Locazione di fatto e nullità per mancanza della forma scritta

AutoreNino Scripelliti
Pagine630-634

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1. La sentenza che si annota ha deciso correttamente la controversia confermando la sentenza di primo grado e, si potrebbe dire, tanto basta; tuttavia il percorso logico che ha condotto alla decisione non convince del tutto. La controversia e le opposte ragioni ed eccezioni, ponevano il problema della avvenuta scadenza di un contratto di locazione abitativa, nei confronti di un conduttore che, alla domanda di rilascio del locatore, replicava eccependo la avvenuta stipulazione di un contratto di fatto ai sensi dell’art. 13, comma 5, legge n. 431/1998, e la sua rinnovazione.

Al riguardo la Corte d’appello ha ritenuto:

- che l’accertamento del contratto e del rapporto locativo di fatto da parte dei giudice è ammesso al solo fine di consentire al conduttore di ottenere la determinazione del canone, la sua riconduzione entro i limiti dei contratti di cui all’art. 2, comma 3, della legge e la restituzione di quanto eventualmente pagato oltre il dovuto, ma non la determinazione di una scadenza diversa da quella pattuita dalle parti, come sarebbe reso palese dal richiamo da parte del comma 5 al solo comma 4 al quale si deve l’inderogabilità della norma sulla invariabilità del canone, e non al comma 3 che dispone la inderogabilità della durata legale;

- che il preteso contratto di locazione di fatto, sarebbe comunque nullo per difetto della forma scritta, prevista a pena di invalidità dall’art. 1, comma 4, della legge.

Che la mancanza di forma scritta sia motivo di nullità assoluta del contratto di locazione abitativo e non di nullità relativa (quindi non della eventuale nullità di protezione,1 disposta nell’interesse del conduttore ed eccepibile solo da questo), è opinione ormai prevalente in dottrina ed in giurisprudenza.2 Nondimeno, volendo verificare l’esattezza dei ragionamenti della sentenza della Corte d’Appello che si commenta (della esattezza della conclusione di quei ragionamenti e quindi della decisione, come sopra detto, non si dubita), occorre fissare taluni punti relativi alle questioni trattate; e precisamente:

- se esista o meno coincidenza tra i contratti di locazione verbali, nulli per mancanza della forma scritta, ed i contratti di fatto di cui all’art. 13 cit., e se la situazione successiva alla scadenza del contratto, consistente nel comportamento delle parti corrispondente e non mutato rispetto a quello precedente (che si concreta nel consenso al godimento dell’immobile da parte del conduttore, manifestato dalla inerzia del locatore, e nell’adempimento di questo agli obblighi che lo riguardano, primo tra tutti il regolare pagamento del canone), possa dare luogo ad un contratto di locazione di fatto;

- quale sia il rapporto tra l’obbligo della forma scritta ad substantiam e quindi la previsione della nullità dei contratti verbali, e la possibile conversione dei contratti di fatto di cui all’art. 13 in uno dei contratti previsti dall’art. 2, a seguito di azione del conduttore e mediante sentenza (costitutiva o dichiarativa-accertativa?);

- quando si possa dire realizzato il presupposto di fatto della possibile conversione, rappresentato dalla pretesa del locatore (art. 13, comma 5) di stipulare il contratto verbalmente, e come si debba distribuire tra le parti del contratto l’onere della prova in ordine a tale circostanza.

2. È noto che i comportamenti concludenti possono dare luogo a rapporti contrattuali emergenti dalla volontà delle parti di obbligarsi reciprocamente, manifestata dal loro comportamento significativo ed univocamente compatibile con tale volontà. Allo stesso modo le parti possono aderire, per comportamento concludente, ad uno schema contrattuale normativo precostituito ed inderogabile quali, a titolo di esempio, sono gli schemi dei contratti di lavoro subordinato3 ovvero, in altri tempi (ma ancora per le locazioni non abitative), lo schema del contratto di locazione disciplinato dalla legge n. 392/1978. Certamente ex facto oritur jus, nel senso che il comportamento delle parti, corrispondente per contenuto e durata ad una situazione regolata contrattualmente, pur in assenza di espresse pattuizioni scritte o verbali, determina una situazione giuridica corrispondente ad un contratto e quindi un contratto di fatto, che nella sua fase genetica è caratterizzato da comportamenti delle parti, inizialmente volontari, e che, in seguito e quando la loro volontà può dirsi in tal modo espressa inequivocamente ed accettata reciprocamente, divengono concludenti e significativi della accettazione di obbligazioni e del riconoscimento di diritti.

3. L’ordinamento conosce una varia tipologia di contratti e rapporti di fatto, in materia di società, di amministrazione anche pubblica,4 di mediazione, oltre a situazioni di fatto, giuridicamente rilevanti, in materia di famiglia.5 È dunque ipotizzabile un rapporto locativo che sorga di fatto dal comportamento del proprietario che consente, tacitamente, ad altri il godimento di un immobile, e del fruitore di questo, che paga periodicamente un importo a titolo di corrispettivo; il tutto in assenza di accordi espressi, anche verbali. Tuttavia contratto verbale e contratto di fatto, pur nella assenza in ambedue della forma scritta, non coincidono per niente (né il contratto di fatto è una specie di quello verbale), diversamente da quanto ritenuto nella sentenza che si annota, poiché nel contratto verbale, ferma la sua nullità per assenza di forma scritta, la volontà dei contraenti è oggetto di espressione verbale e l’accordo sugli elementi della locazione è manifestato espressamente; mentre nel contratto di fatto,Page 631 ferma la stessa nullità, la volontà non è espressa verbis, ma emerge inequivocamente dai comportamenti delle parti, perduranti nel tempo. Ancora diverso è il caso del rinnovo tacito di un contratto di locazione scritto dopo la scadenza e, conseguentemente, della proroga del contratto per effetto di comportamenti del locatore concludenti nel senso della rinuncia alla disdetta6 (e questo, in relazione alle eccezioni del convenuto-appellante, poteva essere il corretto inquadramento della materia del contendere da parte della sentenza che si annota, sia pure per concludere che comportamenti in tal senso non erano stati dedotti né dimostrati dal conduttore). Dunque, nel caso di rinnovo tacito (nel senso comunemente inteso e nel senso di cui all’art. 1597 c.c.) non si può parlare di contratto di fatto, ma di rinuncia di fatto alla disdetta già comunicata. Ma, allo stato della disciplina delle locazioni abitative e dopo la previsione di forma scritta ex art. 1, comma 4, della legge n. 431/1998, una legittima locazione di fatto non può più sorgere per effetto di comportamenti concludenti delle parti.7 Si potrebbe obbiettare che vi è l’eccezione dell’art. 13, comma 5; ma in quel caso nonostante la definizione della legge, e qui sta la critica al ragionamento della sentenza che si annota e che sembra non avere distinto le due diverse origini del rapporto locativo, non si tratta di locazione di fatto ma più semplicemente di locazione verbale (recuperabile alle determinate condizioni delle quali si dirà nel seguito).

4. La distinzione non è priva di effetti pratici. Infatti la disposizione dell’art. 13, sulla convertibilità e sul recupero a seguito di azione del conduttore, dei contratti definiti di fatto in uno dei contratti di cui all’art. 2, è applicabile ai contratti...

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