Merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine545-554

Page 545

@TRIBUNALE PENALE DI CAMERINO 30 marzo 2010. Est. Potetti – Imp. X

Guida in stato di ebbrezza – Accertamento – Alcooltest – Due misurazioni con tassi alcolemici diversi – Integrazione della fattispecie più grave – Sussistenza – Limiti – Valutazione discrezionale del giudice

Pena – Sospensione condizionale – Reiterazione del beneficio – Precedente condanna per reato depenalizzato – Ammissibilità

In tema di guida in stato di ebbrezza, nel caso di accertamento di due diversi valori di tasso alcolemico, di cui uno al di sotto e l’altro al di sopra di ciascuna soglia penalmente rilevante prevista dall’art. 186, comma 2, c.s., il giudice potrà liberamente apprezzare le relative misurazioni, e potrà ritenere integrato il reato (o comunque la fattispecie più grave) purché dimostri, con motivazione esauriente e logica, che la misurazione del tasso alcoolemico più elevato (fra i due) sia idonea da sola, o in combinazione con altri elementi di riscontro emersi dal processo, a provare il superamento di una certa soglia. (nuovo c.s., art. 186; d.p.r. 16 dicembre 1992, n. 495, art. 379) (1)

Le condanne per reati poi depenalizzati non possono essere formalmente di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena (o alla piena e incondizionata concessione del beneficio medesimo), anche se questo beneficio fosse stato già esaurito in riferimento a dette condanne, perché l’art. 2, comma 2, c.p., nel caso di abrogazione di norma incriminatrice, prevede che, se vi sia stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali, tra i quali non c’è ragione di escludere l’ostacolo all’ulteriore beneficio della sospensione condizionale della pena. (c.p., art. 2; c.p., art. 163; c.p., art. 165) (2)

    (1) Questo Tribunale si è già espresso, nel senso di cui in massima, con sentenza 23 dicembre 2008, X, in questa Rivista 2009, 932. Sul punto si veda, inoltre, Cass. pen., sez. un., 5 febbraio 1996, Cirigliano, ivi 1996, 91, che affermando un principio ormai consolidatosi nella giurisprudenza della S.C., sostiene: «Lo stato di ebbrezza del conducente di veicoli può essere accertato e provato con qualsiasi mezzo, e non necessariamente, né unicamente, attraverso la strumentazione e la procedura indicate nell’art. 379 del regolamento di attuazione ed esecuzione del codice della strada. Ed invero, per il principio del libero convincimento, per l’assenza di prove legali e per la necessità che la prova non dipenda dalla discrezionale volontà della parte interessata, il giudice può desumere lo stato di alterazione psicofisica derivante dall’influenza dell’alcool, da qualsiasi elemento sintomatico dell’ebbrezza o dell’ubriachezza (tra cui l’ammissione del conducente, l’alterazione della deambulazione, la difficoltà di movimento, l’eloquio sconnesso, l’alito vinoso e così via), così come può anche disattendere l’esito fornito dall’etilometro, ancorché risultante da due determinazioni del tasso alcolemico concordanti ed effettuate ad intervallo di cinque minuti, sempre che del suo convincimento fornisca una motivazione logica ed esauriente».

    (2) Ex multis, v. le sentenze citate in parte motiva, Cass. pen., 21 aprile 2008, Scaccini, in Ius & Lex online; Cass. pen., sez. V, 29 marzo 2004, Dell’Angelo, in Riv. pen. 2004, 505; Cass. pen., sez. IV, 7 maggio 2004 Campolo, ivi 2004, 634.

MOTIVI DELLA DECISIONE

A mezzo di apposito decreto si provvedeva a costituire il rapporto processuale.

Nel corso del processo venivano acquisiti gli elementi probatori di seguito esposti in sintesi.

All’esito le parti concludevano come in atti.

1) La questione di responsabilità in fatto.

La documentazione probatoria predibattimentale in atti già è sufficiente per l’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, anche perché quest’ultimo non ha addotto in dibattimento elementi concreti ed idonei a sua discolpa.

Soprattutto vi è in atti il verbale redatto ai sensi dell’art. 354 c.p.p., il quale non solo riferisce di uno stato dell’imputato sintomatico dell’ebbrezza, ma soprattutto riferisce dell’accertamento effettuato a mezzo di etilometro; accertamento i cui esiti risultano anch’essi agli atti del fascicolo dibattimentale (tasso alcolemico di g/l 1,51 e 1,42).

A conferma della responsabilità penale dell’imputato vi è anche un’annotazione di polizia giudiziaria, pure versata agli atti del fascicolo del dibattimento, senza che sia stata proposta questione preliminare per la sua espulsione, ai sensi dell’art. 491 c.p.p., comma secondo.

Infine, la testimonianza dibattimentale della polizia giudiziaria ha confermato i suddetti esiti investigativi.

Quindi la fondatezza dell’imputazione è evidente, salvo quanto si dirà.

2) La qualificazione giuridica del fatto.

2.1 I suddetti esiti dell’accertamento tramite etilometro rendono necessario stabilire se all’imputato debba essere applicata la lett. B) o la lett. C) dell’art. 186, comma secondo, del c.s., trattandosi di tassi alcolemici “a cavallo” del tasso - soglia di 1,5 g/l.

Più in generale, l’accertamento di due diversi valori di tasso alcolemico, di cui uno al di sotto e l’altro al di sopraPage 546 di ciascuna soglia penalmente rilevante, pone il problema del se e di quali pene siano applicabili in questo caso.

In proposito si è ritenuto che per il principio del favor rei, trattandosi di accertamenti tecnici dei quali la normativa prevede la ripetizione con un certo intervallo di tempo (cinque minuti per l’etilometro) si debba tener conto del valore inferiore.

Quindi, ad esempio, se il primo accertamento dell’etilometro indica un valore di 0,82 g/l, e il secondo un valore di 0,79 g/l, dovrà applicarsi la pena prevista per la lett. a) dell’art. 186 c.s..

La questione merita qualche approfondimento, posto che la sua rilevanza è esaltata dal sistema delle plurime soglie previste dal nuovo art. 186 c.s..

Punto di partenza è il comma 2 dell’art. 379 del D.P.R. n. 495 del 1992, secondo il quale la concentrazione di alcool nell’aria alveolare espirata “dovrà risultare da almeno due determinazioni concordanti effettuate ad un intervallo di tempo di 5 minuti”.

Ciò, ancora una volta, potrebbe indurre a credere, ad una primissima osservazione, che tale norma regolamentare imponga al giudice una sorta di prova legale, tanto che solo la concordanza delle due misurazioni gli consentirebbe di affermare non solo l’esistenza del reato, ma anche (nella attuale vigenza del sistema delle soglie, di cui al novellato art. 186, comma 2, c.s.), l’esistenza di una delle fattispecie previste dal comma 2 cit..

In quest’ipotesi la concordanza delle due misurazioni starebbe ad indicare non tanto l’assoluta coincidenza dei valori numerici, ma (dato che la norma incriminatrice prevede intervalli di valori), il fatto che entrambi i valori (eventualmente diversi) siano compresi in una stessa fattispecie fra quelle elencate dal comma 2 cit..

La palese erroneità di tale tesi deriva senza difficoltà dall’insegnamento delle Sezioni unite penali (Sez. un., 27 settembre 1995, Cirigliano, in C.E.D. Cass., n. 203634).

Le Sezioni unite rilevarono il rango di fonte secondaria dei regolamenti (quale è quello del c.s.), i quali servono a disciplinare l’attuazione e l’esecuzione della legge.

Quindi i regolamenti non sono idonei ad imporre condotte, prescrizioni o divieti ad essa non conformi.

Osservarono quindi le Sezioni unite che la previsione regolamentare di uno strumento e di un sistema per la determinazione della concentrazione alcolica espirata da un conducente di veicolo, già solo per questo non può derogare al principio-base cui è informato il codice di rito penale, consistente nel libero convincimento del giudice (art. 192, comma 1, c.p.p.), il quale può accertare i fatti con qualsiasi mezzo di prova, purché non sia contrario a divieti di legge e, come tale, inutilizzabile (art. 191, comma 1, c.p.p.).

Nel processo penale non esistono, a differenza di quello civile, prove legali al cui contenuto il giudice sia tenuto a prestare osservanza.

Pertanto, osservavano le Sezioni unite, nemmeno l’indicazione (nell’art. 379 del Regolamento del c.s.) del mezzo con cui può essere accertata nell’individuo - conducente la concentrazione alcolica, può derogare al libero convincimento del giudice.

Osservavano significativamente le Sezioni unite che il giudice può anche disattendere l’esito fornito dall’etilometro, anche se risultante da due misurazioni concordanti ed effettuate ad intervallo di cinque minuti, purché fornisca del suo convincimento una motivazione esauriente e logica.

Dalla natura non vincolante dell’accertamento mediante etilometro (v. anche art. 101, comma 2, Cost.) deriva quindi che il giudice può liberamente apprezzare le relative misurazioni, anche quando siano a cavallo di una delle soglie previste dal comma 2 dell’art. 186 c.s..

Ne consegue che, se anche una sola delle sue misurazioni superi uno dei valori - soglia previsti dal comma 2 cit. il giudice ben potrà ritenere integrato il reato (o comunque la fattispecie più grave); infatti, l’art. 186 c.s. non prevede affatto (descrivendo la tipicità del reato, ed in particolare i suoi elementi costitutivi) che lo stato di ebbrezza debba insistere per cinque minuti nell’ambito dello stesso intervallo di valori.

Il giudice-estensore dovrà però dimostrare, con motivazione esauriente e logica, che la misurazione del tasso alcoolemico più elevato (fra i due) sia idonea da sola, o in combinazione con altri elementi di riscontro emersi dal processo, a provare il superamento di una certa soglia.

Verosimilmente il giudice si dovrà occupare in tal caso di nozioni di medicina legale (ad esempio in tema di assorbimento dell’alcool da parte dell’organismo), oltre che di nozioni tecniche relative all’affidabilità e alla precisione dell’etilometro, o relative ai metodi utilizzati dagli operatori di polizia giudiziaria.

Ove all’esito il giudice ritenga che la prova del superamento di una determinata soglia sia insufficiente o contraddittoria, egli...

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