Merito

AutoreCasa Editrice La Tribuna
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@TRIBUNALE PENALE DI PISA 16 marzo 2010, n. 272. Est. D’Auria – Imp. Mema Alban

Guida in stato di ebbrezza – Accertamento – Rifiuto di sottoporsi al test alcolemico – Fatto commesso quando costituiva reato – Successione di leggi penali – Applicazione retroattiva della legge più favorevole, di depenalizzazione del reato suddetto – Ammissibilità

In tema di successione di leggi penali che hanno regolato il rifiuto di sottoporsi al test alcolemico di cui al comma 4 dell’art. 186 c.s., l’applicazione retroattiva della legge più favorevole, ovvero quella che aveva depenalizzato tale reato, permane anche se, successivamente, la stessa venga modificata in senso meno favorevole, reintroducendo il reato suddetto di cui al comma 7 dell’art. 186 c.s. (nuovo c.s., art. 186; c.p., art. 2) (1)

    (1) Analoga fattispecie si rinviene in Trib. pen. Monza, 18 luglio 2008, n. 1775, in questa Rivista 2008, 1044. Il principio di diritto contenuto nella sentenza in epigrafe, ormai consolidatosi, è stato espresso, pur in differenti fattispecie, dalle pronunce citate in parte motiva: Cass. pen., sez. II, 9 settembre 2009, Sylla, in Ius & Lex online e Cass. pen., sez. IV, 18 ottobre 2007, De Bernardin, in Riv. pen. 2008, 693.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Con decreto di giudizio immediato del 28 gennaio 2010 Mema Alban veniva citato innanzi a questo Giudice monocratico per rispondere del reato indicato in epigrafe.

All’odierna udienza, in contumacia dell’imputato, le parti hanno concluso come da verbale.

Ritiene il Giudice che l’esame degli atti imponga una pronuncia predibattimentale ai sensi dell’art. 129 c.p.p. di assoluzione dell’imputato perché il fatto non era previsto dalla legge come reato.

Va invero evidenziato che al Mema è elevata contestazione in relazione al rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolemici, avvenuto in data 21 agosto 2006, quando il fatto costituiva reato ed era punito con la pena dell’arresto fino ad un mese e dell’ammenda da euro duecentocinquantotto ad euro milletrentadue.

Successivamente, il D.L. 3 agosto 2007, n. 117, convertito in L. 2 ottobre 2007, n. 160, aveva depenalizzato tale fattispecie, riducendola ad illecito amministrativo. La depenalizzazione del rifiuto di sottoporsi agli accertamenti aveva provocato non poche distorsioni del sistema, portando sostanzialmente alla paralisi dell’accertamento dei reati di cui agli artt. 186 e 187 c.s..

In particolare, con riferimento alla guida in stato di ebbrezza, la giurisprudenza della Corte di Cassazione più che condivisibilmente aveva affermato che in caso di rifiuto del test alcolemico, potendo lo stato di ebbrezza essere desunto anche da indici sintomatici (quali ad esempio l’alito vinoso, l’eloquio sconnesso, la precaria deambulazione e così via), per il principio del favor rei, poteva ritenersi integrata esclusivamente l’ipotesi più lieve di cui alla lett. a) del comma 2 dell’art. 186 citato. Nell’ipotesi di cui all’art. 187 citato, invece, la mancanza dell’accertamento, non potendo essere sopperita dai dati comportamentali indicati per la guida in stato di ebbrezza, addirittura precludeva la possibilità di poter affermare la penale responsabilità del conducente.

In altri termini, la depenalizzazione incentivava il conducente - specie quello ebbro o quello che aveva assunto droghe - a rifiutarsi di sottoporsi al test alcolemico od agli accertamenti sull’assunzione di sostanze stupefacenti, in quanto, a fronte della sanzione penale, opponendo il rifiuto, poteva fruire dell’applicazione della sanzione amministrativa, evidentemente meno grave, senza tacere che avrebbe evitato anche la revoca della patente di guida.

È così nuovamente intervenuto il legislatore: il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito in L. 24 luglio 2008, n. 125, ha reintrodotto nel codice della strada il reato di rifiuto di consentire l’accertamento dell’eventuale stato di alterazione psicofisica da parte degli organi di polizia stradale. Novellando il comma 7 dell’art. 186 c.s., ha previsto che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, in caso di rifiuto dell’accertamento di cui ai commi 3, 4 e 5, il conducente è punito con le pene di cui al comma 2, lett. c), dunque con la pena dell’ammenda da 1500 a 6000 € e dell’arresto da tre mesi ad un anno (analoga sanzione è prevista dal comma 8 dell’art. 187 c.s., che appunto rinvia all’art. 186, comma 7, c.s. nel caso di rifiuto dell’accertamento di cui ai commi 2, 3 o 4). Alla pena sopra indicata in entrambi i casi si aggiunge la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente da sei mesi a due anni e la confisca del veicolo, salvo che appartenga a persona estranea al reato. Inoltre, per il caso in cui il fatto sia commesso da soggetto già condannato nei due anni precedenti per lo stesso reato è prevista la revoca della patente.

Con la reintroduzione del reato di cui al comma 7 dell’art. 186 c.s. e di cui al comma 8 dell’art. 187 c.s., dunque, si è posto fine alla evidenziata irrazionalità del sistema, specie tenuto conto della stretta connessione della guida in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di sostanze stupefacenti con il processo di accertamento.

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Ricapitolando, dunque, quando nel 2006 l’imputato pose in essere la condotta ascrittagli, il rifiuto di sottoporsi agli accertamenti costituiva reato; poi, nel 2007 è intervenuta la depenalizzazione e nel 2008, infine, è stato reintrodotto il reato di cui al comma 7 dell’art. 186 c.s..

Tanto premesso con riferimento alla successione delle leggi penali che hanno regolato il rifiuto di sottoporsi al test alcolemico, in relazione alla individuazione della norma da applicare nel caso portato all’esame del Tribunale, deve evidenziarsi che - secondo il condivisibile insegnamento della Suprema Corte (cfr. da ultimo Cass. pen, sez. II, 7 luglio 2009, n. 35079, Sylla) - in tema di successione di leggi penali, l’applicazione retroattiva della legge più favorevole permane anche se, successivamente, la stessa venga modificata in senso meno favorevole, venendo così ripristinate le pene più severe previste da altra legge anteriore che la legge mitior aveva a sua volta modificato. In altri termini, l’art. 2, comma 3, c. p. prende in considerazione tutti i mutamenti legislativi intervenuti, stabilendo che deve applicarsi la legge le cui disposizioni sono più favorevoli al reo; pertanto, una volta che sia entrata in vigore una legge più favorevole, questa deve essere applicata sempre, anche se, successivamente, il legislatore ritenga di modificarla in senso meno favorevole, ripristinando le pene più severe previste da altra legge anteriore che la legge mitior aveva a sua volta modificato.

Il principio di diritto riportato può dirsi oramai consolidato (cfr. anche Cass. pen., sez. IV, 21 settembre 2007, n. 38548, De Bernardin, secondo cui in materia di successione di leggi penali, l’art. 2, comma 3, c.p., prende in considerazione tutti i mutamenti legislativi intervenuti, stabilendo che deve applicarsi la legge le cui disposizioni sono più favorevoli al reo; pertanto una volta che sia entrata in vigore una legge più favorevole, questa deve essere sempre applicata anche se, successivamente, il legislatore ritenga di modificarla in senso meno favorevole; Cass. pen., sez. IV, 18 marzo 2004, n. 23613, P.G. in proc. Vilhar).

Il fondamentale principio della irretroattività della legge penale che trova riscontro anche a livello costituzionale nell’art. 25 Cost., si integra, dunque, con quello della retroattività della legge più favorevole, che a sua volta trova fondamento nell’art. 3 Cost..

Sul punto, va segnalata una recente ordinanza della seconda Sezione della Corte di Cassazione, la n. 47395 del 12 novembre 2009, De Giovanni e altro, che, rimettendo la questione alle Sezioni Unite, ipotizza la costituzionalizzazione della retroattività della lex mitior ai sensi del novellato art. 117 Cost.. Per la verità un primo e forte segnale in tal senso era già venuto dalla sentenza n. 394/2006 della Corte Costituzionale - ma l’assunto traspare anche dalla trama motivazionale della sentenza n. 393/2006 della Corte Costituzionale - nella quale il giudice delle leggi si pronunziò, per la prima volta in termini espliciti, in favore del fondamento costituzionale del principio di retroattività della legge penale in bonam partem, ricavandolo non dall’art. 25, comma 2, Cost., ma dal principio di uguaglianza-ragionevolezza ex art. 3 Cost..

Con riferimento all’ordinanza n. 47395 citata, è interessante evidenziare che, sulla questione relativa all’applicazione retroattiva ai processi pendenti in appello della prescrizione breve ai sensi della cosiddetta legge ex Cirielli, si erano già pronunciate negativamente le SS. UU. della Suprema Corte 29 ottobre 2009, n. 47008, D’Amato, ma la seconda sezione della Cassazione, per evitare di rimettere la questione alla Consulta, ha nuovamente adito in data 12 novembre 2009 le SS.UU., al fine di stimolare una interpretazione correttiva alla luce della sentenza CEDU del 17 settembre 2009, Scoppola contro Italia, che va ad integrare il parametro interposto di costituzionalità - secondo i paradigmi messi a fuoco dalle sentenze della Corte Costituzionale nn. 348 e 349 del 2007 - ai sensi dell’art. 117 Cost., ipotizzando, per l’appunto, la costituzionalizzazione del principio della retroattività favorevole (già ricondotto - come si è accennato - dalla stessa Consulta, nelle sentenze 393 e 394 del 2006, al principio di ragionevolezza desumibile dall’art. 3 Cost.).

Tornando al caso concreto portato all’esame del Tribunale, in conclusione, ritiene questo Giudice che la nuova incriminazione del rifiuto di sottoporsi ai test alcolemici non può far rivivere la rilevanza penale delle violazioni commesse prima della entrata in vigore della precedente depenalizzazione, posto che la legge abrogatrice - come si è visto - può essere anche una legge intermedia che, intervenuta dopo la commissione del fatto, risulti poi a...

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