Luci e ombre sul progetto di riforma delle indagini preliminari

AutoreTaormina Carlo
Pagine237-244

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Dottrina

Luci e ombre suL progetto di riforma deLLe indagini preLiminari

di Carlo Taormina

SOMMARIO
1. Ragioni di una nuova disciplina. 2. Le indagini di polizia giudiziaria e il doppio binario per i reati meno gravi e per quelli più gravi. 3. I requisiti di una investigazione di polizia garantista. 4. La vera sorte del rapporto interorganico tra pubblico ministero e polizia giudiziaria.

1. Ragioni di una nuova disciplina

L’inefficienza del sistema processuale penale non si misura tanto dalla lunghezza esasperante dei tempi necessari per giungere ad una sentenza definitiva, anomalia sicuramente da contrastare fermamente, quanto da due concorrenti fenomeni ben più gravi. Anzitutto, l’alto tasso di impunità per delitti anche molto gravi ed in qualche modo non adeguatamente considerati perché annoverati nell’ambito della così detta criminalità di strada rispetto ai quali invece alta è la sensibilità delle comunità ed il mancato contrasto finisce per costituire un terreno fertile di una diffusa illegalità che rende più facile l’emergere di forme di alta criminalità. In secondo luogo, accanto ad una repressione giudiziaria che nemmeno è avviata o che abortisce molto presto, gli insuccessi della iniziativa accusatoria hanno raggiunto percentuali troppo rilevanti, non soltanto per il frequente superamento dei termini di prescrizione ma per la incapacità dello Stato a fornire la prova della responsabilità degli imputati: i processi di primo grado che si concludono con assoluzioni sono moltissimi, in alcuni casi certamente perché essi non si sarebbero dovuti nemmeno intraprendere, ma in assoluta prevalenza per le difficoltà concrete di raccogliere elementi suscettibili di essere trasformati in fonte di riconoscimento di colpevolezza.

Questi fenomeni possono avere anche altre causali, ma la principale, come il tempo ha rivelato a partire dalla entrata in vigore del codice di procedura penale attuale, è da ravvisare nelle carenze che affliggono il momento iniziale del contrasto giudiziario, notoriamente decisivo nella stragrande maggioranza dei casi, quale è quella delle in-

dagini preliminari. Non perseguire la criminalità di strada e non raccogliere le prove delle responsabilità oggettive e soggettive per raggiungere sentenze di condanna, dipende dal non compimento o dal non adeguato svolgimento di tali indagini e ciò chiama direttamente in causa, non già la funzione giurisdizionale, estranea a tali tematiche, ma la funzione investigativa della polizia giudiziaria e quella di indagine attribuita agli organi del pubblico ministero. Poiché questo stato delle cose si è progressivamente ingrossato con l’entrata in vigore dell’attuale codice di procedura penale, logico ricercarne le ragioni nella disciplina delle indagini preliminari ed incontestabile la diagnosi, forte del riscontro concreto, che denunzia specifiche causali patologiche.

Sono divergenti le opinioni della teoria e della prassi giuridica secondo le quali il rapporto costruito dal legislatore tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, basato sulla stretta subordinazione della seconda al primo e sulla pratica insussistenza di una iniziativa a favore della polizia giudiziaria con conseguente ruolo di organo destinatario di soli poteri delegati di volta in volta dal pubblico mini-stero, costituisce la ragione specifica della debacle delle indagini preliminari e perciò del processo penale. L’applicazione concreta, poi, si è incaricata di dimostrare come, anche in presenza di dati normativi utilizzabili in modo da non determinare la operatività di una simile anomalia - tra l’altro accresciuta da alcune modifiche successive - l’inglobamento delle funzioni di polizia giudiziaria in quelle del pubblico ministero è stato massiccio, a cagione della subordinazione chiaramente tuttavia sancita dal codice nei termini già indicati, in contrasto, è bene farne subito denunzia, con la previsione dell’art. 109 Cost.. Questa subordinazione dalla quale è dipesa la pressoché totale erosione degli spazi di iniziativa della polizia giudiziaria, si è tradotta in una patologia specifica, divenuta nel tempo caratteristica di sistema. Le professionalità investigative proprie di ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria non solo non hanno potuto essere esercitate ma hanno in effetti cambiato titolare, divenendo appannaggio esclusivo - o pressoché tale - del pubblico ministero, organo appartenente alla magistratura - particolarità dalla quale quanto ci si allontani per questa acquisizione di titolarità mai nessuno ha voluto notare - ma certamente privo delle indispensabili capacità per l’esercizio anche minimo di attività investigative o di indagine. Non poteva essere più prevedibile lo scardinamento ed il pregiudizio per la efficienza dell’accertamento penale di prima ed essenziale

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battuta e quindi la eventualità degli insuccessi, ai quali si è fatto in precedenza riferimento, totalizzati anche e soprattutto rispetto alla esigenza di repressione di gravissimi reati. Ma questo fagocitamento delle funzioni della polizia giudiziaria da parte del pubblico ministero è all’origine anche dell’alto tasso di impunità di quella criminalità di strada pure in precedenza evocata. La mortificazione, invero, del potere di iniziativa della polizia giudiziaria, impostata, come è notorio, nel compimento preminentemente di attività delegate, ha dato luogo ad un allontanamento progressivo ma anche sistematico della polizia giudiziaria da quelle attività di acquisizione delle notizie di reato, che sta alla base dell’intrapresa di un procedimento penale e quindi dall’inizio, persino dall’inizio della repressione penale immaginato dall’art. 112 Cost. come obbligatorio. L’impunità, invero, è il frutto certo delle indagini che abortiscono perché effettuate da un pubblico ministero privo delle professionalità della polizia giudiziaria ma anche per la mancata intrapresa di investigazione di polizia ab origine. Emblemi di questo stravolgimento funzionale e metodologico, sono gli artt. 335 e 384 c.p.p.. Il primo configura addirittura il pubblico ministero come organo principe dell’acquisizione delle notizie di reato, costituente invece la ragione stessa della esistenza della polizia e della cumulazione nei relativi organi delle funzioni di polizia di sicurezza e di quelle di polizia giudiziaria; il secondo attribuisce al pubblico ministero il potere di fermo giudiziario, istituto nato, invece, nelle prassi di polizia e sempre disciplinato come momento qualificante delle funzioni della polizia giudiziaria.

Naturale, dunque, che un legislatore intenzionato a combattere anzitutto l’inefficienza del sistema repressivo dovesse cominciare da qui, tentando di ridisegnare il rapporto tra le funzioni di polizia giudiziaria e quelle del pubblico ministero, traendone anche le inevitabili conseguenze sul piano strettamente organizzatorio, comprese le problematiche legate al rapporto tra i due organi. Se il discorso sul rispetto delle professionalità si intende posto a fondamento degli intendimenti riformistici, come è sicuramente accaduto con il disegno di legge in trattazione, non potrebbero sussistere soluzioni compromissorie nel senso che le indagini dovrebbero essere effettuate da chi sa farle e non da chi non può saperle fare, dalla polizia giudiziaria e non dal pubblico ministero. Ragione per la quale anche il momento organizzativo esige identica chiarezza, nel senso che la diversità delle funzioni esclude fungibilità del pubblico ministero rispetto agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria. Ed anche il momento di esaurimento delle funzioni di polizia giudiziaria coincidenti con l’esigenza costituzionale di obbligatorio esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero, implica di nuovo nitidezza di contorni rispetto alla disciplina della attività di accertamento penale, ulteriori rispetto a quelle svolte dalla polizia giudiziaria ma non idonee o insufficienti per

la decisione intorno alla esercitabilità o meno dell’azione penale.

Si tratta, dunque, di stabilire se nitidezza o chiarezza di contorni nei termini ora indicati, i quali corrispondono a criteri esclusivamente scientifici, siano stati perseguiti ed ottenuti dal disegno di legge in esame, segnalando che ogni concessione o sfumatura o deroga compromette il conseguimento del risultato nelle sue complessività. Si comprende che il legislatore non debba o non possa essere osservante di regole scientifiche, ma è molto difficile scantonare rispetto alla materia in questione. Possono, indubbiamente, esistere margini di compatibilità tra lo schema scientifico e quello sollecitato da esigenze pratiche, alle quali deve prestare attenzione il legislatore, ma sono margini da valutare attentamente.

Tre sono le direttrici prescelte dal disegno di legge. La prima, già per la verità fonte di perplessità sistematiche, è basata sulla distinzione tra reati di competenza del giu-dice monocratico procedibili su citazione diretta e reati di competenza del giudice collegiale. Si tratta, peraltro, di stabilire se questa postulata distinzione sia, poi, nella so-stanza rispettata nel senso che, ad esempio, la impostazione ortodossa sia stata attuata per un gruppo di reati e non per l’altro ovvero se non sia stata realizzata per alcuno, ma ipotizzare regole diverse in ragione del titolo dei reati, e quindi distinguere sul piano del sistema processuale da applicare, non è buona scelta.

La seconda direttrice del disegno del legge è ravvisabile nel congegno che si è inteso introdurre per il controllo sull’operato della polizia giudiziaria nel corso dello svolgimento delle relative funzioni e sui risultati conseguiti in relazione alla loro utilità ai fini dell’esercizio dell’azione penale.

È evidente che nel momento in cui sul piano tecnico si opti per la professionalità della polizia giudiziaria a vantaggio dell’efficienza...

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