Massimario di legittimità

AutoreCasa Editrice La Tribuna
Pagine553-573

    I testi dei documenti qui riprodotti sono desunti dagli Archivi del Centro elettronico di documentazione della Corte di cassazione. I titoli sono stati elaborati dalla redazione.


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@Abuso d'ufficio - Estremi - Ufficiale di polizia giudiziaria - Violazione del dovere di astensione

In tema di abuso di ufficio, viola il dovere di astensione in presenza di un interesse di un prossimo congiunto, sancito non solo dall'art. 323 c.p. ma dal principio costituzionale di imparzialità della pubblica amministrazione, l'ufficiale di polizia giudiziaria che sollecita la propria moglie a presentargli denuncia per un supposto reato e svolge personalmente le relative indagini, non essendo tale dovere in alcun modo derogato dagli artt. 55 e 347 c.p.p. in tema di attività della polizia giudiziaria.

    Cass. pen., sez. VI, 6 novembre 1998, n. 11549 (ud. 2 ottobre 1998), Arcidiacono. (C.p., art. 323; c.p.p., art. 55; c.p.p., art. 347). [RV213031]


@Appello penale - Cognizione del giudice di appello - Reformatio in peius - Effetto devolutivo

La norma di cui all'art. 597 n. 3 c.p.p., che dispone il divieto per il giudice d'appello di "reformatio in peius", deve essere coordinata con quella dell'art. 24 c.p.p., secondo cui il giudice d'appello deve pronunciare sentenza di annullamento ed ordinare la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il competente giudice di primo grado quando riconosce l'incompetenza per materia di quello che emise la sentenza impugnata. Ne consegue che quando il giudice d'appello attribuisce al fatto una qualificazione giuridica diversa, non esorbitante però dalla competenza per materia del giudice di primo grado, trattiene il procedimento e decide su di esso; viceversa se il giudice d'appello riconosce il fatto come estraneo e superiore alla competenza per materia del primo giudice, non può trattenere il procedimento e decidere, ma deve annullare la sentenza impugnata ed emettere i conseguenziali provvedimenti di cui all'art. 24 c.p.p.

    Cass. pen., sez. VI, 2 marzo 1999, n. 2828 (ud. 11 febbraio 1999), Stefano D. (C.p.p., art. 597; c.p.p., art. 24). [RV212889]


@Appello penale - Decisioni in camera di consiglio - Richieste concordemente formulate dalle parti - Appello della parte civile

Al c.d. "patteggiamento in appello" di cui agli artt. 599, comma quarto, e 602, comma secondo, c.p.p., non si applica la regola della preclusione del giudice di decidere sull'azione civile prevista esclusivamente per il diverso istituto dell'applicazione della pena su richiesta dall'art. 444, comma secondo, c.p.p. Pertanto, l'intervenuto accordo delle parti nel giudizio di appello non interferisce in alcun modo sull'appello proposto dalla parte civile, sul quale il giudice della impugnazione non può non pronunciarsi.

    Cass. pen., sez. VI, 17 settembre 1998, n. 9879 (ud. 5 maggio 1998), P.M. e Pellegrini ed altri. (C.p.p., art. 599; c.p.p., art. 602). [RV213045]


@Appello penale - Dibattimento - Rinnovazione dell'istruzione - Condizioni

L'art. 603, comma 1, c.p.p., stabilendo che il giudice di appello, allorché una parte lo richieda, dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale solo se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti, intende fare riferimento a tutta l'istruzione dibattimentale che può essere assunta in primo grado. Ne consegue che la rinnovazione dell'istruttoria in appello comprende tutte le prove previste dal libro III dello stesso codice ovvero tutti i fatti che possono essere oggetto di prova ai sensi dell'art. 187 c.p.p. ivi compresa la perizia volta ad accertare la capacità di intendere e di volere dell'imputato o altre condizioni di imputabilità: prove che, pertanto, il giudice di appello deve ammettere eccezionalmente solo quando non si ritiene in grado di decidere allo stato degli atti. Peraltro, il rigetto della relativa richiesta di parte, ove congruamente e logicamente motivato dal giudice di appello, è incensurabile in cassazione, trattandosi di giudizio di fatto.

    Cass. pen., sez. III, 14 aprile 1999, n. 4646 (ud. 25 febbraio 1999), Quartieri L. (C.p.p., art. 603). [RV213086]


@Appello penale - Incidentale - Limiti derivanti dal contenuto dell'appello principale - Ratio

L'appello incidentale deve essere limitato ai capi ed ai punti dell'appello principale; detto principio pur non espressamente affermato in una specifica norma si desume dal sistema processuale nel suo complesso nonché da alcune disposizioni previste dal vigente codice di rito, prima fra tutte dall'art. 595 per il quale l'appello incidentale perde efficacia in caso di inammissibilità dell'appello principale. Detta disposizione, infatti, non avrebbe senso se l'appello incidentale potesse avere un contenuto devolutivo più ampio e comunque autonomo rispetto all'appello principale; inoltre, ove ciò fosse comunque consentito e l'appello incidentale fosse, pertanto, autonomo rispetto a quello principale, sarebbero vanificati i termini per proporre impugnazioni, tassativamente stabiliti a pena di decadenza dal codice di rito, posto che la proposizione dell'appello principale equivarrebbe a rimettere in termini tutte le altre parti, al di fuori di una specifica previsione. Alla luce di questo nuovo ordine sistematico appare, altresì, chiaro che nel vigente codice di rito è cambiata la ratio dell'appello incidentale, il quale non ha più una funzione deterrente dell'appello principale dell'imputato ma più semplicemente una funzione antagonista dell'appello proposto dalle altre parti.

    Cass. pen., sez. III, 14 aprile 1999, n. 4650 (ud. 25 febbraio 1999), Coppola G. (C.p.p., art. 595). [RV213088]


@Applicazione della pena su richiesta delle parti - Costituzione di parte civile - Spese processuali - Mancanza della nota

In tema di liquidazione delle spese alla parte civile in caso di patteggiamento, poiché l'art. 153 att. c.p.p. prevede che dette spese debbano essere liquidate sulla base della nota che l'interessato è tenuto a presentare, il giudice non può procedere di ufficio, in mancanza di tale nota o anche in presenza di una nota-spese apparente e formale, alla liquidazione. Invero, poiché la nota ha la funzione di porre il giudice in grado di liquidare, nel rispetto del contraddittorio, spese ed onorari di avvocato, in relazione alla attività processuale effettivamente svolta, tale funzione non può dirsi soddisfatta sulla base di una nota generica e non documentata. D'altra parte, se pure nel giudizio ordinario può essere ammessa liquidazione forfettaria e di ufficio (vale a dire, pur in mancanza di una richiesta e di una specifica nota), ciò non appare possibile nella ipotesi di applicazione concordata della pena. Infatti, nel primo caso, la liquidazione è in relazione alla sentenza di condanna dell'imputato, anche per quel che riguarda le restituzioni ed il risarcimento del danno, mentre nel secondo caso, da un lato, l'applicazione della pena non ha natura di condanna (dal momento che il giudice ratifica l'accordo intercorso tra le parti, prescindendo dall'accertamento giudiziale del reato e dalla responsabilità dell'imputato), dall'altro, è precluso ogni potere di cognizione e decisione al giudice stesso in ordine alla domanda della parte civile.

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    Cass. pen., sez. V, 1 aprile 1999, n. 7284 (c.c. 29 dicembre 1998), Rubagotti L. ed altri. (C.p.p., art. 444; att. c.p.p., art. 153). [RV212926]


@Applicazione della pena su richiesta delle parti - Pena - Sospensione condizionale - Subordinazione alla richiesta

Nel caso in cui l'imputato abbia subordinato la richiesta di applicazione della pena alla concessione della sospensione condizionale, ancorché il pubblico ministero abbia aderito alla richiesta, il giudice resta comunque investito del potere-dovere di verificare la concedibilità del beneficio e deve rigettare la richiesta, a norma del comma terzo dell'art. 444 c.p.p., se la verifica conduca a rilevare la sussistenza di condizioni ostative alla concessione del beneficio. Se il giudice non si adegui a tale "regula juris" la sentenza è affetta da nullità nel suo insieme, e non solo nella parte relativa al punto della sospensione, perché emessa a seguito di un'istanza inefficace e deve, conseguentemente, essere annullata senza rinvio con trasmissione degli atti al giudice "a quo" per l'ulteriore corso.

    Cass. pen., sez. VI, 22 dicembre 1998, n. 3447 (c.c. 5 novembre 1998), P.G. e P.M. in proc. Bruno R. (C.p.p., art. 444). [RV212905]


@Applicazione della pena su richiesta delle parti - Presupposti - Accordo con il P.M. - Poteri del giudice

In tema di patteggiamento, ex art. 444 c.p.p., il giudice chiamato a sindacare la legittimità dell'accordo intervenuto tra le parti deve preliminarmente, tra l'altro, effettuare il controllo della correttezza della qualificazione giuridica del fatto, controllo che si sostanzia e si definisce nel riscontro dell'astratta corrispondenza della fattispecie legale prospettata, senza potersi spingere fino a censurare l'accordo sotto il profilo di una ritenuta incompletezza della contestazione. Ogni potere, infatti, in ordine alla modifica dell'imputazione o ad una nuova contestazione spetta unicamente all'organo dell'accusa.

    Cass. pen., sez. V, 16 febbraio 1999, n. 6006 (c.c. 11 novembre 1998), P.G. in proc. Giacominelli. (C.p.p., art. 444). [RV212895]


@Applicazione della pena su richiesta delle parti - Richiesta - Forma - Procura speciale

In tema di patteggiamento, la procura speciale con la quale viene conferito al procuratore anche il potere di richiedere l'applicazione della pena si caratterizza per la discrezionalità riconosciuta allo stesso procuratore anche in questa materia, giacché l'indicazione di un limite di pena trasformerebbe quest'ultimo in semplice "nuncius".

    Cass. pen., sez. V, 16 febbraio 1999, n. 6245 (c.c. 19 novembre 1998), Miniscalco M. (C.p.p., art. 444). [RV212897]


@Applicazione della pena su richiesta delle parti - Richiesta - Vizi concernenti le forme...

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