La maschera della legge: metamorfosi del principio di legalità. Giusto processo o ingiusto processo?

AutoreAngelo Alessandro Sammarco
Pagine8-10
8
dott
1/2014 Arch. nuova proc. pen.
DOTTRINA
LA MASCHERA
DELLA LEGGE: METAMORFOSI
DEL PRINCIPIO DI LEGALITÀ.
GIUSTO PROCESSO
O INGIUSTO PROCESSO?
di Angelo Alessandro Sammarco
Ipotizziamo un caso immaginario, ma pur sempre possi-
bile (nell’universo del diritto dove la possibilità è realtà).
Tizio viene condannato in contumacia all’ergastolo;
le notif‌iche sono state regolarmente effettuate presso il
domiciliatario che però non ha comunicato al proprio assi-
stito la sentenza di condanna; l’impugnazione avverso la
sentenza di condanna non è stata presentata, né dal difen-
sore che per ragioni varie, ha dimenticato di impugnare;
né dall’imputato che, come detto, non è stato informato
dal domiciliatario del deposito della sentenza di condan-
na; la sentenza, non essendo stata impugnata nei termini
previsti dalla legge, è divenuta, quindi, def‌initiva, nono-
stante l’imputato disponga della prova d’alibi che avrebbe
potuto far valere in appello.
Immaginiamo una variante dell’esempio: Tizio viene
condannato all’ergastolo in sede di appello, ma riesce
ad avere la prova inconfutabile e documentale dell’alibi,
solo dopo la condanna, ma prima della presentazione del
ricorso per cassazione.
Nonostante l’indubbia differenza tra i due casi (nel
primo la sentenza di condanna è divenuta def‌initiva a pre-
scindere della prova d’alibi; nel secondo, la prova d’alibi è
sopraggiunta in un momento nel quale la sentenza di con-
danna non è ancora divenuta def‌initiva) la legge processua-
le non prevede soluzioni differenziate sul piano pratico.
Infatti, tenuto conto che, per quanto riguarda la secon-
da ipotesi, il ricorso per cassazione diretto all’acquisizione
della prova d’alibi sopraggiunta dopo il giudizio di appello
sarebbe destinato alla declaratoria di inammissibilità da
parte della Corte di cassazione, che, in quanto giudice di
legittimità, non si occupa dell’acquisizione di una prova
sopravvenuta, in entrambe le situazioni immaginate l’im-
putato condannato, sebbene innocente, deve comunque
subire l’esecuzione della condanna e quindi il carcere,
a partire dal momento in cui la sentenza di condanna è
divenuta irrevocabile secondo la legge processuale.
Abbiamo quindi un dato inconfutabile: la nostra legge
processuale permette la condanna def‌initiva dell’innocen-
te, persino quando sia già nota l’innocenza dell’imputato
perché per ragioni formali, di mero carattere processuale,
la prova sopravvenuta dell’innocenza non può più arresta-
re il percorso ineluttabile dell’esecuzione della sentenza
di condanna, già divenuta def‌initiva o comunque insinda-
cabile sotto il prof‌ilo del merito.
Dunque, la legge processuale che dovrebbe contenere
tutte le possibili garanzie a tutela dell’imputato innocen-
te, in realtà, produce il risultato, opposto, dell’esecuzione
della condanna nonostante l’innocenza dell’imputato.
Fortunatamente, nel nostro sistema non esiste la pena
di morte; ma certamente non è da poco l’applicazione del
trattamento carcerario, magari con i rigori dell’isolamen-
to, nei confronti dell’innocente.
Prima di discutere sui possibili rimedi rispetto a simili
aberranti situazioni, è necessario soffermarsi su un altro
paradosso giuridico.
Ed infatti, l’inquietante scenario evoca il concetto
dell’ingiustizia, della sentenza ingiusta, dell’esecuzione
ingiusta; si pensi, tornando al macabro riferimento alla
pena di morte, ad un’esecuzione della pena capitale nei
confronti dell’innocente: è questo il massimo esempio di
ingiustizia giudiziaria.
Eppure, in simili casi, l’ordinamento giuridico proces-
suale fornisce la risposta opposta e cioè che la sentenza
è “giusta” e che l’esecuzione della sentenza def‌initiva è
“giusta”.
Occorre dunque comprendere come sia possibile un
fatto del genere, un tale eclatante ribaltamento di signi-
f‌icati e di valori.
Partiamo dalla norma costituzionale del “giusto proces-
so” e cioè dall’art. 111 comma 1 della Costituzione, secon-
do cui “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo
regolato dalla legge”.
Come si vede, in questa previsione normativa è con-
tenuta l’equazione, fondamentale e fondante dell’intero
sistema processuale, tra “legge” e “giustizia”: l’osservanza
della legge automaticamente e necessariamente produce
la giustizia.
Ne consegue, a livello processuale, che quando il
processo si sia svolto nel rispetto della legge, la sentenza
def‌initiva che lo conclude è necessariamente “giusta”.
Dunque, non c’è giurisdizione senza il “giusto processo”
e d’altra parte, il “giusto processo” è l’unica metodologia
consentita per l’attuazione della giurisdizione.
Questa prospettiva ha evidentemente una natura for-
male, direttamente derivata dal principio di legalità che
esprime la forza autoritativa della legge che si impone in
quanto tale, indipendentemente dal suo contento sostan-
ziale di giustizia.
Ciò dunque signif‌ica che la legge, valida perché formal-
mente corretta, produce i suoi effetti anche se è sbagliata
o ingiusta o persino contraria alle intenzioni del legislato-
re: dura lex sed lex.
Questo principio ha la sua traduzione processuale nel
“giudicato” che sancisce la def‌initività della sentenza irrevo-
cabile quale presupposto dell’ineluttabilità dell’esecuzione.
Insomma, l’accertamento giurisdizionale della colpe-
volezza dell’imputato nel rispetto delle regole processuali

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