Il danno biologico da morte

AutoreDomenico Stefani
Pagine641-642

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Nessuno dubita più che il sistema di liquidazione del danno alla persona imperniato sul danno biologico sia di gran lunga preferibile al sistema tradizionale, incentrato unicamente sulle ripercussioni negative dell'inabilità sul reddito lavorativo dell'infortunato.

Con il sistema di liquidazione imperniato sul danno biologico è venuta a cadere l'ingiustizia di dover liquidare risarcimenti diversi, in relazione ai diversi redditi lavorativi degli infortunati, per invalidità eguali, non incidenti sulla capacità di produrre reddito degli infortunati stessi.

Considerato che le differenze di reddito nella nostra realtà sociale, possono essere notevoli, ne conseguiva una grave discriminazione a danno dei soggetti economicamente più deboli.

Aver eliminato questa ingiustizia costituisce il fondamentale merito del nuovo assetto risarcitorio.

Sorprende quindi e amareggia che si siano levate voci critiche, anche autorevoli, sulla teoria del danno biologico che secondo alcuni «viola nel più aperto dei modi il concetto basilare risarcitorio della nostra legge civile, indifferente a siffatti equalitarismi, oltre a violare il senso della dignità umana»1.

Oltre al merito di aver eliminato ingiustificate disparità, il nuovo sistema appare più razionale, consentendo di risarcire il danno alla salute indipendentemente da ogni conseguenza negativa sul reddito e sul patrimonio dell'infortunato, che verrà risarcita solamente allorché ne risulterà accertata l'effettiva esistenza e la reale entità.

Viene realizzata inoltre una semplificazione del sistema risarcitorio, che non deve più ricorrere a figure controverse, come il danno alla capacità lavorativa generica, alla vita di relazione, il danno estetico o alla sfera sessuale, tutti normalmente ricompresi nell'ampio concetto del danno alla salute.

La teoria del danno biologico è stata formulata con riferimento alla menomazione dell'integrità psico-fisica della persona, cioè con riferimento alla lesione del bene della salute primario e fondamentale, che l'Organizzazione Mondiale della Sanità definisce come uno stato di completo benessere fisico e mentale.

Tutti coloro che hanno contribuito alla formulazione della teoria del danno alla salute hanno fatto riferimento esclusivamente all'ipotesi di lesioni alla persona comportanti una inabilità temporanea o un'invalidità permanente, senza alcun riferimento all'ipotesi di evento letale, non potendosi considerare la morte come una riduzione della salute ma come la cessazione della vita.

E neppure la giurisprudenza del primo decennio di applicazione del nuovo sistema liquidativo fece mai riferimento all'ipotesi del danno mortale, neppure al fine di escluderla, non essendo mai stata neppure prospettata.

Solamente nel secondo decennio si sostenne in dottrina che la teoria del danno alla salute dovesse comprendere anche l'ipotesi del danno mortale.

La logica vuole che, se il danno biologico consiste nella lesione del diritto alla salute, non è concepibile che venga risarcita la semplice menomazione di quel diritto e non anche la sua totale soppressione

2.

La prevalente dottrina e la giurisprudenza di legittimità non condivisero tale assunto, ribadendo che il risarcimento del danno alla salute è connesso alla menomazione dell'integrità psico-fisica della persona, non alla perdita della vita; non vi può quindi essere un risarcimento per danno alla salute conseguente alla morte, ma esclusivamente un risarcimento per danno alla salute...

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