono sollevate diverse e pregevoli questioni di legittimità costituzionale.

Nello specifico, il Giudice di Pace romano, rilevando come fossero in gioco diritti fondamentali della persona e “la volontà politica di sottomettere quei diritti ad interessi di parte non meritevoli di tutela”, criticò sotto più profili la novella disciplina, evidenziando:

- in generale, l’infondatezza del “concetto di danno di lieve entità”;

- l’illegittimità costituzionale della nozione di danno biologico, in quanto essa, nell’introdurre il requisito dell’accertamento medico legale per la sua ravvisabilità, risultava divergente sia da quella ritagliata dalla giurisprudenza e sia da quella di cui all’art. 13 del decreto legislativo 23 febbraio 2000 n. 38 (“lesione all’integrità...

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