I Limiti della responsabilità dell'amministratore di condominio

AutoreRodolfo Cusano
Pagine125-132

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Per poter correttamente procedere alla individuazione dei limiti della responsabilità dell'amministratore di condominio è preliminarmente opportuno delineare il concetto stesso di condominio.

Ogni qualvolta ci avviciniamo ad un qualsiasi problema, considerare con attenzione le esperienze precedenti è molto utile. Per tale motivo ricordo brevemente i tre momenti a cui si è soliti fare ricorso per individuare le disposizioni normative relative all'argomento:

- il Codice Civile del 1865 dove non era presente alcun capo dedicato al condominio, ciò nonostante, nel Libro II, Titolo III, Capo II, dedicato alla disciplina delle servitù prediali (dei muri, edifizi e fossi comuni) vi erano alcuni articoli che si riferivano ai diritti sulle parti strutturali di un caseggiato. Gli articoli di maggior rilievo per il nascente fenomeno del condominio erano tre:

1) l'art. 562 enunciava le parti solitamente a servizio dei piani o porzioni di piano;

2) l'art. 563 disciplinava il rifacimento dei tetti e dei lastrici solari;

3) l'art. 564 disciplinava la soprelevazione. Quanto appena enunciato dimostra la completa assenza di norme che disciplinassero i poteri deliberativi (l'assemblea e le sue maggioranze) e i poteri-doveri di un organo esecutivo (l'amministrazione). Proprio in conseguenza di un vuoto normativo, così vistoso, per la regolamentazione dei rapporti giuridici negli edifici era necessario il consenso unanime dei proprietari per decidere qualsiasi questione comune. Quando essi non raggiungevano accordi unanimi diveniva necessario il ricorso all'Autorità giudiziaria.

L'unanimità dei consensi rendeva impossibile qualsiasi decisione amministrativa; pertanto il primo passo fu l'autoregolamentazione: i proprietari originari degli stabili, prima di iniziare l'alienazione delle singole unità, predisponevano dei regolamenti che disciplinassero l'amministrazione dello stabile. In altri termini nascevano dei veri e propri regolamenti contrattuali, richiamati in tutti gli atti di acquisto, la cui pubblicità si otteneva attraverso la loro registrazione presso gli uffici competenti. Il secondo passo fu l'evoluzione del primo: i regolamenti contrattuali si diffusero a macchia d'olio e assunsero, sempre di più un contenuto uniforme, quasi alla stregua di un processo di standardizzazione negoziale.

Il passo successivo (il terzo), fu il naturale epilogo evolutivo: il legislatore regolamenta una materia di vasta portata sociale resa ormai standard in virtù di un processo storico di diffusione negoziale. Pertanto, nel 1934 nacque la prima legge sul condominio (R.D. n. 56 del 15 gennaio 1934, convertito in legge il 10 gennaio 1935, n. 8) intitolata «Disciplina dei rapporti di condominio sulle case» dove si evidenziava quel nesso reciproco tra comunione e condominio negli edifici di cui si tratterà in seguito.

In merito al contenuto di questa legge, sembrerebbe quasi un paradosso notare come venivano previste situazioni di fatto che nel nostro attuale ordinamento sono state frutto di una lunga ed estenuante evoluzione giurisprudenziale. Difatti, l'art. 5 della legge n. 8/1935 enunciava il principio della separazione cioè di quello che oggi denominiamo «condominio parziale». Erano vieppiù enunciati principi poi richiamati dalla recente normativa civilistica come il pari uso dei partecipanti alla comunione (art. 10 della legge n. 8/1935 oggi richiamato all'art. 1102 c.c.) e i principi di ripartizione delle spese. Inoltre, la legge espressamente citava gli «organi» delle parti comuni dello stabile: l'assemblea, l'amministratore e un consiglio avente non solo una funzione consultiva e di controllo dell'operato dell'amministratore ma anche la funzione di dirimere e conciliare vertenze tra condomini. Infine, veniva disciplinato l'elemento originario di tutta la legge, cioè il regolamento di condominio sia nel suo contenuto che nel procedimento assembleare di approvazione.

Un'attenta analisi del contenuto della prima legge sul condominio dimostra come il legislatore degli anni '30 sia stato alquanto completo e a tratti premonitore; alcuni giudizi critici della dottrina ritengono questa legge, in alcuni punti, assai più completa dell'attuale.

Questo breve ricordo, ci permette di affrontare il lavoro in termini nuovi. Orbene, fatto tesoro dei vecchi insegnamenti, avviciniamoci alla riforma con la mente sgombra da preconcetti, cioè suggerisco cominciamo da zero, perché se è vero, come è vero, che la morale si adegua ai tempi e che le leggi sono il frutto delle necessità dei bisogni e degli interessi di una popolazione, un intero settore così grande di relazioni, di rapporti e direi anche di interessi economici, non può e non deve soffrire gli spazi angusti in cui l'attuale legislazione lo relega. Si pensi solamente al principio della certezza del diritto, malamente attuato in presenza di un processo pluriennale come quello attuale, ed alla economicità dei costi per l'intero Paese che deriverebbe da una maggiore certezza normativa. Da ciò l'intervento urgente non solo per gli addetti ai lavori, ma per una legge completa in tutte le sue sfaccettature che si ponga anche come insegnamento alle giovani generazioni. Oggi in nessuna scuola si insegna il diritto condominiale, mentre si continua ad insegnare diritto canonico o ecclesiastico, mettersi al passo con i tempi non è più una scelta ma una necessità pena la perdita di potere economico e lo stare al passo con gli altri Paesi europei.

Veniamo adesso alla prima grande scelta che il nostro legislatore dovrà fare e cioè definire una volta e per tutte: che cosa è un condominio.

Il condominio, come tutti sanno, si costituisce attraverso una comunione incidentale, anche se non mancano «atti dichiarativi» del condominio con assemblee dei condòmini che ne sanciscono la «nascita» da un punto di vista meramente formale.

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Sotto l'aspetto del diritto comparato, molti paesi appartenenti alla Comunità Europea hanno optato per una scelta ben definita, attribuendo al condominio la personalità giuridica (es. Francia e Germania) e, di conseguenza hanno regolamentato la professione d'amministratore di condominio sulla falsariga dell'amministratore di società.

L'attribuzione di una personalità giuridica al condominio, significa conferire allo stesso una vita completamente autonoma e indipendente dai suoi singoli partecipanti e la fondamentale attribuzione dell'autonomia patrimoniale. Nel nostro Paese, il legislatore non ha assunto nessuna posizione al riguardo, lasciando il campo alle definizioni giuridiche alla dottrina e alla giurisprudenza, conseguentemente, mancando anche nella necessaria regolamentazione della professione d'amministratore di condominio.

In questo vuoto alcuni studiosi, anche sulla base della sentenza n. 12304 del 14 dicembre 1993 della Suprema Corte, che in materia di rappresentanza ha sancito che: «il condominio non è soggetto giuridico dotato di propria personalità distinta da quella di coloro che ne fanno parte, bensì un semplice ente di gestione, il quale opera in rappresentanza e nell'interesse comune, senza interferire nei diritti autonomi di ciascun condomino» (omissis), hanno identificato il Condominio come un Ente di gestione. Sul punto non mancano altri indirizzi.

Un esempio ci è dato da una recente pronuncia della Cassazione (Cass. civ., sez. II, sent. n. 6906 del 21 maggio 2001), che nel dirimere una questione di rappresentanza processuale ha affermato che: «il condominio negli edifici è privo di soggettività giuridica, ancora imperfetta, e di autonomia patrimoniale, sia pur limitata, sicché l'elemento che unifica la compagine dei proprietari delle singole unità immobiliari, all'esterno, è costituito esclusivamente dalla loro comune rappresentanza, anche in giudizio, che compete all'amministratore» (omissis). Da tale massima assurgono concetti alquanto spuri come la soggettività giuridica che è prima dichiarata come inesistente (privo) e poi come imperfetta mentre l'autonomia patrimoniale è definita limitata. In queste definizioni si notano fattori evolutivi, quasi a dimostrazione dei cambiamenti che dovranno necessariamente sopravvenire in futuro.

L'ultima massima giurisprudenziale citata conferisce all'amministratore la funzione di elemento di unificazione della compagine condominiale nei rapporti con i terzi e con l'esterno; ciò nonostante il legislatore non interviene per conferire, se non al condominio negli edifici, almeno all'amministratore una definizione giuridica chiara, netta e più moderna.

In verità, se da un lato ci troviamo di fronte alla mancata attribuzione della personalità giuridica (al condominio), dall'altro, non c'è dubbio che la tendenza del nostro legislatore è di riconoscere al condominio e - soprattutto - al suo amministratore sempre maggiori responsabilità.

Una palese manifestazione di tale tendenza è stata quella del legislatore fiscale che ha qualificato il condominio come sostituto d'imposta, obbligandolo alla presentazione annuale della dichiarazione dei redditi dei sostituti d'imposta (modello 770) e nello stesso tempo ha sancito l'obbligo per l'amministratore di effettuare la comunicazione annuale dei dati dei fornitori all'Anagrafe Tributaria (all'origine denominato «quadro SW» e solo nel 2001 denominato, più giustamente «quadro AC», allegato alla dichiarazione dei redditi dell'amministratore; AC sta per Amministratore di Condominio).

Quindi, dal punto di vista delle responsabilità e delle relative sanzioni, dopo la normativa tecnica contenuta nella legislazione speciale (che per la maggior parte recepisce le direttive europee) disciplinante molteplici settori (ad esempio, la sicurezza degli impianti e dei luoghi di lavoro, l'inquinamento, il piano energetico nazionale, le barriere architettoniche, ecc.), anche l'Amministrazione Finanziaria ha ritenuto opportuno chiamare in causa il condominio ed il suo legale rappresentante, sancendo obblighi, individuando le responsabilità e sancendo le opportune sanzioni per gli...

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