Divieto di testimonianza indiretta della polizia giudiziaria e diritto rafforzato alla prova contraddittoria

AutoreLucia La Gioia
Pagine768-772

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  1. – La sentenza che si annota attiene al divieto di testimonianza indiretta della polizia giudiziaria, con riferimento alle dichiarazioni raccolte nella fase delle indagini preliminari, ponendosi in linea con l’orientamento delle S.U. della Suprema Corte, tendente a dare attuazione ai principi del giusto processo, cristallizzati nella nuova formulazione dell’art. 111 Cost.

    Per meglio comprendere il risultato interpretativo cui giunge il Tribunale di Taranto, occorre soffermarsi, sia pure brevemente, sulla genesi del divieto, scopren- done la ratio alla luce della regola del contraddittorio nella formazione della prova.

    L’istituto della testimonianza indiretta è disciplinato, in via generale, dall’art. 195 c.p.p. e si configura allorquando la persona informata sui fatti riferisce non già ciò che ha personalmente percepito, bensì ciò che ha appreso da altri 1.

    Duplice e distinto è il regime probatorio della testimonianza de relato, a seconda che essa provenga o meno da un appartenente alla P.G.

    Nonostante l’evidente sforzo normativo – sotteso alla lettera dell’art. 195 c.p.p. – di condurre ad unità giuridica situazioni caratterizzate dalla scissione conoscitiva tra il percepito e il dichiarato, solo in tempi meno remoti si è pervenuti all’esplicita affermazione della necessità dell’indicazione della fonte primaria da parte dei relata, pena l’inutilizzabilità della prova 2.

    Qualora a rendere testimonianza siano ufficiali di polizia giudiziaria, l’attuale art. 195, comma 4, c.p.p., dispone espressamente che costoro «non possono deporre sul contenuto delle dichiarazioni acquisite da testimoni con le modalità di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lett. a) e b). Negli altri casi si applicano le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 del presente articolo».

    Di qual tipo di prova trattasi, è argomento tuttora in discussione: l’impostazione tradizionale dubita persino che possa parlarsi di testimonianza in senso proprio, poiché se ne individua l’essenza nella dicotomia tra oralità e immediatezza, nella specie ricorrendo la prima ma non anche la seconda 3; altra parte della dottrina mette in risalto il ruolo di «testimonianza sulla testimonianza» che l’istituto finisce con l’assumere, risolvendosi in un meccanismo conoscitivo ed acquisitivo di per sé ammissibile, nel rispetto dei limiti di utilizzabilità imposti 4.

    Il percorso che ha portato all’introduzione del divieto è stato alquanto tormentato e travolto da alterne vicende, sintomo evidente di una costante ricerca di equilibrio tra la garanzia del contraddittorio inteso nella sua accezione oggettiva, il fondamentale principio dell’oralità, il potere dispositivo delle parti in ordine alla prova ed il libero convincimento del giudice nella valutazione della stessa. Proprio il contemperamento di tutte queste esigenze rappresenta la ratio ispiratrice dell’elaborata disciplina della testimonianza indiretta della P.G.

    Prima di ripercorrere i passaggi storico-normativi che hanno indotto il legislatore a sancire il divieto in questione, è bene rammentare che l’art. 195 c.p.p. si presta ad una sostanziale ambivalenza in quanto accomuna fattispecie tra loro profondamente differenti. Una scelta sistematica, probabilmente ancorata ad una visione empirica diretta a ritagliare uno spazio entro cui racchiudere l’intera disciplina della testimonianza indiretta, sia pure assemblando fenomeni giuridici diversi al punto tale da poter mettere a repentaglio il concetto di unità sotteso all’impianto normativo. Ciò spiega e giustifica le perplessità della dottrina, nel ti-Page 769more che una difettosa scelta sistematica possa avere ricadute interpretative in un tema di per sé assai delicato 5.

    Questo profilo, in effetti, aveva già destato l’attenzione dei compilatori del progetto preliminare del codice di rito del 1978, che, non a caso, collocarono la materia dei relata degli appartenenti alla P.G. nell’ambito dei divieti di lettura, anziché sotto l’egida della testimonianza indiretta, al fine di bilanciare il riconoscimento di poteri investigativi autonomi alla polizia e privilegiare la formazione della prova nello scontro dialettico tra le parti, dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale 6.

    I medesimi concetti furono ripresi con la legge-delega n. 81 del 1987 che, nel dettare i criteri direttivi concernenti le attività della polizia giudiziaria, aveva previsto un divieto assoluto di utilizzazione della testimonianza de relato della P.G. agli effetti del giudizio.

    Nel progetto preliminare al c.p.p. del 1988 il divieto venne inserito nella materia delle letture vietate, preservando il principio di indifferenza probatoria degli atti di indagine, ed estendone l’operatività a tutti coloro che, a qualsiasi titolo, fossero venuti a conoscenza di dichiarazioni la cui lettura risultava ex lege vietata 7.

    Si mirava drasticamente ad impedire che le risultanze delle investigazioni – che non potevano trovare ingresso nel dibattimento attraverso le contestazioni e le letture – vi giungessero ugualmente con la testimonianza del soggetto che ne era l’autore materiale, così eludendo facilmente il divieto e vanificando altresì il principio di separazione funzionale tra fasi procedimentali.

    Nel testo definitivo del nuovo codice di rito, approvato nel 1988, discostandosi dal sistema delineato nel progetto preliminare, i relata della polizia giudiziaria vennero ricondotti al plesso tipico della testimonianza indiretta, così trasformando una «regola di chiusura» in un «precetto euristico». Invero, il divieto in parola mutò fisionomia e collocazione: fu inserito nell’ambito dell’art. 195, relativo, appunto, alla testimonianza indiretta, e divenne una regola di esclusione probatoria circoscritta sotto il profilo soggettivo agli ufficiali e agli agenti di P.G. 8.

    La testimonianza indiretta della polizia giudiziaria risultava così sganciata dal meccanismo delle letture, attribuendo al giudice la mera constatazione di un divieto probatorio in un contesto tipizzato della prova indiretta 9.

  2. – Si ingenerò il convincimento che fosse stato impunemente introdotto un maggiore rigore, rispetto alla più elastica regolamentazione generale della testimonianza indiretta, proprio con riferimento agli appartenenti alla P.G. per i quali, invece, era lecito attendersi una sorta di accresciuta affidabilità in confronto al teste comune.

    Il divieto probatorio soggettivamente qualificato ebbe perciò vita assai breve poiché l’istituto fu travolto dal «divieto controriformistico abbattutosi sul processo accusatorio dal 1992 per effetto delle pronunce della Consulta e delle successive riforme legislative» 10.

    La regola di esclusione contenuta nell’art. 195, comma 4, c.p.p., nonostante il plauso della dottrina, incontrò l’insofferenza di una parte consistente della giurisprudenza e fu eliminata con la nota n. 24/1992, con la quale la Corte cost. intervenne a cancellare il divieto, considerandolo eccessivamente rigoroso e in contrasto con le finalità di accertamento proprie del processo penale 11.

    Il sindacato di incostituzionalità si fondava sulla riscontrata illegittima disparità di trattamento tra gli appartenenti alla P.G. e gli altri testimoni, che, ad avviso della Corte, determinava una irragionevole eccezione in disarmonia sia all’interno della normativa generale in tema di incapacità a testimoniare (art. 197 c.p.p.), sia all’interno della normativa su quella speciale forma di testimonianza che è la testimonianza indiretta (art. 195 c.p.p.).

    La Consulta tentò di fugare le perplessità sollevate dagli studiosi in ordine alla considerazione che tale pronuncia avrebbe potuto ledere fortemente i principi, congiuntamente intesi, dell’oralità e dell’immediatezza, facendo leva sull’intangibilità della regola dell’esame incrociato nell’assunzione della testimonianza indiretta 12.

    Le critiche, da parte della dottrina pressoché unanime, furono aspre e i giudici della Consulta furono accusati di surrettizio tentativo di reintrodurre postulati di stampo inquisitorio, giacché la cross examination cui è sottoposto il testimone indiretto non salvaguarda il contraddittorio che, invece, attiene all’escussione della fonte diretta 13.

    La breccia aperta dalla caducazione del divieto probatorio avrebbe potuto produrre effetti dirompenti, facendo entrare dalla finestra – attraverso il ricorso alla prova testimoniale – ciò che si era voluto tenere fuori dalla porta attraverso lo sbarramento costituito dall’art. 500, comma 4, c.p.p. e dalle norme sulle letture, con difficoltà di coordinamento tra i menzionati disposti normativi 14.

    Per superare i problemi di coordinamento tra i vari istituti processuali, nonché per riequilibrare il rapporto tra indagini preliminari e formazione della prova come configurato dalla Consulta, si rese indispensabile l’intervento del legislatore con il D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito in L. 7 agosto 1992, n. 356. La normativa in parola finì con l’ampliare ulteriormente il varco aperto dalla Consulta, sia modificando radical- mente la disciplina delle contestazioni, con l’estensione della possibilità di dare lettura in sede dibattimentale anche degli atti assunti dalla P.G. quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne fosse divenuta impossibile la ripetizione, sia contemplando la possibilità di procedere alla lettura delle dichiarazioni rese alla P.G. dal cittadino straniero residente all’estero che non fosse stato citato o non fosse comparso in dibattimento.

    Contestualmente si rafforzò l’obbligo di verbalizzazione gravante sulla polizia giudiziaria, includendovi tutte le sommarie informazioni assunte da persone diverse dall’imputato, ai sensi dell’art. 351 c.p.p. 15.

    Gli effetti prodotti dalla novella legislativa furono ben diversi da quelli astrattamente sperati, confer- mando i timori della dottrina: gli organi inquirenti divennero depositari di strumenti potentissimi, in gradoPage 770di preconfezionare prove confacenti alle esigenze dell’accusa nel corso stesso delle indagini preliminari 16.

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