Nuove ipotesi di rinnovazione della notifica del decreto di citazione a giudizio

AutoreLuca Cremonesi
Pagine279-282

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@1. Introduzione

Ancora una volta la Corte di Cassazione, a sezioni unite ha dimostrato una straordinaria duttilità nell'interpretare le norme giuridiche, adattandosi immediatamente ai cambiamenti che sono sopraggiunti nel panorama legislativo con la L. 16 dicembre 1999 n. 479. Se si osserva la motivazione di un'altra sentenza in rassegna, è doveroso segnalare come il medesimo principio giurisprudenziale, espresso in altre precedenti decisioni, ora viene riformulato considerando la nuova realtà normativa 1. Non è stato, quindi, modificato l'orientamento che imponeva la restituzione degli atti al pubblico ministero ogni volta che nel rito monocratico, senza transitare attraverso l'udienza preliminare, si configuravano nullità che influivano sulle scelte processuali che poteva manifestare la persona interessata. E nello stesso modo la Suprema Corte non ha mancato di ribadire che si deve procedere ad una semplice rinnovazione della notifica compiuta dall'organo giudicante quando è possibile regolarizzare la situazione della vocatio in iudicium, non dovendo ricominciare dall'inizio il giudizio dibattimentale, con l'esercizio dell'azione penale. Pur essendo stato rispettato formalmente l'iter burocratico, l'imputato, per caso fortuito, per forza maggiore o per qual siasi altra ragione, potrebbe non avere avuto alcuna conoscenza della data del processo 2. Difatti, l'art. 143 disp. att. c.p.p. è una regola normativa che disciplina e dimostra come la conoscenza legale di un atto processuale possa non coincidere con la conoscenza effettiva 3. Opera in tutte le vicende che non sono regolamentate dall'art. 484 comma 2 bis c.p.p., il quale, a sua volta, rimanda all'art. 420 comma 2 c.p.p., all'art. 420 bis c.p.p. ed all'art. 420 ter c.p.p. Si vuole, da un lato, che, indipendentemente dall'osservanza delle formalità che sono prescritte, venga effettivamente raggiunto il risultato che si era prefissato di perseguire l'atto procedurale e, dall'altro lato, non si vuole che solamente, perché è stata rispettata la sequenza formale, si debba automaticamente ritenere tutelato l'interesse delle parti. Qualora non fosse stata possibile la rinnovazione della notifica in tali situazioni si sarebbe dovuto riportare il procedimento allo stato e grado iniziali 4. Ora, ragioni di economia processuale hanno consigliato una deroga a quanto stabilito dall'art. 185 comma 3 c.p.p.. Difatti, la locuzione «salvo che sia diversamente stabilito» rende legittime le ipotesi di non regressione, come quella indicata dall'art. 143 disp. att. c.p.p.. È stato pertanto valutato, come principio giuridico, la semplificazione delle procedure e, come criterio primario, la speditezza della definizione del processo, quando non comportano «costi» temporali troppo elevati in termini di garanzia 5.

Il giudice dibattimentale deve verificare e controllare, prima di procedere alla apertura dell'istruttoria, la sussistenza e la completezza dei requisiti collegati alla vocatio in iudicium (art. 484 comma 2 bis c.p.p.). Di conseguenza, ogni volta in cui viene rilevato che il rapporto processuale non è sorto validamente, il giudice non può operare autonomamente, poiché finirebbe con l'invadere la sfera di competenza di altri soggetti ai quali vengono attribuiti i compiti di ripristinare ex novo la citazione nulla. Non potrà, quindi, sostituirsi al pubblico ministero, che è l'unica persona che può eliminare le nullità riscontrate nel decreto di citazione diretta a giudizio, mentre se è stata compiuta l'udienza preliminare, dovrà rispettare il ruolo dell'organo che l'ha celebrata (art. 185 comma 3 c.p.p.). In tali ipotesi il processo regredisce ad una fase anteriore, perché è come se fosse rimasto fermo. Non si dovrebbe nemmeno definire questa vicenda come «regressione», dato che si retroagisce una volta che si è progredito correttamente. Pur non esistendo alcuna regola generale codificata 6, si è sempre considerato opportuno affidare al soggetto processuale che ha emesso il provvedimento anche il compito di portarlo a conoscenza dell'imputato e di curarne l'esecuzione, se non altro perché possiede le cognizioni necessarie per compierla nel migliore dei modi. Addirittura, si è sempre preferito, ove fosse possibile, attribuire l'incombente al medesimo individuo 7. Una conclusione diversa sarebbe stata in contrasto, in primo luogo, con quanto enunciato nella direttiva dell'art. 2 n. 1 della legge delega 16 febbraio 1987 n. 81 che aveva imposto il criterio della «massima semplificazione dello svolgimento del processo» ed, in secondo luogo, avrebbe comportato la violazione dell'art. 111 comma 2 Cost. che prevede la durata ragionevole del giudizio dibattimentale.

@2. La sentenza in rassegna

La chiamata in giudizio nel processo penale non ha unicamente lo scopo di assicurare la presenza di un imputato al dibattimento, ma ha anche quello di consentirgli di preparare la difesa e di conoscere tempestivamente la documentazione processuale. Per perseguire questi obiettivi, in precedenza, era stato stabilito che il decreto di citazione a giudizio fosse notificato all'individuo almeno quarantacinque giorni prima della data fissata per la disputa processuale (art. 555 comma 3 c.p.p. abr.). All'interno di tale periodo era, però, previsto un termine più breve, dal momento che entro quindici giorni dal ricevimento dell'atto la persona interessata poteva presentare la richiesta di giudizio abbreviato, di patteggiamento o di oblazione (art. 555 comma 1, lett. e, c.p.p. abr.). L'effetto propulsivo del provvedimento verso il giudizio dibattimentale rimaneva, quindi, sospeso fino a quando non erano scaduti i termini per domandare i procedimenti speciali. Solo dopo il pubblico ministero poteva formare il fascicolo per l'istruttoria processuale e lo poteva trasmettere al giudice (art. 558 comma 1 c.p.p. abr.) 8. Di conseguenza, ogni volta che non venivano rispettati i termini di comparizione si configurava una nullità non solo, perché l'imputato non aveva tempo di preparare la propria strategia difensiva, ma anche perché non aveva nemmeno la possibilità di accedere ai riti speciali, essendo state superate le barriere temporali per poterli domandare. Infatti, sussisteva, all'epoca, per il giudizio abbreviato, la competenza esclusiva del giudice per le indagini preliminari. Non potevano, con una semplice rinnovazione della notifica eseguita dall'organo dibattimentale, essere salvaguardati gli effetti che conseguivano dalla citazione diretta. Bisognava, come unica soluzione, far retroagire il procedimento, poiché l'imputato poteva avere interesse a far decidere la propria posizione ad un altro interprete 9. Ora, è vero che la richiesta di pena concordata e l'istanza di oblazione prevista dall'art. 162 c.p. e dall'art. 162 bis c.p. potevano essere formulate non solo al giudice per le indagini preliminari, ma anche a quello che presiedeva l'istruttoria processuale, però è altrettanto vero che la persona poteva preferire una decisione manifestata nella segretezza della camera di consiglio, senza che i procedimenti Page 280 speciali, per forza di cose, dovessero essere celebrati pubblicamente, come, invece, avviene con il dibattimento. Per tali ragioni, l'inosservanza del termine a comparire integrava una nullità stabilita dall'art. 178 comma 1 lett. c) c.p.p., dal momento che veniva violata la clausola che regolamentava l'intervento e l'assistenza dell'imputato nel processo penale 10.

A conclusioni completamente diverse si era sempre pervenuti con il decreto che dispone il giudizio che dirottava il processo dall'udienza preliminare al giudizio in cui si accerta la verità (art. 429 c.p.p.). Non è mai stata posta in discussione la diretta ed integrale applicazione dell'art. 143 disp. att. c.p.p., perché era stato sempre affermato che i casi di nullità che potevano far retroagire il processo erano quelli elencati, in modo tassativo, dall'art. 429 comma 2 c.p.p. e non vi rientravano i vizi attinenti alla notificazione e nemmeno quelli concernenti l'inosservanza del termine di comparizione. La differente impostazione che conseguiva da questo provvedimento, rispetto al decreto di citazione, nasceva dalla presenza di un passaggio procedurale che ostacoli le imputazioni azzardate formulate dal pubblico ministero. In questa fase si imponeva la definizione anticipata dei procedimenti sostitutivi del dibattimento, in particolare il giudizio abbreviato. Ne derivava, quindi, che la vocatio in iudicium che veniva espletata dal giudice, dopo che si era conclusa l'udienza indicata dall'art. 410 c.p.p., aveva solamente lo scopo di informare l'imputato della futura celebrazione del giudizio di merito e non quella di poter adire i riti speciali, essendo già trascorsa la possibilità di domandarli. Se era invalido il transito dalla fase investigativa a quella processuale, l'organo giudicante del dibattimento doveva semplicemente limitarsi a ripetere la notifica, essendo ingiustificata la restituzione degli atti all'interprete precedente.

La nuova regolamentazione giuridica, introdotta con la L. 16 dicembre 1999 n. 479, ha stabilito, per la procedura che opera senza l'udienza preliminare, la piena rilevanza dell'art. 143 disp. att. c.p.p., consentendo la rinnovazione della citazione a giudizio, senza che il processo debba obbligatoriamente regredire alla fase antecedente 11. Il termine di comparizione è, quindi, stato allungato a sessanta giorni (art. 552 comma 3 c.p.p.) ed è stata eliminata la scadenza dei quindici giorni dalla notifica per la richiesta dei riti sostitutivi del dibattimento. Di conseguenza, non è stata formalizzata alcuna competenza del giudice per le indagini preliminari, poiché ogni decisione sul giudizio abbreviato o sul patteggiamento è oramai riservata all'organo che deve celebrare l'istruttoria processuale. Pertanto, non esistono ragioni per considerare inapplicabile l'art. 143 disp. att. c.p.p. nel caso di inosservanza del termine di comparizione, considerato che la...

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