Osservazioni in tema di interazioni fra decisioni del giudice e del pubblico ministero sulla competenza per connessione durante la fase delle indagini preliminari

AutoreDomenico Potetti
Pagine609-617

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@1. Il caso

Per illustrare il tema che ci occupa (ossia in sintesi: le interazioni fra decisioni del pubblico ministero e decisioni del giudice sulla competenza per connessione in pendenza delle indagini preliminari), più che astratte, e magari nebulose, enunciazioni può servire al lettore un caso concreto, tratto da un provvedimento reso da un tribunale di merito 1, il quale si distingue per la rilevanza degli esiti cui perviene, e fornisce l'occasione di approfondire alcuni passaggi argomentativi di estremo interesse (a prescindere dalla loro fondatezza).

Ridotto all'essenziale, il caso può essere sintetizzato come segue.

a) Il pubblico ministero, per una serie di fatti, chiede al g.i.p. presso il "suo" tribunale l'emissione di un'ordinanza cautelare a carico di molteplici personaggi.

b) Quel g.i.p., ravvisato il vincolo della connessione fra i fatti contestati dal pubblico ministero, nega la propria competenza, indicando (sulla base dei criteri previsti in tema di competenza per connessione) la competenza territoriale di altro (o altri) giudice.

c) Il pubblico ministero presso il primo giudice (cioè presso il g.i.p. che si era dichiarato incompetente), di conseguenza, trasmette gli atti al pubblico ministero presso il secondo giudice.

d) Il pubblico ministero presso il secondo giudice, ricevuti gli atti, dissente dal primo g.i.p. sul punto della connessione. Più precisamente nega che tutti i fatti contestati siano fra loro connessi; pertanto, per una sola parte degli stessi, restituisce gli atti al pubblico ministero che glieli aveva inviati, decidendo invece di procedere per i residui (che quindi "trattiene" presso di sè).

e) Il pubblico ministero presso il primo giudice (al quale quindi era stato reso il procedimento, sia pure solo per una parte dei fatti originari) a questo punto formula una ulteriore richiesta cautelare al "suo" g.i.p. (che, come sopra si è visto, gli aveva già rigettato la prima richiesta) 2.

f) Lo stesso g.i.p., nuovamente investito, non entra affatto nel merito della richiesta, limitandosi a dichiarare (ribadendola) la propria incompetenza per connessione.

Segnala inoltre (quel g.i.p.) che la richiesta cautelare, in mancanza di sostanziali novità investigative, non era riproponibile, ex art. 22, comma 2, c.p.p.; e che gli stralci operati dal pubblico ministero non possono violare il principio del giudice naturale precostituito per legge.

g) Il pubblico ministero presso il primo giudice (cioè presso il g.i.p. che aveva nuovamente rifiutato la competenza) propone appello contro quest'ultimo provvedimento del g.i.p., ed il Tribunale accoglie l'appello, applicando la misura cautelare.

@2. È ammissibile l'appello avverso l'ordinanza d'incompetenza del g.i.p. emessa a seguito di richiesta cautelare del pubblico ministero?

La prima questione, pure abbastanza evidente (anche se non affrontata dal tribunale di cui alla nota 1), è quella relativa alla impugnabilità (mediante appello, ex art. 310 c.p.p.) del provvedimento con cui il g.i.p. si era semplicemente dichiarato incompetente (il g.i.p. non aveva affrontato, quindi, il merito della richiesta cautelare).

Il g.i.p. medesimo, infatti, non aveva esaminato affatto il problema della sussistenza in concreto dei gravi indizi di reato richiesti dall'art. 273 c.p.p., o delle esigenze cautelari di cui all'art. 274 c.p.p., o delle altre condizioni necessarie per l'emissione dell'ordinanza cautelare.

In effetti, il provvedimento del g.i.p. non poteva essere impugnato mediante appello, sicché la vicenda introdotta dinanzi al tribunale era di agevole e rapida soluzione, mediante una dichiarazione di inammissibilità dell'impugnazione (art. 591, comma 1, lett. b) del c.p.p.).

Sarebbe bastato affidarsi alla lettera del primo comma dell'art. 310 c.p.p. (il quale ammette l'appello "... contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali ..."), e quindi prendere atto che nel caso di specie non vi era "materia" cautelare, bensì una questione di competenza, che dalla materia cautelare prescindeva del tutto (la questione poteva porsi con lo stesso contenuto in occasione di provvedimenti di altra natura, richiesti al giudice) 3.

La questione della impugnabilità dell'ordinanza emessa dal g.i.p. in tema di (negata) competenza, va però più opportunamente inquadrata nel tema generale delle impugnazioni, trattandosi oltretutto di argomento più volte affrontato dalla giurisprudenza.

Punto di partenza ineludibile è, notoriamente, l'art. 568, comma 2, c.p.p., il quale esclude dalla ricorribilità con ricorso per cassazione le sentenze emesse sulla competenza che possono dare luogo a un conflitto di giurisdizione o di competenza a norma dell'art. 28 c.p.p.

Il nuovo codice di rito penale ha quindi riaffermato la regola della inoppugnabilità delle sentenze di incompetenza; regola che risponde ad una "ratio" generale, e cioè alla scelta di riservare alle questioni di competenza la corsia preferenziale dei conflitti, rilevabili di ufficio o su denuncia.

La disciplina dei conflitti serve a sottrarre la relativa materia al rispetto di tutti quei vincoli previsti particolarmente in tema di termini e forme dell'impugnazione, che avrebbero potuto comportare la sanzione dell'inammissibilità dell'impugnazione medesima, e quindi vanificare le garanzie fondamentali che invece la disciplina dei conflitti mira a tutelare.

In altre parole la previsione dell'art. 568, comma 2, c.p.p. trova la sua ragion d'essere, per quanto riguarda le sentenze sulla competenza, nell'interesse superiore (e quindi tale da prescindere dalle iniziative delle parti) al rispetto del sistema di ripartizione delle competenze 4.

Ne consegue che i problemi puramente e semplicemente di competenza (ed esattamente i casi in cui vi sia rifiuto delPage 610 la competenza) trovano fisiologica soluzione nelle iniziative del giudice a cui la competenza è stata devoluta, il quale, o giudica nel merito, oppure solleva conflitto (salva la denuncia del conflitto ad opera delle parti).

Nei casi opposti, in cui cioè il giudice si ritiene competente, le parti potranno eventualmente proporre la questione di competenza mediante l'impugnazione della sentenza che ha esaminato il merito.

Inoltre, poiché la suddetta previsione dell'art. 568, comma 2, c.p.p. trova la sua giustificazione (anche al di là della lettera della legge), sul piano generale e sistematico, nella necessità di individuare il rapporto fra sistema delle impugnazioni e sistema dei conflitti (intendendosi, lo si è visto, il sistema dei conflitti come generale "corsia preferenziale" riservata alle questioni di competenza), è corretto, quindi, sostenere che i provvedimenti che negano la competenza non sono impugnabili, a prescindere dalla loro forma (sentenza o ordinanza), potendo solo essere sindacati in sede di conflitto 5.

Da tali premesse sono state tratte le coerenti conclusioni, affermando che i provvedimenti negativi della competenza, emessi dal g.i.p. ai sensi dell'art. 22 c.p.p. (come nel caso che ci occupa), non sono impugnabili 6.

Si rinviene in giurisprudenza una variante 7, della quale occorre dare atto perché, pur non potendosi applicare al caso concreto che qui si commenta (nel quale il g.i.p. non aveva affatto affrontato il merito cautelare) tuttavia riguarda proprio il problema della proponibilità dell'appello ex art. 310 c.p.p. avverso il provvedimento con cui il g.i.p., richiesto dell'applicazione di una misura cautelare, dichiari la propria incompetenza.

Ebbene, in quel caso la Cassazione ebbe a riconoscere l'ammissibilità dell'appello (nonostante il ricorrente avesse sostenuto che il provvedimento era rivedibile solo mediante conflitto di competenza), perché il g.i.p. aveva fondato la negazione di competenza su una tipica valutazione di merito cautelare, e precisamente su una dettagliata valutazione (negativa) circa l'esistenza dei gravi indizi di colpevolezza in relazione ad uno dei reati ipotizzati, facendone poi conseguire l'incompetenza rispetto ai reati concorrenti; e quindi aveva emesso un provvedimento, osservava la Cassazione, di sostanziale rigetto.

Il che è come dire (riprendendo in ciò l'argomento letterale sopra visto a proposito del testo dell'art. 310, comma 1, c.p.p.) che, in tale caso affrontato dalla Cassazione, vi era "materia cautelare" nel provvedimento impugnato, tale da legittimare un'impugnazione nel merito sotto forma di appello.

Per finire sul punto, e per evitare possibili confusioni, va segnalata la possibilità che l'errore dell'interprete consegua alla suggestione proveniente da una nota problematica, parallela ma nettamente distinta, e cioè quella relativa alla sussistenza o meno in capo al giudice del riesame del potere di riconoscere ed affermare l'incompetenza del giudice che abbia emesso l'ordinanza cautelare.

Dopo una nota contrapposizione di indirizzi in seno alla giurisprudenza della Corte di Cassazione, è prevalsa nelle Sezioni Unite, la soluzione favorevole alla ammissibilità di un tale sindacato 8.

È evidente, però, che tale ultima questione è ben distinta, e per certi versi specularmente opposta, rispetto a quella che ci occupa.

Essa infatti riguarda l'ipotesi in cui il g.i.p. abbia emesso l'ordinanza cautelare (e non abbia, quindi, al contrario rifiutato la competenza, come nel nostro caso), con ciò esaminando il merito della richiesta del pubblico ministero. Ne consegue l'ovvia impugnabilità del provvedimento con i mezzi di impugnazione previsti dalla legge (artt. 309 e 311 c.p.p.), sicché ammettere che tale impugnabilità comprende anche l'incompetenza del giudice che ha emesso la misura significa semplicemente assicurare in sede di impugnazione la legalità della misura cautelare effettivamente applicata (e non negata).

Il caso che ci occupa è invece del tutto diverso, perché il giudice, nel negare la propria competenza, non esamina il merito cautelare e non emette la misura; sicché non rimane che la strada del conflitto.

Tali ultime considerazioni dovrebbero essere...

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