Il regolamento di condominio

AutoreVincenzo Cuffaro
Pagine829-831

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    Relazione svolta al Convegno del Coordinamento dei legali nella Confedilizia svoltosi a Piacenza il 9 settembre 2000.

  1. - Di fronte al tema del regolamento di condominio sarebbe presuntuoso voler tracciare un quadro complessivo delle questioni determinate dalla norma dell'art. 1138 c.c. 1. Mi propongo un compito più circoscritto, esaminando il tema dall'angolo prospettico delle fonti di produzione delle regole che governano il «gruppo» condominiale.

    L'esame che muove dalle fonti non è irrilevante giacché se è vero che i destinatari avvertono le regole condominiali come «norme» che stabiliscono i reciproci diritti ed obblighi, è altrettanto vero che tali «regole» trovano la loro fonte in un atto di privata autonomia che, dunque, merita di essere valutato alla stregua degli altri atti nei quali trova espresione il potere dei privati di regolamentare i propri interessi.

  2. - Il codice civile si occupa specificamente del regolamento di condominio all'art. 1138 per imporne l'adozione ogni qualvolta vi siano più di dieci condomini e per definirne al riguardo il contenuto minimo, le maggioranze necessarie per l'approvazione ed i limiti inderogabili all'autonomia dei condomini nella determinazione del contenuto.

    Rispetto allo schema delineato dalla disposizione (che consente ovviamente l'approvazione di un regolamento anche se i condomini non sono superiori a dieci) si è molto diffusa la prassi (già prima dell'entrata in vigore del codice del 1942) della predisposizione di un regolamento ad opera dell'unico originario proprietario e della sua approvazione nei singoli contratti di acquisto delle unità immobiliari. Un regolamento, questo, che viene definito «esterno» per distinguerlo da quello approvato dall'assemblea dei condomini e, dunque, «interno».

    Si è anche prospettata, quale rimedio all'inerzia dei condomini nell'approvazione del regolamento obbligatorio, una terza fonte (coattiva) di produzione del regolamento condominiale: l'intervento del giudice. La soluzione suggerita, per quanto suggestiva, è difficilmente praticabile né in concreto sembra aver trovato applicazione.

    Perplessità 2 sorgono, infatti, sia sotto il profilo dello strumento con il quale sollecitare l'iniziativa giudiziale, affidata, secondo alcuni, all'impugnazione da parte di un condomino della delibera che non approva il regolamento; sia per quanto riguarda i limiti dell'intervento del giudice, il quale può certo nel respingere un'impugnativa, confermare la legittimità del regolamento predisposto dall'assemblea e, forse, pronunciare l'illegittimità del rifiuto dell'assemblea di approvare il regolamento, ma in nessun caso potrebbe elaborare autonomamente il testo regolamentare.

    La differenza più evidente tra il regolamento interno, sia esso obbligatorio o facoltativo, e quello esterno attiene alla fonte, giacché, mentre il primo è approvato dall'assemblea dei condomini con le maggioranze di cui all'art. 1136, comma 2, c.c., il secondo, in quanto predisposto dall'originario proprietario e richiamato in tutti i singoli atti di acquisto, è di fatto approvato da tutti i proprietari. Proprio questo elemento induce a definirlo di natura (fonte) «contrattuale» o «negoziale», in quanto espressione della volontà concorde di tutti i partecipanti alla comunione nell'edificio.

    La distinzione «quantitativa» circa il numero dei soggetti coinvolti nell'approntamento delle regole, non è destinata ad assumere un significato meramente estrinseco, perché la giurisprudenza, muovendo dalla considerazione del differente contributo volitivo alla formazione del regolamento «esterno» (ma anche al regolamento «interno», ove in concreto approvato da tutti i condomini), ne ha sottolineato il (potenzialmente) diverso valore giuridico, rispetto ad un regolamento fondato sul consenso di una maggioranza, anche se qualificata, dei condomini.

    Per comprendere tale risultato occorre al riguardo muovere dal rilievo che l'art. 1138 c.c. stabilisce al primo comma che il regolamento deve contenere le norme, tra l'altro, circa «l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino», mentre all'ultimo comma prevede che «le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, ed in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli articoli . . . ».

    Il limite indicato nell'ultimo comma, è stato interpretato con riferimento al regolamento del quale è menzione nel primo comma (quello cioè approvato dall'assemblea anche a maggioranza) secondo una duplice traiettoria:

    - intangibilità assoluta da parte del regolamento dei diritti del condomino sulla cosa in proprietà esclusiva (3) (sotto questo profilo il limite è già desumibile dai principi generali);

    - rispetto nella disciplina del condominio sia di alcune specifiche norme inderogabili (quelle appunto elencate nella norma) sia del principio generale (art. 1102 c.c.) secondo cui ogni condomino ha diritto di servirsi della cosa comune e di apportarvi le modifiche necessarie per il migliore godimento purché «non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto» (cd. principio dell'uso paritario) 4.

    Ma se per il regolamento apposto dall'assemblea che valgono tali criteri si comprende come poi si venga ad affermare che un regolamento approvato da tutti i condomini può, invece, incidere sia sui diritti dei condomini sulle proprietà individuali sia sul diritto di ciascuno all'uso paritario della cosa comune e, in generale, modificare le norme sulla disciplina del condominio (e, dunque, superare i limiti imposti dall'art. 1138, ult. co., c.c.) 5.

    Un regolamento siffatto, ossia approvato all'unanimità e che rechi altresì disposizioni che incidono su situazioni giuridiche soggettive intangibili con il solo consenso della maggioranza, viene definito di «contenuto» o «natura» contrattuale, perché frutto dell'accordo di tutte le parti interessate ed espressione della loro autonomia contrattuale nel modificare rapporti giuridici soggettivi 6.

    La formula «regolamento contrattuale» evoca, dunque, il momento della formazione (fonte) del regolamento stesso, e ne sottolinea la partecipazione di tutti i condomini; ma il medesimo termine «contrattuale» assume il significato suo proprio, di espressione dell'autonomia privata, solo in presenza di un contenuto effettivamente negoziale che incida, nelle specie limitandoli, su diritti soggettivi di uno o di tutti i condomini. La mancanza di un tale contenuto rende, invece, del tutto irrilevante, sul piano degli effetti giuridici, l'approvazione da parte di tutti condomini (in sede di acquisto delle unità immobiliari o per deliberazione unanime in Page 830 assemblea), svuotando di significato la formula convenzionalmente usata.

    Proprio in una tale prospettiva può comprendersi come il regolamento approvato all'unanimità possa anche contenere norme non «contrattuali», che non incidono in alcun modo su posizioni giuridiche soggettive in quanto mantenute entro i limiti indicati dall'art. 1138 c.c., e che, dunque, possono essere successivamente modificate anche con il consenso della sola maggioranza prevista dall'art. 1136, secondo comma, c.c. 7. Così come il medesimo regolamento può contenere, ad un tempo, norme contrattuali e norme regolamentari, sicché la modifica delle prime necessita del consenso di tutti i condomini mentre le seconde seguono la regola dell'art. 1136.

    Per altro, non è infrequente che sorgano contrasti in presenza di una pluralità di regolamenti condominiali approvati in tempi successivi e con maggioranze diverse: in tale ipotesi la qualificazione delle singole disposizioni in termini «contrattuali» o «regolamentari» è la premessa metodologica per accertare la legittimità o meno delle modifiche apportate e per risolvere i contrasti legati al sovrapporsi di regole 8.

    Contenuto e tecniche di formazione del regolamento. La giurisprudenza ha correttamente osservato che le limitazioni apposte dai regolamenti contrattuali alla proprietà individuale ed all'uso delle cose comuni si configurano quali «oneri reali» (si è anche parlato di «servitù») 9 gravanti sul diritto di proprietà (individuale) e di comproprietà (delle parti comuni). Ciò...

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